I giovani ci stanno a cuore (Gualtiero Bassetti)
Gualtiero Bassetti
Cardinale, Arcivescovo di Perugia – Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
Osservatore Romano, 19 ottobre 2016
«Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande I care. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne importa, mi sta a cuore ”». Queste celebri parole, scritte nel 1965 da un ormai malato Don Lorenzo Milani – e contenute in una memoria difensiva ricordata come Lettera ai giudici – sono ancora oggi attualissime.
Queste due semplici parole, I care, non rappresentano, infatti, solo il punto d’incontro tra le esigenze dell’allievo e quelle del maestro in una scuola dell’Italia degli anni Sessanta, ma si configurano anche, in una visione più vasta, come il momento di raccordo tra il mondo dei giovani e quello degli adulti e, in definitiva, tra le necessità delle famiglie di oggi e le istanze individualistiche di una società sempre più secolarizzata. In altre parole, quelle parole esprimono quello stesso amore e quella identica cura pastorale verso le giovani generazioni che scaturisce dall’annuncio del prossimo Sinodo dei vescovi che avrà come tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale».Si tratta, indubbiamente, di un appuntamento di eccezionale importanza per almeno due motivi.
In primo luogo, perché questo nuovo sinodo, è bene ribadirlo con chiarezza, non è certo il frutto di una estemporanea moda ecclesiale ma è il prodotto autentico di un modo di essere Chiesa che proviene direttamente dal concilio Vaticano II. In secondo luogo, perché ci troviamo di fronte ad un drammatico paradosso del nostro tempo: la sconcertante superficialità con cui si parla dei giovani.
Viviamo, infatti, in un mondo totalmente pervaso da immagini stereotipate di giovani bellissimi e fortissimi che con i loro corpi e i loro sguardi occupano le copertine patinate di molti giornali e le fotografie di molte pubblicità. Tutto il discorso pubblico, inoltre, è caratterizzato da una retorica giovanilistica, soprattutto in politica, in cui molti dicono di spendersi per le giovani generazioni e ripetono a memoria dei ritornelli, più o meno credibili, in cui si è soliti assicurare che «il futuro è dei giovani» o che «dobbiamo pensare al futuro dei nostri figli».Eppure, molto spesso si ha la sensazione di ascoltare un copione recitato a soggetto, senza anima e cuore. Ed è qui, a mio avviso, che si colloca la centralità del prossimo sinodo. Di fronte all’effimera leggerezza con cui ci si riferisce alle giovani generazioni, si staglia la preoccupazione sapiente di una Chiesa che è un’autentica madre dei suoi figli. E allo stesso tempo ritornano le parole di don Milani: questi giovani ci stanno a cuore.
La gioventù, infatti, è lo snodo più importante della vita di ogni persona. È il momento in cui gli uomini e le donne si trovano a compiere le scelte più importanti della loro esistenza ma è anche il momento in cui la vita, come ammoniva sant’Agostino, «è scossa da frequenti e forti tempeste di tentazioni» ed è spesso «sopraffatta dai flutti del mondo che l’assalgono impetuosamente». La gioventù è dunque il periodo della passione, della forza fisica e della speranza, ed è anche il periodo della fragilità emotiva e caratteriale, dove è facilissimo perdersi nella babele di offerte di senso che provengono da ogni angolo del mondo. «Tutto gira intorno a te» diceva una famosa pubblicità di qualche anno fa.Questa è la sirena seducente dei tempi odierni.
Oggi, infine, i giovani sono sempre più spesso i nuovi poveri. Una povertà esistenziale – caratterizzata da «bambini orfani di genitori vivi» e da «giovani disorientati e senza regole» come ha scritto Francesco nell’Amoris Laetitia – e una povertà sociale che significa convivere con una precarietà economica umiliante che, nel caso delle donne, si accompagna da un odioso ricatto: scegliere tra una maternità desiderata e un lavoro necessario.
L’unica risposta a questa duplice povertà è la risposta della fede in Cristo. Di una fede che, come scriveva nel 1957 don Milani, non «sia qualcosa di artificiale aggiunto alla vita» ma sia invece un «modo di vivere e di pensare»