Articoli

RMG – Sinodo Salesiano dei Giovani 2024, in occasione del Sogno dei nove anni

Dall’agenzia ANS.

***

(ANS – Roma) – In occasione del 200° anniversario del Sogno dei nove anni di Don Bosco, il Settore per la Pastorale Giovanile promuove la celebrazione del Sinodo Salesiano dei Giovani, dall’11 al 16 agosto 2024 al Colle Don Bosco.

Don Bosco era un sognatore a occhi aperti, come tutti i profeti che vedono lontano e guardano al futuro con speranza. A cominciare dal Sogno dei nove anni, in cui immaginava la sua futura missione di sacerdote ed educatore. Sogni che si sono miracolosamente avverati, con l’aiuto della Provvidenza, dei suoi salesiani e di tanti benefattori che hanno sempre sostenuto e continuano a sostenere la sua Opera.

Il Sinodo Salesiano dei Giovani vuole essere un modo per i giovani delle Ispettorie salesiane di valorizzare e approfondire il Sogno dei nove anni, riscoprendone il significato per la spiritualità, il discernimento e la realizzazione della propria vocazione. Suppone il coinvolgimento e la partecipazione diretta dei giovani.

Sono invitati al massimo due giovani per ciascuna Ispettoria dei Salesiani di Don Bosco e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, impegnati nell’animazione pastorale nelle realtà locali e ispettoriali e nelle attività del Movimento Giovanile Salesiano. L’età dei partecipanti va dai 18 ai 30 anni. Insieme a loro, due Salesiani e due Figlie di Maria Ausiliatrice per Regione.

Ci saranno tre fasi. La prima fase preparatoria, di ascolto e dialogo, avrà luogo in ogni Ispettoria. La partecipazione di “tutti” viene attivata attraverso la consultazione nel processo di preparazione del Sinodo, al fine di riunire tutte le voci che sono espressione dei giovani del mondo. Per questo motivo, viene proposto un questionario preliminare per ogni Ispettoria, con l’obiettivo di redigere l’Instrumentum Laboris. Una seconda fase sarà quella celebrativa al Colle Don Bosco, che verrà vissuta con la metodologia sinodale, in un clima spirituale e curando i momenti dei piccoli gruppi (gruppi linguistici), che garantiranno una maggiore partecipazione e l’Assemblea plenaria. L’ultima fase, di azione, prevedrà il lavoro sul documento finale.

È prevista anche la pubblicazione di un “Coffee Table Book” contenente 200 sogni di giovani di tutto il mondo. È stato costituito un Core Group, o Commissione centrale, composto da 12 giovani di tutto il mondo, e un gruppo pre-sinodale di diverse persone per la redazione dell’Instrumentum Laboris.

Durante questi giorni di incontri sinodali, sarà possibile vedere la diversità delle culture, delle realtà giovanili e della Chiesa, ma anche l’unità che il carisma salesiano regola. Sarà motivo di grande gioia vedere la partecipazione, la comprensione e l’intesa, la capacità di lavoro e di discernimento e la condivisione di molti momenti di riflessione, preghiera e proposta.

Il logo prescelto per il Sinodo Salesiano dei Giovani rappresenta il prato del sogno di Don Bosco, sullo sfondo verde; la proposta di camminare insieme e di fare rete; i simboli che ricordano il dialogo, la riflessione e la partecipazione; e la croce, tutto nella ricerca spirituale, nella fede, nella cura della relazione con Gesù risorto.

Il sogno della pace. La GMG di Lisbona, profezia di fraternità universale

Dalla newsletter di Note di Pastorale Giovanile di novembre.

***

di don Rossano Sala

Un nuovo inizio

La Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona ha segnato una vera e propria ripartenza dopo la drammatica esperienza della pandemia. Si respirava una certa tensione ecclesiale rispetto alla riuscita di questo incontro mondiale. Gli organizzatori erano realmente preoccupati. Alcuni pensavano che dopo la pandemia sarebbe finito il tempo dei grandi raduni internazionali, altri invece immaginavano una presenza molto ridotta di giovani. La Chiesa invece ha scommesso di nuovo sui giovani e ancora una volta ha avuto ragione! E dopo questo evento l’aria è finalmente cambiata, come ha ben commentato papa Francesco qualche giorno dopo il termine degli eventi:

Questa GMG di Lisbona, venuta dopo la pandemia, è stata sentita da tutti come dono di Dio che ha rimesso in movimento i cuori e i passi dei giovani, tanti giovani da tutte le parti del mondo – tanti! – per andare a incontrarsi e incontrare Gesù.
La pandemia, lo sappiamo bene, ha inciso pesantemente sui comportamenti sociali: l’isolamento è degenerato spesso in chiusura, e i giovani ne hanno risentito in modo particolare. Con questa Giornata Mondiale della Gioventù, Dio ha dato una “spinta” in senso contrario: essa ha segnato un nuovo inizio del grande pellegrinaggio dei giovani attraverso i continenti, nel nome di Gesù Cristo. E non è un caso che sia accaduto a Lisbona, una città affacciata sull’oceano, città-simbolo delle grandi esplorazioni via mare[1].

Un nuovo inizio, dunque, che ha invertito la rotta. Speriamo che lo sia anche per la pastorale giovanile e la Chiesa in Italia. Non è poco aver accompagnato 65.000 giovani italiani a Lisbona. Significa aver messo da parte un certo “tesoretto” da far ora fruttificare nella vita quotidiana, nei nostri ambienti ecclesiali e nella società tutta. Si può ripartire prendendo sul serio il “mandato” che Francesco ha consegnato a tutti i giovani nel giorno della trasfigurazione del Signore, ultimo della GMG di Lisbona:

«Signore, è bello per noi essere qui!» (Mt 17,4). Queste parole, che disse l’apostolo Pietro a Gesù sul monte della Trasfigurazione, vogliamo farle anche nostre dopo questi giorni intensi. È bello quanto stiamo sperimentando con Gesù, ciò che abbiamo vissuto insieme, ed è bello come abbiamo pregato, con tanta gioia del cuore. Allora possiamo chiederci: cosa portiamo con noi ritornando alla vita quotidiana?
La prima: brillare. Gesù si trasfigura. Il Vangelo dice: «Il suo volto brillò come il sole» (Mt 17,2). […] Il nostro Dio illumina. Illumina il nostro sguardo, illumina il nostro cuore, illumina la nostra mente, illumina il nostro desiderio di fare qualcosa nella vita. Sempre con la luce del Signore.
Il secondo verbo è ascoltare. Sul monte, una nube luminosa copre i discepoli. E questa nube, dalla quale parla il Padre, che cosa dice? «Ascoltatelo», «questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo» (Mt 17,5). È tutto qui: tutto quello che c’è da fare nella vita sta in questa parola: ascoltatelo. Ascoltare Gesù. Tutto il segreto sta qui. Ascolta che cosa ti dice Gesù.
Brillare è la prima parola, siate luminosi; ascoltare, per non sbagliare strada; e infine la terza parola: non avere paura. Non abbiate paura. Una parola che nella Bibbia si ripete tanto, nei Vangeli: “non abbiate paura”. Queste furono le ultime parole che nel momento della Trasfigurazione Gesù disse ai discepoli: «Non temete» (Mt 17,7)[2].

Brillare, ascoltare e non avere paura. Un piccolo ma prezioso programma non solo per tutti i giovani, ma per la Chiesa nel suo insieme. Diventa un compito chiaro, un manifesto da prendere sul serio, una prospettiva attorno a cui creare coinvolgimento e corresponsabilità tra giovani e adulti.

Un messaggio chiaro

Per chi ha vissuto una delle tante GMG degli ultimi decenni, sa che questo evento è un’esperienza di fratellanza universale più unica che rara. Effettivamente trovare tante nazionalità così diverse che vivono insieme in un clima di festa e di comunione è praticamente quasi impossibile. La GMG è un’esperienza di pace universale, un momento magico in cui si prende atto che la convivenza pacifica dei popoli è una possibilità reale. Effettivamente,

mentre in Ucraina e in altri luoghi del mondo si combatte, e mentre in certe sale nascoste si pianifica la guerra – è brutto questo, si pianifica la guerra! –, la GMG ha mostrato a tutti che è possibile un altro mondo: un mondo di fratelli e sorelle, dove le bandiere di tutti i popoli sventolano insieme, una accanto all’altra, senza odio, senza paura, senza chiusure, senza armi! Il messaggio dei giovani è stato chiaro: lo ascolteranno i “grandi della terra”? Mi domando, ascolteranno questo entusiasmo giovanile che vuole pace? È una parabola per il nostro tempo, e ancora oggi Gesù dice: “Chi ha orecchie, ascolti! Chi ha occhi, guardi!”. Speriamo che tutto il mondo ascolti questa Giornata della Gioventù e guardi questa bellezza dei giovani andando avanti[3].

I giovani desiderano la pace. Lo hanno detto chiaramente con la loro presenza pacifica e gioiosa per tutti i giorni della GMG. Lo ribadiscono continuamente quando si parla con loro e quando è data loro con serietà la parola.
Lisbona, è stato detto varie volte durante i giovani della GMG, è una città che per sua natura è legata alla ricerca della pace e all’unione tra i popoli. Durante l’incontro con le autorità, con la società civile e con il corpo diplomatico Francesco è stato oltremodo esplicito e diretto sull’argomento della guerra e della pace. Direi perfino provocatorio e profetico. Conviene risentire alcuni passaggi per intero:

Lisbona può suggerire un cambio di passo. Qui nel 2007 è stato firmato l’omonimo Trattato di riforma dell’Unione Europea. Esso afferma che «l’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli» (Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea, art. 1,4/2.1); ma va oltre, asserendo che «nelle relazioni con il resto del mondo […] contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani» (art. 1,4/2.5).
Nell’oceano della storia, stiamo navigando in un frangente tempestoso e si avverte la mancanza di rotte coraggiose di pace. Guardando con accorato affetto all’Europa, nello spirito di dialogo che la caratterizza, verrebbe da chiederle: verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo? E ancora, allargando il campo: quale rotta segui, Occidente? La tua tecnologia, che ha segnato il progresso e globalizzato il mondo, da sola non basta; tanto meno bastano le armi più sofisticate, che non rappresentano investimenti per il futuro, ma impoverimenti del vero capitale umano, quello dell’educazione, della sanità, dello stato sociale.
Lisbona, abbracciata dall’oceano, ci dà però motivo di sperare, è città della speranza. Un oceano di giovani si sta riversando in quest’accogliente città; e io vorrei ringraziare per il grande lavoro e il generoso impegno profusi dal Portogallo per ospitare un evento così complesso da gestire, ma fecondo di speranza. Come si dice da queste parti: «Accanto ai giovani, uno non invecchia». Giovani provenienti da tutto il mondo, che coltivano i desideri dell’unità, della pace e della fraternità, giovani che sognano ci provocano a realizzare i loro sogni di bene. Non sono nelle strade a gridare rabbia, ma a condividere la speranza del Vangelo, la speranza della vita.
Com’è bello riscoprirci fratelli e sorelle, lavorare per il bene comune lasciando alle spalle contrasti e diversità di vedute! Anche qui ci sono d’esempio i giovani che, con il loro grido di pace e la loro voglia di vita, ci portano ad abbattere i rigidi steccati di appartenenza eretti in nome di opinioni e credo diversi[4].

Un grande monito per il mondo degli adulti e dei politici dell’Europa e dell’Occidente a prendere sul serio ciò che dicono a parole e che poi raramente si concretizza nei fatti. Speriamo che non sia inascoltato, ma inneschi un percorso serio e consapevole che ci faccia cambiare rotta.

Dall’agonia al parto

Incontrando i giovani universitari presso l’Università cattolica del Portogallo Francesco ha chiesto di non pensare a questo tempo come a qualcosa di bloccato e incontrovertibile, come fosse legato ad un ineludibile destino di violenza, guerra e morte. Ha chiesto addirittura di interpretare i tempi difficili che stiamo vivendo in modo diverso. Non come percorso a senso unico, ma come sofferenza che potrà dare nuova vita al mondo. Pensiero ardito, il suo:

Amici, permettetemi di dirvi: cercate e rischiate, cercate e rischiate. In questo frangente storico le sfide sono enormi, gemiti dolorosi. Stiamo vedendo una terza guerra mondiale a pezzi. Ma abbracciamo il rischio di pensare che non siamo in un’agonia, bensì in un parto; non alla fine, ma all’inizio di un grande spettacolo. Ci vuole coraggio per pensare questo. Siate dunque protagonisti di una “nuova coreografia” che metta al centro la persona umana, siate coreografi della danza della vita[5].

Viene ripreso in filigrana il pensiero di Gesù nel vangelo di Giovanni, quando afferma che la vita nuova passa attraverso la sofferenza, come nel parto:

La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia[6].

Gesù parla della croce, della sua sofferenza offerta per la vita del mondo, come di un parto che dona vita piena al mondo nuovo che si sta affacciando. Proprio nel momento massimo dello sconforto offre ai discepoli una diversa interpretazione della sua morte. È un ribaltamento a cui non sono ancora pronti, ma a cui dovranno aderire, riconoscendo come la più grande catastrofe della storia diventerà radice di una pace e di una gioia che non avranno confini, perché «egli è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne»[7].
Con questo spirito costruttivo Francesco sfida i giovani: «Abbiate perciò il coraggio di sostituire le paure coi sogni. Sostituite le paure coi sogni: non siate amministratori di paure, ma imprenditori di sogni!»[8]. Certo, perché dove i discepoli erano certi che tutto era andato perduto, Gesù dirà che tutto è stato compiuto: la sua morte sarà fonte di vita piena e abbondante per tutti, nessuno escluso.
Se ci pensiamo bene, il primo “imprenditore di sogni” è proprio Francesco, che ancora una volta ci stupisce per la giovinezza del suo pensiero e della sua proposta. Proprio nel momento conclusivo della GMG ci consegna con commozione il suo grande sogno per questo mondo tanto amato da Dio e tanto lacerato dagli uomini:

In particolare, accompagniamo con l’affetto e la preghiera coloro che non sono potuti venire a causa di conflitti e di guerre. Nel mondo sono tante le guerre, sono molti i conflitti. Pensando a questo continente, provo grande dolore per la cara Ucraina, che continua a soffrire molto. Amici, permettete anche a me, ormai vecchio, di condividere con voi giovani un sogno che porto dentro: è il sogno della pace, il sogno di giovani che pregano per la pace, vivono in pace e costruiscono un avvenire di pace. Attraverso l’Angelus mettiamo nelle mani di Maria, Regina della pace, il futuro dell’umanità.
E, tornando a casa, continuate a pregare per la pace. Voi siete un segno di pace per il mondo, una testimonianza di come le diverse nazionalità, le lingue, le storie possono unire anziché dividere. Siete speranza di un mondo diverso. Grazie di questo. Avanti![9]

Si sogna la pace, si prega per la pace. Proprio in Portogallo, dove la Madonna è apparsa a tre piccoli pastorelli rivelando misteri di guerra e di pace nel mondo moderno e contemporaneo. Mai come oggi il messaggio e le profezie di Fatima è così attuale.
Proprio lì, in questo piccolo e periferico borgo ai confini dell’Europa, nel silenzio adorante e nella preghiera perseverante, il successore di Pietro ha chiesto con insistenza il dono della pace: «Ho pregato, ho pregato. Ho pregato la Madonna e ho pregato per la pace. Non ho fatto pubblicità. Ma ho pregato. E dobbiamo continuamente ripetere questa preghiera per la pace. Lei nella prima guerra mondiale aveva chiesto questo. E io questa volta l’ho chiesto alla Madonna. E ho pregato. Non ho fatto pubblicità»[10].

I diversi testi legati al tema della pace citati sopra e ripresi dalla recente Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona ci sembrano un’ottima introduzione all’articolato e ricco Dossier che segue, dove in molti modi vengono declinati i linguaggi e le pratiche della pace, che così appaiono possibili e realizzabili. Esso vuole essere una grande spinta a diventare in ogni occasione degli operatori di pace nel proprio contesto di azione civile ed ecclesiale, così da essere riconosciuti come amici e familiari di Dio: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio»[11]. Che il sogno della pace diventi sempre più una realtà concreta e sperimentabile per tutti i giovani, nessuno escluso. E per tutta la Chiesa e la società. Il mondo ne ha davvero bisogno, soprattutto in questo tempo.
Un grande ringraziamento per la tessitura del presente Dossier va a Renato Cursi, da anni membro attivo e propositivo della redazione di NPG, che con competenza ed eleganza sempre accompagna la nostra rivista in molti modi apprezzati dai lettori. La sua esperienza salesiana internazionale, oltre che la sua competenza specifica nell’ambito delle istituzioni di pace, ne fanno una vera ricchezza per noi tutti. Il suo lavoro quotidiano all’interno del mondo sociale in ottica salesiana rimane una garanzia di concretezza e sensibilità per i giovani, soprattutto per i più poveri e abbandonati.

NOTE

[1] Francesco, Udienza generale del 9 agosto 2023.
[2] Francesco, Omelia del 6 agosto 2023.
[3] Francesco, Udienza generale del 9 agosto 2023.
[4] Francesco, Discorso alle autorità, alla società civile e al corpo diplomatico del 2 agosto 2023.
[5] Francesco, Incontro con i giovani universitari, 3 agosto 2023.
[6] Gv 16,21-22.
[7] Ef 2,14.
[8] Francesco, Incontro con i giovani universitari, 3 agosto 2023.
[9] Francesco, Angelus del 6 agosto 2023.
[10] Francesco, Conferenza stampa del santo padre durante il volo di ritorno del 6 agosto 2023.
[11] Mt 5,9.

Abbonamenti

A 14 anni ormai sei grande…

Da Note di Pastorale Giovanile, dalla rubrica “Ritratti di adolescenti”, a cura dei giovani del MGS.

***

di Silvia Moretti*

14 anni. Ormai sei grande. Puoi scegliere che scuola fare, quali amici frequentare, quale sport praticare. Se continuare a trascorrere i tuoi pomeriggi tra le attività della parrocchia e dell’oratorio oppure no.
La storia di Laura (nome di fantasia) è simile a quella di molti altri ragazzi che come lei popolano le nostre case salesiane: cresciuta in una famiglia di fede, ha frequentato per volere di mamma e papà il catechismo fino a ricevere il sacramento della Cresima e ora si trova di fronte al bivio di fare proprio il cammino che fino ad ora i suoi genitori hanno scelto per lei. Nel suo caso però la scelta da fare è resa un po’ più difficile dal fatto che nella parrocchia in cui è sempre andata insieme a mamma e papà non c’è più niente per i ragazzi della sua età. Nessun gruppo, nessuna proposta stimolante per una ragazza piena di energia come lei. Che fare? Certo, lei ha piacere ad andare a Messa, ma anche volendo provare qualcosa di nuovo, la sua comunità non ha molto da offrirle.
A 14 ormai sei grande, ma ancora è presto per fare scelte importanti senza il condizionamento dei pari. Per fortuna (o grazie a Dio!) Laura ha un cugino che frequenta l’oratorio dei salesiani. “È un bel posto, ci divertiamo, ti fai tanti amici”. Anche la zia, catechista frizzante, spinge per il coinvolgimento di Laura nelle attività dell’oratorio. La giovane si lascia convincere dalle parole dei suoi cari e si butta in questa nuova avventura.
I nuovi inizi però non sono sempre tutto rose e fiori. I nostri ambienti sanno essere tanto belli e tanto attraenti per chi arriva da fuori ma anche tanto “esclusivi”, quando non escludenti. Laura non molla, non è una che si arrende facilmente. A darle forza sicuramente è stato l’intervento di un salesiano, che con cura le si è fatto vicino; più di tutto, a infonderle coraggio è stato il fatto che l’ingresso in oratorio abbia risvegliato un desiderio che custodiva già nel cuore e che aveva solo bisogno di essere attivato: il desiderio di essere utile, di dare una mano, di mettersi al servizio. Non c’è niente che dia più gioia a Laura dello stare con i bambini. La prima Estate Ragazzi poi diventa per lei l’esperienza più intensa e significativa che abbia mai fatto nella sua giovane vita. Come è possibile che tutta la stanchezza – si chiede – si azzeri di fronte all’abbraccio di un bimbo? Come è possibile che nessuno le avesse mai raccontato di questo santo straordinario, don Bosco, che aveva scommesso tutta la sua vita sui ragazzi, soprattutto quelli più in difficoltà? Visto da fuori, l’entusiasmo di Laura è quasi commovente. Per chi orbita attorno agli ambienti salesiani da tanti anni, osservare lo stupore e l’emozione di chi, approcciandosi all’oratorio per la prima volta, sente veramente di aver trovato una nuova casa, è come respirare l’aria pura e fresca di montagna; permette di ricordare che davvero la missione di don Bosco per le strade delle nostre città non è ancora esaurita ma anzi, fiorisce rigogliosa.
Laura per tanti versi è fortunata, ma come i giovani di tutti i tempi vive le difficoltà della sua età. I ragazzi sono così: schietti, diretti. La loro intrinseca spontaneità a volte li rende letali. Per Laura il confronto con il nuovo gruppo non è sempre facile. Desidera essere profondamente se stessa, e allo stesso tempo questo rischia di escluderla dal gruppo. Certo, nessuno pensa che Laura sia antipatica, che non sia una ok. Però è pur sempre una nuova, e rompere la bolla può essere difficilissimo. Nell’età delle superiori si fanno ordinariamente esperienze che creano legami fortissimi tra i ragazzi. Il fatto per Laura di non aver ancora potuto prendere parte a nessuno di questi eventi con i suoi nuovi compagni di cammino la fa sentire un po’ tagliata fuori da quell’energia potentissima che gli adolescenti generano quando sono in gruppo.
Laura non molla, non è una che si arrende facilmente. Senza saperlo, Laura inizia ad essere circondata da angeli custodi, come voleva don Bosco, animatori più grandi di lei e consacrati, i quali la accompagnano nel cammino e la aiutano, passo dopo passo, a rompere la bolla. Il suo desiderio di crescita è autentico, la sua voglia di mettersi in gioco e di guardarsi dentro con profondità fanno il resto.
Laura adesso è proprio una brava animatrice, proprio come piacerebbe a don Bosco e sulla scia di tanti che in questa “vocazione” hanno riempito di senso e bellezza la loro vita. Presente, disponibile, gioiosa, fedele. Autentica, credibile e credente.

* 26 anni, genovese, laureata in Filosofia e in Antropologia Culturale ed Etnologia. Animatrice presso l’oratorio salesiano di Genova Sampierdarena.

Abbonamenti

Dalle fatiche personali alla scelta dell’educazione: la storia di Elisa

Dalla rubrica “Ritratti di adolescenti” di Note di Pastorale Giovanile.

***

di Matteo Guernieri *

L’incontro

Tra le varie storie che si intrecciano nel cortile dell’Oratorio Sacro Cuore di Bologna, desidero raccontare quella di Elisa, una ragazza di 19 anni, residente a Castel Maggiore, nella provincia bolognese.
Il nostro primo incontro è stato in Oratorio nell’estate del 2021, al suo primo anno di animazione, mentre io esordivo come educatore. Col tempo, grazie a fraterni confronti ed esperienze condivise è nata una sincera amicizia che dura tuttora.
Elisa è una ragazza estroversa, introspettiva, testarda, responsabile, sensibile e generosa.
Ho scelto di condividere questo volto, perché la sua vita ha fatto, prima di tutto, molto bene a me.
È l’avventura di una ragazza che ha deciso per davvero di fidarsi di don Bosco, a piccoli passi, confidandosi e spendendosi nelle quotidiane responsabilità che le affidavano i salesiani e i suoi educatori. Questa fiducia le ha permesso di crescere, maturare, mettersi in gioco, riscoprirsi e conoscere i suoi talenti e i suoi desideri più profondi, tra cui quello di mettersi al servizio dei più piccoli.

La crescita

Elisa ha incontrato per la prima volta i salesiani alla scuola media Beata Vergine di San Luca. I suoi genitori reputavano la scuola salesiana più facile e quindi adatta a loro figlia. Secondo loro, infatti, “si impegnava poco”.
Di quel periodo conserva un dolce ricordo dovuto specialmente ai professori.
«Inizialmente mi sentivo spaesata, era un ambiente inclusivo ed espansivo, totalmente diverso da quello delle elementari e da quello che respiravo a casa. Gli insegnanti e i salesiani si interessavano di noi, come amici». Con tenerezza rammenta la sua maestra di matematica, dalla quale si sentiva presa a cuore, aiutata e voluta bene, nonostante non riuscisse ad ottenere un buon rendimento.
Le attività a cui ha preso parte hanno aiutato a far emergere il suo carattere estroverso e intraprendente. Divenne presto un punto di riferimento per i più piccoli. Concluse il suo ultimo giorno di scuola con un lungo pianto finale: «Mi ero trovata finalmente bene»

In cerca di autonomia

Elisa descrive i suoi genitori come figure assenti, molto impegnate e distaccate. Fin da piccola si ritrova da sola a casa per interminabili pomeriggi e sente i suoi genitori poco interessati alla sua vita e alle sue passioni. Questo la spinge a diventare presto autonoma e maturare.
Elisa percepiva una certa preferenza nei confronti di suo fratello maggiore, che rese ostile il clima a casa.
In aggiunta, avvertiva le aspettative da parte di sua mamma riguardo al suo fisico. Essere magra era per lei sinonimo di bellezza. Per la sua salute, l’ha disincentivata a proseguire tennis, nonostante Elisa ne fosse appassionata, e l’ha sollecitata a registrarsi in palestra.
Si preoccupò di metterla a dieta, portandola da una nutrizionista. Elisa acconsentì per non deluderla. Esordirono così i primi disturbi legati al cibo.
Sua mamma era convinta di sapere il suo vero bene, senza cercare un confronto sincero con sua figlia. Elisa nel corso delle superiori percepisce sempre più il desiderio di evadere da casa e ogni attività salesiana era per lei una via di fuga.

I tormenti dell’adolescenza

Il primo anno di superiori è stato molto tormentato. Si registrò all’indirizzo di “scienze umane” di una scuola pubblica nella quale è resistita solo 6 mesi. Le sue compagne di classe, infatti, la prendevano di mira perché non era come loro: non fumava, non le piaceva andare in discoteca, vestirsi firmata… Il clima di competizione ha fatto insorgere seri problemi di ansia legati allo studio e al gruppo di amici.
Desiderosa solo di scappare, i suoi genitori le fecero intraprendere l’indirizzo economico, lo stesso che aveva conseguito sua mamma, benché non fosse minimamente incline ai suoi interessi. Negli anni, con dedizione è riuscita a migliorare il suo rendimento scolastico e a “guadagnarsi” l’amicizia dei suoi nuovi compagni di classe. Difatti, non erano amicizie veritiere, ma legate all’apparenza e ai favori.
In terza superiore, le viene proposto da una sua amica d’infanzia, Ilaria, di fare l’animatrice nell’Oratorio Salesiano Sacro Cuore. Proprio in quel periodo, grazie all’esperienza dello scoutismo, Elisa stava maturando il desiderio di dedicarsi ai più piccoli.
Nei giorni di preparazione scopre a malincuore che Ilaria aveva invitato anche il suo fidanzato. Nella prima settimana, la coppia era inseparabile ed Elisa non riusciva ad avere un momento da sola con la sua amica, come sperava. Vedendola piangere e rattristata sui gradini dell’Oratorio, molti animatori le si avvicinavano per consolarla e cercavano di coinvolgerla. Rimaneva stupefatta della loro genuina e gratuita accoglienza.
Nel cortile leggeva la possibilità di coltivare amicizie autentiche, libere e liberanti. Una promessa che mancava nella sua compagnia di paese e nella sua classe.
Animata da questa speranza, dalla passione di animare i ragazzi e dal costante desiderio di scappare da casa, Elisa ha deciso di registrarsi anche alle successive settimane, al contrario dei suoi due amici. Ha fatto un salto nel vuoto, confidando nell’ambiente salesiano.
Nell’ultima settimana era diventata una persona nuova: raggiante, propositiva e socievole.
Sempre mossa dal bisogno di amicizie sane e trascinata dalle insistenze degli altri animatori, da settembre di quell’anno prese parte al gruppo formativo Triennio dell’Oratorio e alla Scuola Formazione Animatori proposta dall’Ispettoria.
Dai salesiani e dai ragazzi del gruppo sperimentò l’«essere voluta bene anche se non faceva nulla in cambio». Negli educatori che la accompagnavano, ha trovato fratelli maggiori con cui confrontarsi e dal loro servizio si sentiva profondamente ispirata.
Dall’estate del 2022, ha iniziato a sentire il cortile come la sua “vera casa”, ad assaporare la pienezza della vita: «non mi mancava niente». Con entusiasmo si propone per qualsiasi compito da svolgere, anche poco piacevole, ed è sempre in mezzo ai ragazzi. Non vuole mai andarsene dall’Oratorio. Pur di restarci, è disposta a pregare le Lodi e i Vespri coi salesiani. Questi semplici appuntamenti hanno risvegliato in lei il desiderio di raccoglimento e di conoscere la paternità di Dio.
In quell’estate nasce una fraterna amicizia con un giovane salesiano della casa. Nelle piccole responsabilità che le affida legge un’inaspettata fiducia nei suoi confronti, che la incoraggiano a credere più in se stessa. Sentitasi compresa e voluta bene, decide di raccontarsi e di confidare gli aspetti più delicati della sua vita. Ad ogni confronto, il salesiano termina riprendendo aneddoti e consigli che Don Bosco suggeriva ai suoi ragazzi. In queste brevi e concrete catechesi conosce il carisma salesiano e ne rimane affascinata.
Insoddisfatta di come spendesse il suo tempo, decide di spenderlo per coloro che ne hanno bisogno. Di conseguenza, si è impegnata insieme ad altri ragazzi dell’oratorio a dare una mano alla Caritas e al dopo scuola con ragazzi stranieri. Sono state esperienze preziose di pienezza, che l’hanno aiutata a decentrarsi dai suoi problemi. Al viaggio di maturità con i suoi compagni di classe, ha preferito la GMG a Lisbona al fine di vedere il Papa e sperimentare l’universalità della Chiesa. L’ha definita l’esperienza più bella della sua vita.
Desiderosa di «prendersi cura dei piccoli nel carisma salesiano», a settembre Elisa inizierà il corso universitario di scienze dell’educazione e svolgerà il servizio di educatrice delle medie nell’oratorio salesiano.

23 anni, originario di Mantova, studia scienze biologiche a Bologna. Ama le escursioni in montagna con i suoi due fratelli. Da tre anni educatore presso l’Oratorio Salesiano Sacro Cuore di Bologna, dove ha trovato un ambiente prezioso per esprimersi, avere delle responsabilità, prendersi cura dei più piccoli e decentrarsi dai suoi problemi. Nelle storie dei ragazzi che si sentono finalmente a casa in Oratorio sente di leggere la mano di Dio che li ha accompagnati fin lì per amarli e accompagnarli a crescere.

Abbonamenti

Anche un alieno può trovare casa

Pubblichiamo il primo articolo di una nuova rubrica di Note di Pastorale Giovanile, a cura dei giovani del MGS: “Ritratti di adolescenti”

Apriamo una nuova e speriamo gradita rubrica, diciamo “giovani al quadrato”. Nel senso di una galleria di giovani (degli ambienti salesiani) incontrati da altri giovani (MGS, insegnanti, animatori…), per mostrare proprio nel concreto vitale i dinamismi dell’incontro, della relazione, della presa in cura… in una parola dell’educazione. In effetti particolarmente significativa per il lettore può essere la testimonianza dei giovani che – giovani essi stessi – stanno in mezzo agli adolescenti e giovani, condividendo le stesse situazioni, ambiti di vita, problemi, speranze… “sogni e incubi”. Una dozzina di ritratti, tanto per cominciare, i cui tratti significativi è facile rintracciare negli adolescenti che ogni giorno incontriamo  e con cui viviamo un cammino di crescita reciproca”. 

***

Lucia Zaccaron *

Un alieno al doposcuola
Ho conosciuto Marco al doposcuola. La nostra casa salesiana di Santa Maria la Longa (UD) offre questo servizio ai ragazzini delle medie che hanno bisogno di un aiuto per impostare il loro studio pomeridiano. All’epoca Marco frequentava la seconda. Fin da quando me l’hanno presentato, ho avuto l’impressione di avere a che fare con un alieno. Lui ricorda che lo aiutavo nei compiti di francese, ma io ho un solo flash di quell’anno di doposcuola: Marco che durante la ricreazione schiaccia l’interruttore della luce e mi chiede perché si accende. Era un modo che nessuno aveva ancora mai sperimentato per farmi saltare i nervi o era seriamente interessato? Non lo so ancora, ma lui sembrava coinvolto nel suo armeggiare con l’interruttore e ben poco propenso a chiacchierare e giocare con gli altri ragazzini. Quando gli parlavo o dovevo fargli fare qualcosa, avevo l’impressione che il mio messaggio percorresse anni luce prima di raggiungerlo e che non sempre arrivasse a destinazione. Era così immerso nel suo mondo che la sua assenza l’anno dopo non mi aveva stupito: forse era tornato sul pianeta da cui era venuto. In quell’anno facevo servizio civile, i ragazzi del doposcuola mi erano entrati nel cuore e con le loro difficoltà e risorse nascoste erano riusciti a farmi intravvedere quale sarebbe stata la mia strada, ma Marco era troppo distante per creare un legame con lui e allo stesso tempo troppo diverso da tutti per dimenticarmene. Mi era rimasto solo il rimpianto di non aver fatto abbastanza.

Alla ricerca di un riferimento
Un anno dopo, è stato attraverso un finestrino bagnato che ho rivisto Marco. Una domenica pomeriggio di pioggia e la confusione delle macchine sono l’inizio ordinario di un camposcuola speciale, dedicato ai ragazzi di terza media. Molto più tardi ho scoperto che Marco non voleva proprio partecipare a quel campo: lo aveva iscritto suo padre a tradimento e lui non gli aveva parlato per tutto il viaggio. Dopo l’estate ragazzi con i salesiani, ora lo aspettavano camminate faticose, coetanei che forse lo avrebbero preso in giro, proposte assurde come la Messa quotidiana. L’unica certezza: non doveva fare la Comunione. Questo glielo aveva raccomandato sua mamma perché non era battezzato. Per Marco è stato un campo un po’ difficile: i suoi peggiori pronostici si sono avverati.
In tutto questo io dov’ero? A quanto pare lì, ma non mi sono accorta di niente. Ero troppo immersa nei miei problemi, impigliata in una relazione preziosa che si era rotta e incapace di vedere oltre le mie difficoltà. Stare con Marco era una sicurezza: lo conoscevo già e lui non rifiutava la mia compagnia, ma non posso dire che l’avevo realmente a cuore. Lui invece ha preso sul serio quel tempo passato insieme, così, quando abbiamo fatto a tutti i ragazzi la proposta di scegliere un animatore di riferimento, lui ha chiesto a me. Come potesse trovare in me un riferimento non lo capivo, di sicuro dovevo iniziare ad averlo a cuore davvero.

In cammino
Così Marco ha iniziato le superiori. Si era iscritto a meccanica presso il CFP dei salesiani a Udine, ma è stato bocciato il primo anno. Quando mi ha spiegato le sue difficoltà nelle materie di indirizzo, ho iniziato finalmente a capire qualcosa di lui. Un suo professore gli aveva fatto notare che lui vedeva le cose diversamente dagli altri, che se gli si chiedeva di disegnare una bicicletta la sua rappresentazione aveva un punto di vista diverso da quello di chiunque altro. Da quel momento ho cercato di mettermi nei suoi panni, di guardare dalla sua prospettiva, anche se mi è sempre risultato difficile. Poi lui ha cambiato indirizzo (sì, elettricista! Ci sarà pure un motivo se giocava con gli interruttori della luce!) ma il suo percorso scolastico è sempre stato un po’ faticoso, perché anche i tirocini che dovevano motivarlo in realtà lo frustravano, inserendolo in ambienti poco accoglienti o in cui non riusciva a trovare il senso della fatica che gli era richiesta.
Nel frattempo Marco ha iniziato a confrontarsi con l’animazione perché voleva seguire le orme di un amico che era diventato per lui un modello, ma anche questo cammino è stato tortuoso. Sebbene avesse trovato un ambiente familiare e accogliente, non si sentiva mai abbastanza autorevole con i ragazzi o abbastanza brillante. Questo senso di inadeguatezza lo avrebbe fatto desistere, se non avesse trovato un compagno di classe e di animazione capace di incoraggiarlo.

L’alieno trova casa
Quello che forse però faceva sentire Marco diverso anche nel gruppo di animatori era la scelta dei genitori di non battezzarlo. Così, quando un salesiano gli ha proposto di iniziare la catechesi per ricevere il battesimo, lui ha accettato con entusiasmo. L’ancora era il paradiso: magari non capiva niente della Messa, non conosceva il Vangelo, però credeva nel paradiso. (Ma questo non mi stupiva affatto… I ragazzi credono nel paradiso: quando a scuola spiego la Divina Commedia e chiedo ai miei alunni mezzo atei cosa immaginano che ci sia dopo la morte… tutti immaginano un aldilà: siamo fatti per credere in qualcosa che ci supera!) Ogni mercoledì si fermava dai salesiani dopo la scuola, seguiva il catechismo con un salesiano laico e condivideva il resto del pomeriggio con due amici dell’anima, tra servizio di assistenza e relax.
Nel frattempo io mi ero un po’ allontanata dal Live (il cammino del nostro gruppo animatori) e seguivo i passi di Marco più da lontano ma sempre con stupore. Vederlo crescere e fare delle scelte mi meravigliava. Quando lo aiutavo con i compiti di francese non avrei scommesso un centesimo su di lui, invece stava diventando un ragazzo buono, capace di prendersi cura dei più piccoli, di farsi voler bene da tutti e di coinvolgere amici nell’animazione, desideroso di trovare la sua strada, che si lasciava interrogare da qualcosa di più grande.
Fargli da madrina il giorno del suo battesimo è stato uno dei momenti più belli della mia vita. Quel Dio che sceglie ciò che agli occhi del mondo è piccolo e debole aveva fatto sentire il suo amore a Marco anche attraverso di noi. La festa è stata semplice, con un gruppo di amici nella casa salesiana che era per Marco parrocchia, scuola e cortile. Quella sera, quando ci ha dato la buonanotte, ci ha confidato che si sentiva a casa e che aveva trovato in noi la sua seconda famiglia.

To be continued…
Marco ora ha terminato la scuola, si è messo gioco in un’esperienza di servizio civile e di comunità e sta cercando la sua strada. Ha ben chiaro quali sono le coordinate della sua vita: la consapevolezza di come l’esperienza del Live abbia cambiato lui e di riflesso la sua famiglia, l’importanza di trovare del tempo per spendersi gratuitamente per gli altri, il desiderio di proseguire nella formazione, la capacità di trovare bellezza nei gesti più semplici. Per me è ancora un po’ un alieno, per questo lo ascolto volentieri e cerco di vedere le cose anche dalla sua prospettiva, perché sento che mi arricchisce. Non ho idea di cosa diventerà, so solo che finora ha percorso una strada difficile facendo scelte coraggiose e controcorrente, con fermezza e disarmante semplicità. Forse non se n’è ancora accorto, ma con il suo fiuto per ciò che è buono riesce sempre a trovare una casa e a far sentire a casa anche chi gli sta intorno.

Friulana, 34 anni, ha sempre fatto nella vita quello che non voleva: prima l’animatrice, poi l’insegnante di sostegno e ora la prof. di lettere. Dai ragazzi, soprattutto dai più difficili, ha imparato chi è Dio. La sostengono dei buoni amici che fanno da “angeli custodi” e una famiglia che le ha sempre insegnato ad affrontare le tempeste.

 

Abbonamenti NPG

 

 

 

Consulta Nazionale della Pastorale Giovanile della CEI, il saluto di don Michele Falabretti

Dal 11 al 13 settembre 2023 si è tenuta la Consulta Nazionale della Pastorale Giovanile della CEI al Priorato di S. Pierre, in Val d’Aosta. Per i Salesiani in Italia ha partecipato don Elio Cesari, nuovo coordinatore nazionale della Pastorale Giovanile.

Si trattava dell’ultimo incontro coordinato da don Michele Falabretti, al termine dei suoi undici anni come Direttore del Servizio Nazionale per la PG: don Michele ha voluto offrire con questa occasione un tempo per fare una verifica del lavoro fatto e condividere alcune prospettive di futuro.

Facendo riferimento ad un articolo – intervista che sarà pubblicato sul numero di gennaio  di Note di Pastorale Giovanile, don Falabretti ha suddiviso il lavoro secondo tre tempi:

– Primo tempo: Undici anni

– Secondo tempo: Le sfide di oggi

– Terzo tempo: Verso il futuro

Il clima di condivisione e di gratitudine reciproca ha permesso di vivere questo tempo come un lavoro utile da consegnare al prossimo direttore della PG nazionale.

Molto toccante il ringraziamento finale di don Michele:

Alla CEI, dunque, devo riconoscenza per avermi coinvolto in un’avventura che ho sempre ritenuto immeritata. Un’esperienza che mi ha fatto vedere il mondo. Quello italiano, di cui pensavo di conoscere qualcosa ma che un po’ alla volta mi si è rivelato come molto più grande e più bello di quanto immaginassi. Penso ai luoghi: l’Italia è davvero un paese meraviglioso. Ma penso soprattutto alle persone, alle storie e tradizioni cristiane, alla fede e alla spiritualità che attraversa il Paese più del genio artistico (che spesso ne è solo un’espressione).

Penso alle diocesi, ai loro vescovi, agli incaricati di pastorale giovanile e ai loro collaboratori che spesso mi hanno accolto e ospitato, talvolta alla loro tavola e nelle loro case. Ho ascoltato molto, ho ricevuto accoglienza, rispetto e fiducia: non me ne sono mai andato da un posto con la sensazione di essere stato mal sopportato o di aver perso tempo. La storia di fede delle chiese in Italia, con le sue tradizioni, è davvero incredibile e non c’è come girare per poterla capire e in un certo senso toccare.

Vorrei dire grazie a Note di Pastorale Giovanile, in particolare a don Rossano e a don Giancarlo, ma anche a don Claudio e a don Roberto: il lavoro di questi anni è stato tanto, ma mi ha costretto a fermarmi e a pensare.

Vorrei dire grazie a chi ha lavorato quotidianamente con me in ufficio: senza di loro avrei potuto fare un decimo di ciò che ho fatto. Alla Consulta nazionale che mi ha aiutato a non chiudermi nei miei pensieri e spesso mi ha costretto a rivedere le mie convinzioni; a chi ho disturbato spesso e senza apparire mi ha sostenuto con preziosi consigli e contributi di lavoro. Un grazie speciale ai giovani che mi hanno accompagnato nei momenti in cui il lavoro si faceva frenetico, quelli che abbiamo chiamato gli “animatori di Casa Italia”; mi hanno riempito di affetto e non mi hanno fatto mancare la cosa più importante: lo sguardo dei giovani sulla vita, senza il quale il nostro lavoro non avrebbe senso.

Come Salesiani in Italia, esprimiamo la grande riconoscenza a don Michele per il suo servizio serio e profondo, continuando con il suo successore l’impegno nella collaborazione per il bene di tanti giovani.

Grammatica e sentieri di sinodalità nella PG – Eucaristia

Da NPG di settembre/ottobre.

***

di Gianluca Zurra

Esiste un legame fondamentale e tradizionale tra Eucaristia e sinodalità: la prima è la sorgente della seconda, è ciò che configura sinodalmente la Chiesa. Quando il sinodo inizia con la celebrazione eucaristica, non si tratta di un’aggiunta introduttiva posticcia, ma dell’esperienza rituale di Gesù che sta al cuore della sinodalità. Nell’Eucaristia, infatti, la comunità cristiana si raccoglie e si ferma attorno al suo Signore nella forma di un’assemblea radunata, dunque di una fraternità reale e visibile: l’incontro culminante con Gesù, che sceglie di essere riconosciuto allo spezzare del pane, accade nell’impensata prossimità con i fratelli e le sorelle, e mai senza di essa.
Per questo l’agire sinodale della Chiesa non è riducibile ad una organizzazione esteriore, neppure a procedure più o meno efficaci, per quanto importanti, ma è fin dall’inizio un’esperienza spirituale: se nell’Eucaristia diventiamo il Corpo di Cristo nella storia umana, così la sinodalità vissuta come ricerca di una consonanza nello Spirito tra soggetti diversi diviene “ripresentazione” di Cristo oggi: “dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.
Tramite l’Eucaristia e passando in essa la Chiesa si forgia in prospettiva sinodale, poiché il primato di Gesù e dell’annuncio del Regno assumono come condizione e come figura la relazione dialogica tra tutti i soggetti ecclesiali.
Questo stretto legame tra Eucaristia e sinodalità può essere compreso soltanto alla luce del rinnovamento liturgico del Concilio, che ci ha rieducati a riscoprire la celebrazione eucaristica non come azione intimistica, né come devozione privata, ma come gesto comunitario che fa esistere la Chiesa Popolo di Dio nella forma del Corpo di Cristo. È il rito come pasto condiviso che ci chiede di non disgiungere mai il legame con Gesù dalla prossimità con gli altri, facendo così della sinodalità la condizione concreta e spirituale dell’incontro con il Signore e della sua presenza reale tra gli uomini.

L’Eucaristia come pasto

Il pasto è la forma rituale tramite cui la Chiesa, nell’Eucaristia, fa memoria di Gesù Risorto, riconoscendolo come il Vivente e il Veniente verso di noi in ogni tempo. Come ci attestano gli Atti degli Apostoli, ben presto le prime comunità cristiane si radunano il primo giorno dopo il sabato per spezzare il pane in memoria del Signore in ambienti domestici. La scelta dei luoghi non è casuale: manifesta come la Chiesa si sia lasciata disegnare in profondità dai tratti e dallo stile di Gesù, riconoscendo il legame con Lui dentro le esperienze più comuni della vita. La casa, e non più il tempio, diventa lo spazio per l’ascolto degli apostoli, per la preghiera, per il pasto comune e per la fraternità.
In effetti, Gesù ha voluto consegnarsi a noi tramite un pasto condiviso, gesto attorno al quale riassume tutto il senso del suo vivere e del suo morire. Egli si rivela Maestro nella sua ineguagliabile capacità di assumere questa esperienza umana fondamentale in modo unico. Non rinuncia a sedersi a tavola, anzi: molto spesso, nei racconti evangelici, viene sorpreso come ospite a casa di qualcuno. Non ha paura di ricordare al padrone di casa che stare davvero a tavola significa rinunciare ai primi posti, proprio perché ci si ritrova attorno ad un unico tavolo[1]. Con delicatezza, ma anche con forza, restituisce al pasto la sua qualità ospitale: per Gesù non ha senso un prendere cibo che non apra alla condivisione con gli ultimi e all’ospitalità reciproca, di cui diventa emblema la donna del profumo, unica commensale ad accogliere il Maestro sprecando senza remore il nardo in abbondanza[2].
L’ultimo gesto di Gesù, a sua futura memoria, è una cena, durante la quale si ringrazia, si condivide e si chiede, con tutto il dramma conseguente, che la comunione tra i commensali possa resistere anche alla dispersione provocata dalla morte. Questa volta è lui a farsi cibo per tutti, donando il suo corpo come pane che sostenta per sempre. Non solo, ma da Risorto si fa cuoco, cucinando sulla riva pani e pesci sulla brace ardente, a favore dei discepoli smarriti e affamati[3].
D’altronde aveva già manifestato la sua affabilità col cibo raccontando molto tempo prima la parabola del padre misericordioso[4], dipingendo il figlio minore nell’atto di sentire la misericordia del padre attraverso il banchetto preparato per il suo ritorno. Il figlio maggiore, invece, anoressico e inappetente per l’invidia, non riuscirà a sedersi alla tavola della riconciliazione.

 

Continua a leggere

Abbonamenti

Quattro grandi sogni per la pastorale giovanile

Dall’ultima newsletter di Note di Pastorale Giovanile.

***

di don Rossano Sala

Un approfondimento della proposta pastorale che ci invita a camminare sulla strada dei sogni non può che concludersi con un rilancio della pastorale giovanile. Anch’essa infatti ha i suoi sogni e i suoi incubi, i suoi desideri e le sue incertezze. Nutre speranze e cerca di allontanare paure.
Ripartiamo ancora una volta dal Sinodo sui giovani, anche se sono passati cinque anni da quel momento e tante cose sono accadute nel frattempo: abbiamo avuto la pandemia, che ha bloccato una serena e seria ricezione del Sinodo stesso e da cui stiamo faticosamente uscendo; stiamo vivendo durante questa estate l’esperienza entusiasmante della Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona, che immaginiamo come momento di rilancio della pastorale dei giovani nella Chiesa tutta; siamo nel pieno di un percorso sinodale sulla “sinodalità” che ci accompagnerà per i prossimi anni; ci stiamo anche avvicinando velocemente al grande Giubileo del 2025.
Facciamo dunque insieme qualche passo indietro per prendere una buona rincorsa, così da compiere un bel salto nel futuro. Nello sport funziona così: si va indietro con l’intenzione di andare avanti meglio, prendendo lo slancio giusto e partendo dalla corretta distanza.
Mi pare, sinteticamente, che il cammino sinodale con i giovani ci ha proposto quattro grandi sogni. Potremmo definirli i quattro grandi orientamenti emersi dal Sinodo sui giovani, che ha immaginato la pastorale giovanile:
Sinodale: capace di fare rete e di fare squadra con tutti gli attori in campo sia civili che ecclesiali, giovani compresi, convinta che la comunione è la via privilegiata dell’evangelizzazione
Popolare: in grado di coinvolgere e arrivare a tutti i giovani, nessuno escluso, privilegiando in particolare coloro che sono più svantaggiati e problematici
Vocazionale: qualificata dal punto di vista della proposta spirituale e in grado di offrire identità cristiana ai giovani che desiderano vivere un’amicizia autentica con Gesù nella Chiesa
Missionaria: che sia espressione di una Chiesa adulta e matura che ha smesso di essere autoreferenziale e sa uscire da se stessa per andare incontro a tutti

Sinodale: capace di corresponsabilizzare i giovani

Il primo sogno riguarda la nostra “profezia di fraternità”, che assume oggi la sua declinazione sinodale. Durante il percorso sinodale la domanda iniziale da cui siamo partiti era: “Che cosa dobbiamo fare per i giovani?”. Ma questa domanda pian piano si è trasformata. Dalla concentrazione sul fare organizzativo il percorso sinodale ci ha chiesto di verificarci sui nostri stili relazionali e sulla qualità dei nostri cammini comunitari. Siamo stati sollecitati dai giovani stessi a un passaggio dal fare all’essere e dal “per” al “con”: la nuova domanda è divenuta “Chi siamo chiamati ad essere con i giovani?”.
Con frequenza sono chiamate in causa le comunità e le Chiese locali, invitate a dar vita a processi comunitari che includano i giovani. Più che manuali teorici, servono occasioni in cui mettere a frutto l’ingegno e le capacità dei giovani stessi, ossia un approccio dal basso anziché dall’alto, avendo cura di raccogliere e condividere quelle buone pratiche coronate da successo. Anche per le Chiese questo invito a fidarsi dei giovani contiene una sfida – quello di dare loro la parola – e richiede il coraggio di mettere in discussione ciò che si è sempre fatto. Si tratta, ancora una volta, di rischiare insieme, perché

la pastorale giovanile non può che essere sinodale, vale a dire capace di dar forma a un “camminare insieme” che implica una “valorizzazione dei carismi che lo Spirito dona secondo la vocazione e il ruolo di ciascuno dei membri della Chiesa, attraverso un dinamismo di corresponsabilità. […] Animati da questo spirito, potremo procedere verso una Chiesa partecipativa e corresponsabile, capace di valorizzare la ricchezza della varietà di cui si compone, accogliendo con gratitudine anche l’apporto dei fedeli laici, tr0a cui giovani e donne, quello della vita consacrata femminile e maschile, e quello di gruppi, associazioni e movimenti. Nessuno deve essere messo o potersi mettere in disparte”[1].

Vi sono dunque delle responsabilità a vari livelli: tutti i giovani, ogni credente, la comunità locale, i movimenti e le congregazioni religiose, ogni singola diocesi. E in tutto questo chi ha responsabilità, e quindi autorità, nella Chiesa e nella società è chiamato in causa. Come è stato ben espresso in vari momenti del cammino sinodale, l’autorità o è generativa o non è: «Nel suo significato etimologico la auctoritas indica la capacità di far crescere; non esprime l’idea di un potere direttivo, ma di una vera forza generativa»[2]. Per questo «esercitare l’autorità diventa assumere la responsabilità di un servizio allo sviluppo e alla liberazione della libertà, non un controllo che tarpa le ali e mantiene incatenate le persone»[3]. La delusione istituzionale è uno dei tratti emersi nel cammino di ascolto di preparazione al Sinodo. Sappiamo persino del fallimento della stessa autorità degli adulti e dei pastori nella triste vicenda degli abusi, più volte richiamata durante l’Assemblea sinodale.
Ora l’autorità della Chiesa, a tutti i suoi livelli, si trova davanti a una chance di tutto rispetto: quella di prendere iniziativa, di invitare tutti a mettersi in gioco, di aprire spazi di confronto e di protagonismo, di creare le condizioni per una Chiesa sinodale e solidale, caratterizzata da un modo di vivere e lavorare insieme che sia davvero profetico per se stessa e per la società in cui vive. Il Sinodo, in fondo, ci ha consegnato proprio questo quando ha parlato di sinodalità. Cioè il fatto che non si possa più fare pastorale senza i giovani!

Dall’idea di “sinodalità” viene per noi una prima importante domanda: i giovani per noi sono un “problema da risolvere” o una “risorsa da coinvolgere”? Dalla risposta onesta a questo interrogativo nascerà un orientamento preciso per rinnovare la pastorale giovanile

Popolare: desiderosa di non lasciare indietro nessuno

Il soggetto fondamentale della fede è il popolo, dentro cui ci siamo noi come singoli, giovani compresi. Questa è la Chiesa secondo il Concilio Vaticano II, che pone il primato del popolo di Dio rispetto ai diversi stati di vita e alle differenti ministerialità. Lo stiamo riscoprendo in questi anni con papa Francesco. Il tutto ci riporta verso la “teologia del popolo di Dio”, che in America Latina è stata sviluppata negli ultimi cinquant’anni. La tesi fondamentale è tanto semplice quanto rivoluzionaria: il popolo, prima che destinatario dell’opera dei pastori, è depositario della grazia che salva. Convinzione che, se presa sul serio, rovescia moltissime delle nostre certezze e posizioni! E che apre il campo ad una pastorale giovanile popolare:

Oltre al consueto lavoro pastorale che realizzano le parrocchie e i movimenti, secondo determinati schemi, è molto importante dare spazio a una “pastorale giovanile popolare”, che ha un altro stile, altri tempi, un altro ritmo, un’altra metodologia. Consiste in una pastorale più ampia e flessibile che stimoli, nei diversi luoghi in cui si muovono concretamente i giovani, quelle guide naturali e quei carismi che lo Spirito Santo ha già seminato tra loro. Si tratta prima di tutto di non porre tanti ostacoli, norme, controlli e inquadramenti obbligatori a quei giovani credenti che sono leader naturali nei quartieri e nei diversi ambienti. Dobbiamo limitarci ad accompagnarli e stimolarli, confidando un po’ di più nella fantasia dello Spirito Santo che agisce come vuole[4].

Una pastorale giovanile popolare è per sua natura “anti-elitaria” – cioè inclusiva di tutti i membri del popolo di Dio che invita ad avere ambienti di accoglienza “a bassa soglia” – ed anche in un certo senso “spontanea” – cioè capace di lasciare l’iniziativa ai giovani, certi che lo Spirito di Dio è presente e agisce in loro. È una pastorale giovanile che sa camminare lentamente e che intende non lasciare indietro nessuno: la profezia sta qui nell’attenzione a non abbandonare i giovani ai margini, a farsi accanto a ciascuno nello stile del buon samaritano.
La capacità di inclusione è la chiave della proposta pastorale avanzata in alcuni passaggi interessanti della Christus vivit e ridimensiona una spinta esagerata per la trasmissione teorica di verità dottrinali che non toccano la vita dei giovani. Le comunità cristiane sono così invitate a offrire spazi di accoglienza senza troppe barriere, e alle scuole cattoliche è chiesto di non trasformarsi in bunker a difesa dagli errori della cultura esterna, impermeabili al cambiamento. Particolarmente stimolanti sono i paragrafi dedicati alla «pastorale giovanile popolare»[5]: partono dal riconoscimento che i luoghi tradizionali della pastorale (oratori, centri giovanili, scuole, associazioni, movimenti) sono in grado di andare incontro alle esigenze di una certa parte del mondo giovanile, ma ne escludono inevitabilmente altre. Quanti professano fedi diverse o si dichiarano non religiosi, e coloro che per tante ragioni sono segnati da dubbi, traumi o errori, faticherebbero a integrarsi nella pastorale ordinaria, ma non per questo hanno meno bisogno di trovare porte aperte e di essere sostenuti a compiere il bene possibile.

Dall’idea di “popolarità” vengono delle domande che si riferiscono al riconoscimento delle diverse situazioni esistenziali dei giovani: quali sono le diverse soglie di accoglienza dei giovani nelle nostre strutture ecclesiali? Abbiamo differenti proposte di accesso alla fede per i giovani? Abbiamo spazi in cui i giovani possano davvero sentirsi protagonisti del loro futuro?

Continua a leggere
Abbonamenti

Non vogliamo essere davvero “l’ultima generazione”!

Da Note di Pastorale Giovanile.

***

Cos’è la bellezza? Ciò che è capace di appagare l’animo attraverso i sensi, divenendo oggetto di meritata e degna contemplazione. L’arte ne è una delle massime espressioni! Perché allora i giovani ecoattivisti hanno iniziato ad attaccarla così violentemente?
Ogni rivoluzione è riflesso dei valori di una fase storica e, se nel Sessantotto la speranza del cambiamento era imperante, la disillusione e la paura del futuro è ciò che rimane a noi giovani d’oggi. L’universo vira verso l’autodistruzione e in troppo pochi si sono davvero accorti dell’esiguo tempo che ci rimane prima che la direzione presa sia irreversibile.
Si parla di attivisti di “Ultima generazione”, poiché è proprio il tempo ad essere il fulcro delle proteste. Smacchiare un vetro (non opere d’arte) o un muro dalla vernice è senz’altro più immediato che guarire il nostro pianeta. La vera differenza è che lascia un segno nella memoria di chi lo vede. Ma se c’è davvero così poco tempo, perché il mondo politico è così disinteressato?
Dove esporremo le opere d’arte se non ci sarà nessun mondo in cui mostrarle? Vorremmo davvero delle generazioni più silenziose? Non c’è più tempo per manifestazioni “tradizionali”, è necessario catalizzare l’attenzione mediatica, far parlare di sé, far realizzare a più persone possibili che il tempo non ci porta più verso il progresso, ma sempre più velocemente e inesorabilmente all’autodistruzione.
Come “Ultima generazione” abbiamo il diritto di protestare, di alzare ad un livello superiore lo scontro sul clima, di colpire nel segno ed educare le nuove (e vecchie) generazioni ad un ecologismo che non sia solo di facciata, ma che diventi parte dell’etica di ciascuno di noi.
Il fine giustifica i mezzi? Sì! La verità fa paura, ma è necessario aprire gli occhi e questo sembra essere l’unico modo per far parlare della crisi climatica e ottenere risposte concrete.
E per chi non fosse ancora convinto a rimboccarsi le maniche, “senza bellezza il mondo non si salva, il nostro vivere diventa pesante”, affermava Dostoevskij. È quindi nostro diritto, ma anzitutto nostro dovere difendere l’ambiente e alleggerire con la bellezza della natura la nostra vita.

Abbonamenti

Educare alla preghiera liturgica nella catechesi per i fanciulli e gli adolescenti /1

Da Note di Pastorale Giovanile.

***

di Elena Massimi

Solitamente si inizia un incontro di catechesi per i fanciulli, o per i ragazzi, con un momento di preghiera, e si termina l’incontro sempre con una breve preghiera. Ma realmente si riesce a pregare in questi brevi momenti? Si riesce ad entrare in una relazione profonda con il Signore? In realtà mi pare che nella maggior parte dei casi più che pregare i catechisti fanno i “sorveglianti” affinché nessuno disturbi, e i bambini o i ragazzi tentano di gestire la “noia” del momento nel miglior modo possibile.
Quando poi viene proposta una celebrazione di più ampio respiro, solitamente si inventano nuovi segni, che necessitano di lunghissime spiegazioni, i bambini sono coinvolti in coreografie inopportune, gli vengono messe in bocca parole ed espressioni inadeguate, spesso caratterizzate da un linguaggio eccessivamente infantile. Si dimentica come le esperienze celebrative che accompagnano la catechesi dei fanciulli o dei ragazzi debbano essere in armonia con la liturgia e mirare alla partecipazione piena e attiva alla preghiera liturgica, alla celebrazione eucaristica domenicale in primis ed eventualmente, quando saranno giovani, alla Liturgia delle ore. Altrimenti questi fanciulli o ragazzi, da adulti, non si “riconosceranno” nella preghiera cristiana.
Vogliamo di seguito offrire alcune brevi indicazioni su come educare i fanciulli o i ragazzi alla preghiera liturgica, anche attraverso quei brevi momenti di preghiera o quelle celebrazioni che caratterizzano il percorso della catechesi. Le riflessioni proposte di seguito si inspirano ad alcuni principi sottesi al Direttorio per le Messa dei fanciulli (1973).

Premessa

Prima di entrare nel vivo del nostro tema è bene evidenziare la necessità di due consapevolezze:
1. «La liturgia è un mondo di vicende misteriose e sante divenute figura sensibile» (R. Guardini). La liturgia è una azione simbolico rituale, e come tale va “trattata”: si compone, infatti, di molteplici linguaggi (dell’arte), verbali ma soprattutto non verbali: gesti, immagini, canto/musica, vesti, vasi sacri, statue, luci, aula chiesa… Bisogna tener presente che ai linguaggi dell’arte si viene iniziati… (anche imparare a cantare!)
2. «Coloro che hanno il compito di insegnare e di educare, debbono chiedersi se loro stessi siano disposti volontariamente all’atto liturgico. In termini più netti: se sappiano in assoluto che esiste questo atto, quale sia il suo profilo, e che non è un lusso, né una stranezza, ma qualcosa di essenzialmente costitutivo» (R. Guardini).

Gli elementi necessari per una proficua formazione liturgica nella catechesi

1. Avere chiaro il punto di partenza e di arrivo
Il Direttorio per le Messe dei fanciulli custodisce alcune indicazioni importantissime da un punto di vista pedagogico; si legge: «Perché non sia troppo accentuata la differenza tra le Messe per i fanciulli e quelle per gli adulti, non si faccia mai per i fanciulli un adattamento di certi riti e testi, quali “le acclamazioni e le risposte dei fedeli ai saluti del sacerdote”, il Padre nostro, la formula trinitaria della benedizione conclusiva della Messa» (Direttorio per le Messe dei fanciulli, 39). Questo significa che le celebrazioni che vengono proposte durante la catechesi, o anche le preghiere di inizio o conclusione, non devono essere “totalmente” altro rispetto alla liturgia. Dobbiamo sempre avere chiaro l’obiettivo, cioè che il fanciullo, l’adolescente, da adulto, possa partecipare pienamente alla preghiera liturgica.

2. Preparare la preghiera/celebrazione con cura
La preghiera è una «cosa seria»! Richiede quindi tempo e impegno, non si può improvvisare, e nemmeno preparare all’ultimo momento. È bene scegliere per tempo un breve testo della sacra Scrittura, una orazione, un canto… preparare eventualmente un piccolo sussidio cartaceo, ove tutto è ben ordinato, e provare i canti o eventuali spostamenti o gesti… Seppur riferite alla celebrazione eucaristica per i fanciulli, preziose sono le indicazioni del già citato Direttorio: «Accurata e tempestiva deve essere la preparazione di ogni celebrazione eucaristica per i fanciulli, specialmente per quanto riguarda le orazioni, i canti, le letture, le intenzioni della preghiera universale, non senza le dovute intese con gli adulti e con i fanciulli che svolgono in queste Messe dei compiti particolari. […]» (Direttorio per le Messe dei fanciulli, 29).

3. L’importanza del luogo… non si prega ovunque!
Non è la stessa cosa pregare in chiesa, in teatro o nell’aula di catechismo. Cambia il nostro modo di porci nella preghiera. In Chiesa sappiamo a priori che il Signore è presente e che è il luogo nel quale i cristiani si radunano per ascoltare la Parola, per celebrare l’eucarestia e gli altri sacramenti, per pregare e adorare. Nel teatro, invece, per riuscire a sintonizzarci con la preghiera, facciamo più fatica, dato che nel nostro corpo “rimangono impresse” le altre attività che lì abbiamo svolto, e lo stesso può dirsi dell’aula di catechismo. Questo non significa che anche nella breve preghiera all’inizio dell’incontro dobbiamo andare in chiesa, è necessario però preparare un angolo per la preghiera nella stanza ove si svolge l’incontro. Tutto ciò aiuta a collocarci in un clima di preghiera. Naturalmente relativamente al luogo è necessario fare un discernimento; ad esempio se si prega all’inizio dell’incontro di catechesi, si pregherà nell’aula; se si dovesse fare una celebrazione più lunga, ad esempio sul perdono, o sull’attesa del Natale… allora forse è meglio pregare in chiesa, poiché il luogo stesso dispone meglio alla preghiera.

Continua a leggere
\n\n\n
Abbonamenti