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Avete bisogno di un momento per meditare e pregare insieme?

Da Note di Pastorale Giovanile – novembre 2021

di don Michele Falabretti

Essere chiamati a pensare ad un progetto per i giovani non sempre è semplice e immediato. Si fa l’esperienza anche della fatica e difficoltà. Allora non dobbiamo dimenticare come gruppo di lavoro che abbiamo bisogno di pregare e affidare al Signore tutto il nostro cammino per chiedere la luce necessaria per il delicato compito che abbiamo. Accompagnare i giovani è un meraviglioso dono che ci viene fatto, perché chiede di metterci in cammino accanto a loro e percorrere la strada dell’incontro con Gesù, aiutandoli a scoprire che Lui solo è la via, la verità e la vita. Si propone l’esperienza di un pellegrinaggio.

UNA TECNICA ATTIVA: METTERSI PER VIA
In questi ultimi anni la formula del pellegrinaggio è risultata apprezzata e feconda per i giovani. Si propone un pellegrinaggio, meglio se partendo a piedi dalla solita sede in cui ci si ritrova, verso un luogo ritenuto significativo (non necessariamente un santuario). Un luogo che sia possibile raggiungere a breve, con un’ora o due di cammino. Lungo il cammino, per lo più silenzioso o con brevi scambi personali, si può leggere a tappe il racconto dei due discepoli di Emmaus (pp. 168-169 delle LP) accompagnato dalle immagini di Arcabas (pp. 175-181). Il pellegrinaggio può essere dedicato al solo gruppo, oppure coinvolgendo anche altri giovani.
L’obiettivo è quello di rinforzare l’identità ecclesiale del gruppo, esplicitando la disponibilità a mettersi in gioco, a compiere una conversione per meglio corrispondere al servizio che si sta offrendo.

UN CONFRONTO DI GRUPPO: MEDITANDO EMMAUS
Il confronto di gruppo diventa in questa scheda una meditazione condivisa. La figura dei pellegrini di Emmaus (Lc 24) risuona nuovamente attraverso la lettura del commento di don Angelo Casati “Non fuggire dalla città”, riportato alle pp. 170-173 delle LP.
Si può introdurre la lettura di gruppo con un canto. Al termine ognuno può rileggere le parole che maggiormente l’hanno colpito rispetto al compito di progettazione pastorale del gruppo.
L’obiettivo è quello di suggerire al gruppo che un compito tecnico come la progettazione pastorale va svolto dando spazio al vangelo, letto e meditato in un contesto adatto. È necessario farsi illuminare, ma ancor di più lasciarsi convertire dalla parola del Signore.

TESTI DI APPROFONDIMENTO
Indichiamo una lettura e un video per introdurre la comprensione e la meditazione del racconto dei pellegrini di Emmaus. La prima è un estratto da un libro che rilegge l’intero vangelo di Luca. Il testo è disponibile in pdf come allegato.
• Franco Giulio Brambilla, Chi è Gesù? Alla scoperta del volto, Qiqajon, pp. 173-184.
• Enzo Bianchi, I Discepoli di Emmaus, Youtube (qui il link).

UN INCONTRO DI PREGHIERA
L’incontro per il gruppo, in questo caso, è un incontro di preghiera col Signore. Mettersi in ascolto della Parola di Dio e invocare la luce dello Spirito dedicando un tempo ragionevole per il silenzio e la contemplazione.
L’obiettivo è quello di aiutare il gruppo a non dimenticare che il mandato originale “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34) viene dal Signore ed è custodito nel suo vangelo.

 

 

Aperti, attenti, solidali. Un rinnovato modo di procedere ecclesiale

Editoriale del nuovo numero di Note di Pastorale Giovanile

di don Rossano Sala

Incominciamo un nuovo anno pastorale, che sarà certamente ricco di nuove sfide e grandi opportunità. Novità all’orizzonte non ne mancano, perché stiamo vivendo un tempo di rapidi cambiamenti, che la pandemia in atto ha ancora di più rapidizzato.
Per questo la Chiesa, che vive nel mondo e per il mondo, non solo deve affrontare con fede ciò che avviene, ma essa stessa è messa in discussione sulla propria identità e missione, cioè sulla propria forma. La sua “pastoralità” consiste esattamente in questa immersione radicale nella storia degli uomini, perché la Chiesa non deve fare i conti solo con la forza del Vangelo, ma anche con la condizione di coloro ai quali il Vangelo è destinato, che non sono mai uomini e donne teorici, ma persone che esistono realmente in una determinata epoca storica. E la Chiesa stessa, costituita da uomini raggiunti dalla grazia e dalla santità di Dio, è intessuta essa stessa di storicità.
Ecco l’importanza almeno di nominare alcuni temi attuali che meritano la nostra attenzione. Nella nostra terra italiana ed europea stiamo vivendo un tempo post-metafisico e post-secolare, che pone non solo nuove “condizioni di credenza” per i cristiani, ma addirittura “nuove condizioni di esistenza” per il cristianesimo stesso. Mi pare, a questo proposito, di intravedere tre “costellazioni maggiori” legate alla contestualità della riflessione teologica e dell’azione pastorale. Che insieme fanno emergere un unico e dinamico poliedro.

La costellazione dell’ospitalità

Per quanto riguarda la riflessione teologica in senso stretto, mi sembra che siamo chiamati ad approfondire quella che mi piace definire la costellazione dell’ospitalità. Ripensare Dio nell’orizzonte dell’ospitalità significa pensarlo come aperto e disponibile, ovvero capace di fare spazio all’altro e desideroso di allargare la propria comunione d’amore. Non c’è nulla di narcisistico né di autoreferenziale nel Dio di Gesù Cristo. Pensiamo alla sua generosità sistemica capace di plasmare una casa ospitale attraverso la creazione, generando così un mondo altro da sé. Pensiamo alla delicatezza di Dio in Gesù, che viene a noi chiedendoci ospitalità nel mondo che egli stesso ci ha affidato. Pensiamo anche all’invito pressante di Papa Francesco al discernimento come pratica spirituale di ascolto di un Dio che va ospitato, seguito e amato.
In questa prima costellazione c’è un rimando chiaro alla sfida ecologica, all’urgente tema delle migrazioni e anche alla violenza che troppe volte ha ancora una matrice religiosa. È la grande sfida della fraternità universale e dell’amicizia sociale, che nell’enciclica Fratelli tutti ha trovato un rilancio autorevole.

La costellazione dell’ascolto

Dal punto di vista antropologico, a me pare che in questi ultimi decenni si stia facendo spazio una sempre crescente attenzione alla costellazione dell’ascolto. Durante gli ultimi cammini sinodali – quello della famiglia, quello dei giovani e quello della regione Panamazzonica – siamo diventati sempre più consapevoli, come Chiesa, di essere in debito di ascolto: il grido delle famiglie ferite, il grido dei giovani e della terra, il grido dei poveri rimane troppe volte inascoltato. E nel prossimo Sinodo della Chiesa universale, che in questo anno pastorale vedrà un impegno prioritario delle Chiese locali, la pratica dell’ascolto sarà in primo piano. Così sarà anche nel cammino sinodale della Chiesa italiana, che si distenderà anch’esso nei prossimi anni.
È quindi decisivo, da tutti i punti di vista, riprendere in mano e approfondire il tema dell’ascolto: pensare l’uomo come essere dell’ascolto, uditore della Parola, aperto alla voce di Dio; essere consapevoli che la Chiesa è in debito di “ascolto empatico” verso Dio e verso gli uomini; ritornare alla vita spirituale che nella sua essenza è un ascolto attivo della Parola di Dio; ripartire dal discernimento come pratica di ascolto nello Spirito dell’appello che ci viene dalla realtà, dalla coscienza, dal mondo.

La costellazione della sinodalità

Una terza raccolta di temi pastorali ruota intorno all’ecclesiologia e fa riferimento alla costellazione della sinodalità. È effettivamente una riscoperta degli ultimi decenni, che ha avuto in questi ultimi tempi un’accelerazione convinta. La spinta a rimettere al centro dell’identità della Chiesa il suo essere “popolo di Dio” ne sta alla radice; la riscoperta del battesimo come piattaforma di ogni possibile discepolato-missionario ne è la base sacramentale. Il Sinodo sui giovani ha reso nuovamente centrale la questione, perché gli stessi giovani non ci hanno chiesto prima di tutto di fare qualcosa per loro, ma ci hanno sfidato a camminare con loro in modo nuovo, risvegliando così il grande tema della sinodalità.
Si tratta di un compito aperto, avventuroso e coinvolgente, che impegnerà la Chiesa in maniera specifica nei prossimi tre anni, ma anche presumibilmente nei prossimi decenni. Il tema del Sinodo che sta cominciando nelle nostre Chiese locali è già un programma di verifica e rilancio dell’intera vita ecclesiale: Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione.

Un unico poliedro

Queste tre costellazioni – la prima più di natura teologica, la seconda di carattere antropologico e la terza di indole ecclesiologica – si intrecciano, si rimandano e si richiamano continuamente. In realtà non si possono separare, ma solo distinguere metodologicamente, perché fanno parte di un unico poliedro. Formano un tutt’uno, perché, come ben afferma la lettera enciclica Laudato si’, «tutto è connesso» (nn. 117 e 138): chiaramente l’ospitalità e il sapersi ospitati rimandano all’ascolto, al dialogo e alla sinodalità; così come l’ascolto rimanda alle condizioni essenziali per vivere la sinodalità; così come è evidente che la sinodalità è una prassi di ospitalità e di ascolto, che riconosce l’altro come dono da accogliere e a cui dare la parola con fiducia, oltre che il benvenuto.
L’insieme rimanda ad uno stile diverso di essere Chiesa e ad un modo di procedere per alcuni aspetti inedito: aperto, perché cordiale, ospitale e accogliente; attento, perché orientato all’ascolto pronto e interessato dell’altro; solidale, perché capace di essere al servizio di tutti.

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Pensaci bene, pensati bene!

Dalla rubrica “16 anni, mestieri di vivere” di NPG, un articolo di Giorgia Cona, giovane studentessa dell’I.S. Majorana-Arcoleo di Caltagirone.

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Cogito ergo sum: “Penso e quindi esisto”. Queste parole di Cartesio, se decontestualizzate, hanno la capacità di essere molto attuali. Cosa intendo?
Noi ragazzi siamo invasi da dubbi esistenziali come “ho veri amici?”, “appaio alla gente come davvero sono o traspare altro di me?”, “sto facendo la cosa giusta per me?”, “cosa ne sarà del mio futuro ?”, ma soprattutto “chi sono?”.
Non credo che qualcuno riuscirà mai a trovare soluzione a tali questioni, ma forse Cartesio una strada la suggerisce. Calcutta in “Blue Jeans” canta che «delle volte per vederci chiaro, serve stare al buio, e per essere davvero sicuri, occorre avere un dubbio».
Sembra quasi un ossimoro quello di raggiungere sicurezza passando per le incertezze. Eppure puoi dubitare di tutto, ma ci sarà per forza qualcosa che non sarà scalfito da questo dubitare “metodologico” ovvero la tua esistenza e quindi l’esistenza, non tanto di te come corpo, ma dei tuoi pensieri. Una cosa è certa, e su questa devi fondare tutto il resto attorno, come dice Cartesio. Ciò che hai nella tua testa, in quanto essere pensante, quelle idee, quei contenuti mentali, quello sei tu. Allora apriti ad esperienze nuove e piene di vita, confrontati con altri, alimentati con l’arte, la cultura, la danza, la letteratura, la musica; rendi i tuoi pensieri forti, unici, indipendenti e liberi.
Trovare certezza in questo, porta a trovare delle sicurezze che ti permettono di conoscerti e di capire ciò di cui hai bisogno. Sei tu e solo tu con i tuoi pensieri e, se ti trovi nella confusione, in un mare di incertezze a cui non sembra esserci soluzione, riparti da lì, riparti da te. Pensa a ciò che è conforme con il tuo pensiero, ciò che è compatibile con te stesso, allora troverai le prime certezze. Questo genere di consapevolezza non è assolutamente facile da conseguire, ma è ciò che ti aiuta a rispondere a tutte quelle domande di cui ogni persona inizialmente non ha trovato risposta. Sei i tuoi pensieri: rispettali, curali, amali, perché solo questi ti porteranno lontano e grideranno al mondo chi sei.

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Un decalogo per l’educazione

Ufficio Nazionale per l’Educazione, la Scuola e l’Università della CEI

(NPG 2021-03-9)

L’educazione della persona è parte essenziale della missione della Chiesa; educando, in maniera unica essa vive e condivide la gioia del Vangelo che ha ricevuto.
L’educazione è un’opera complessa che si sviluppa in ambiti, figure e ambienti diversificati. In essa la relazione occupa un posto determinante, perché al suo centro sta la persona che cresce e che chiede di essere orientata e accompagnata in «un cammino di libertà che porta alla luce quella realtà unica di ogni persona, quella realtà che è così sua, così personale, che solo Dio la conosce» (Christus vivit, 295).
La Chiesa sa di avere alleati in tante persone e istituzioni; essa stessa vuole mettersi a servizio dell’educazione di tutti, offrendo la sua originale visione della persona umana, della vita e della società, entrando in dialogo con quanti hanno a cuore il bene comune. A muoverla è una “speranza affidabile” in quel Dio che, donandoci di educare, ci rende suoi collaboratori nell’opera della creazione attraverso l’amore che salva.
Vogliamo indicare di seguito alcuni punti per disegnare quel «nuovo umanesimo in Cristo Gesù» indicato da papa Francesco sotto la cupola del Brunelleschi, a Firenze, il 10 novembre 2015. «Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo». È, questo, uno dei cardini della pedagogia cristiana: educare alla fede fa crescere un’umanità piena e riuscita.
La Chiesa prende la parola nel campo dell’educazione e la indirizza oltre i propri confini, consapevole – come ricorda papa Francesco – che «solo cambiando l’educazione si può cambiare il mondo».

1. Crescere ed educare nel cambiamento d’epoca
Viviamo in un mondo saturo di informazioni e in una babele di linguaggi. Tra i primi sono gli educatori ad esserne interpellati, perché hanno la responsabilità di essere veri “testimoni” e “maestri” per guidare chi viene loro affidato nei labirinti del nostro tempo. Senza cedere alla tentazione di ridurla a ricettario di “istruzioni per l’uso”, l’educazione distingue fini e mezzi, indicando i primi e utilizzando i secondi con competenza e senso critico. Educare significa praticare e insegnare l’arte del discernimento, tanto più di fronte alla sfida della rivoluzione tecnologica (e digitale), della quale comprendere il senso per imparare a dominarla più che ad esserne dominati; una proposta educativa improntata a un “nuovo umanesimo” apprezza l’apporto della tecnologia senza perdere di vista il bene integrale della persona.

2. Chiamati ad educare
Educare è vocazione umana fondamentale. È pressante il bisogno di persone conquistate dalla bellezza del compito educativo, che si dedichino alla crescita di bambini, ragazzi e giovani venuti alla ribalta della vita e che, a tale scopo, scelgano di formarsi e di farlo permanentemente. Non si nasce educatori, seppure siano importanti predisposizioni o, addirittura, carismi. Un adulto (genitore, insegnante, catechista, animatore, allenatore, istruttore, ecc.), consapevole della propria responsabilità educativa, si prende cura anzitutto di sé e della propria formazione; solo così diventa persona equilibrata e matura, testimone di vita ed educatore competente. Veri educatori sono persone autentiche e umili, autorevoli e capaci di mettersi in ascolto.
Per molti adulti sono forti le tentazioni della delega e della rinuncia educativa, mossi magari da un senso di inadeguatezza. Poiché “non si può non educare”, un adulto sa trovare il coraggio della propria responsabilità e del compito di aiutare e sostenere le nuove generazioni. La Chiesa accompagna con convinzione questo impegno educativo diffuso, che custodisce il presente e prepara il futuro prendendosi cura di chi sta crescendo nutrendolo con l’esempio di adulti maturi.

3. Educare è generare il nuovo
Educare è una scommessa sul futuro, promozione di novità, apertura al cambiamento. Ogni educatore fa suo un atteggiamento positivo, fiducioso nelle potenzialità delle nuove generazioni e nella loro capacità di costruire un futuro migliore.
L’educazione è un processo generativo, aperto sul nuovo e mirante alla crescita della persona nella sua totalità e allo sviluppo di tutte le sue migliori potenzialità. L’educazione è un atto creativo che genera il nuovo.
Perciò la prima virtù dell’educatore è la speranza; non la speranza ingenua che alla fine le cose si aggiusteranno come per magia, ma quella speranza affidabile fondata su Qualcuno che non delude.

4. La persona è il fine unico dell’educazione
La persona è il centro e il fine dell’educazione; non può mai diventare il mezzo di un progetto educativo sia pure animato delle migliori intenzioni.
L’educazione non è uno sviluppo solo intellettuale ma un processo che investe l’intera persona. Ogni educatore è consapevole di essere il mediatore di un umanesimo centrato sulla promozione di ciascuna persona per quello che è e per quello che può diventare. Fondamento di ogni azione educativa è l’amore. Amare chi si educa vuol dire rispettare la sua libertà e farne al tempo stesso il fine e il mezzo dell’azione educativa: educare con libertà alla libertà. Solo così viene riconosciuto il valore della persona da educare, alla cui disposizione l’educatore si pone con spirito di servizio. La stessa educazione religiosa, compito proprio della Chiesa, si fonda sulla libertà personale, senza la quale essa finirebbe per tradire la natura della persona: la religione è per l’uomo e non l’uomo per la religione.

5. L’educazione è relazione
Se il centro dell’azione educativa è la persona, l’educazione è essenzialmente relazione tra persone, ognuna delle quali deve prendersi cura di sé e dell’altra. Spersonalizzare l’educazione significa snaturarla, cosificarla, trasformarla in azione tecnica o strumentale, chiusa all’apertura generativa nei confronti dell’altro e della realtà tutta.
La relazione educativa non isola le persone coinvolte, poiché si colloca in un determinato contesto di tempo e di spazio; essa si svolge all’interno di una rete di relazioni significative che danno forma a luoghi e ambienti e a sua volta ne risente. Essa ha come fine la fraternità, alla quale l’educazione si apre e conduce, fino a contemplare la relazione con l’Altro, l’Assoluto, il Trascendente, sempre presente come confine delle esperienze umane e al tempo stesso condizione della piena e autentica realizzazione della persona.

6. Solo una comunità educa
Non ci si educa e non si educa da soli. L’educazione è il risultato dell’azione congiunta di una molteplicità di ambienti e contesti; non è realistico immaginare di prevenire o limitare gli effetti educativi mediati, oggi, da attori spesso incontrollabili.
La prima comunità educante è la famiglia. La sua attività generativa ed educativa è un riflesso dell’opera creatrice del Padre. Alla famiglia spetta il primario diritto e dovere dell’educazione dei figli; con essa sono chiamate a collaborare la Chiesa e tutte le altre agenzie educative e sociali.
È noto il proverbio africano: “per educare un bambino ci vuole un villaggio”. Tutti siamo coinvolti nell’impegno educativo e ne portiamo una responsabilità che non può essere delegata solo ad alcuni. È indispensabile recuperare lo spirito di comunità, oggi potentemente minacciato dall’individualismo. Al sospetto nei confronti di educatori e agenzie educative deve sostituirsi la reciproca fiducia, che consenta di stabilire nuove e fattive alleanze educative: tra le diverse generazioni, tra famiglia e scuola, tra società civile e istituzioni, tra Chiesa e territorio, tra singoli e gruppi.

7. Educare sempre
Il processo educativo dura tutta la vita (lifelong learning) e coinvolge ogni contesto di vita (lifewide learning). L’educazione si compie sempre e in qualsiasi ambiente: formale (nelle istituzioni dedicate), informale (nell’esperienza quotidiana) e non formale (scelta volontariamente). Ogni esperienza di vita può essere fonte di educazione personale, perciò richiede grande attenzione (da parte del potenziale educatore) e disponibilità (da parte del potenziale educando).
L’educazione non è tutto, ma tutto ha bisogno di educazione e contribuisce ad essa: il lavoro, la politica, l’economia, la sanità, la scienza, la comunicazione, lo sport, l’arte. Anche la Chiesa deve scoprire sempre nuove modalità di evangelizzazione e di educazione, nella fedeltà costante al messaggio evangelico.

8. Educare con un progetto
Anche se esistono contesti di educazione informale, l’educazione non può essere un’azione casuale: occorre un progetto preciso, frutto di una esplicita intenzionalità educativa, senza il quale gli effetti rischiano di essere diversi, se non opposti, da quelli attesi.
La missione educativa della Chiesa abbraccia innanzitutto il compito di annunciare il Vangelo; in essa ognuno viene educato ai valori del bene, del vero e del bello. La sua opera educativa è efficace solo se essa agisce come una vera comunità. L’educazione offerta dalla Chiesa è offerta indivisibilmente alla persona e al credente, cerca la pienezza della sua umanità.

9. Abbiamo fiducia nella scuola
La scuola attraversa da tempo un periodo di crisi, che le fa perdere identità e prestigio sociale: in una società mediamente alfabetizzata, l’istruzione di base offerta dalla scuola non fa più la differenza e tende ad essere svalutata. La comunità cristiana intende dare fiducia alla scuola, sostenere la sua credibilità, stringere con essa un’alleanza educativa basata sulla reciproca stima, eliminando distanze e forme di reciproco sospetto. Non si tratta di “occupare” la scuola, ma di restituirle il ruolo sociale che merita, essendo rimasta uno dei pochi presìdi culturali in una società che non sembra credere al valore della cultura.

10. Ampliare la missione educativa delle comunità cristiane
Le comunità cristiane legano spesso la loro azione educativa ad alcuni momenti tradizionali (preparazione ai sacramenti, catechesi ai più piccoli, omelia domenicale), trascurando la formazione permanente di cui, oggi più di ieri, c’è incondizionatamente bisogno. In un vuoto educativo generalizzato le comunità cristiane (parrocchie, istituti religiosi, associazioni, movimenti, gruppi) sono chiamate a riscoprire la loro funzione educativa e ampliare la loro offerta con iniziative di formazione permanente: percorsi di formazione biblica e teologica, corsi di formazione etica e politica, attività educative rivolte ai genitori, proposte educative rivolte ad adolescenti e giovani, ecc. La stessa pratica del volontariato chiede di essere accompagnata da proposte di riflessione e formazione per non scadere in un generico attivismo. La formazione offerta dalla comunità cristiana non si può limitare alla sfera religiosa ma si deve aprire, con provata competenza, a tutta la realtà umana. In questo contesto si colloca anche la missione della scuola cattolica e delle altre istituzioni formative cattoliche o di ispirazione cristiana, fino all’università. Esse sono il segno concreto di una azione corale di tutta la Chiesa che, al termine del decennio pastorale dedicato a “Educare alla vita buona del Vangelo”, è ancora più consapevole della necessità e della bellezza di educare ancora e di educare sempre.

 

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I ragazzi delle medie

Una rinnovata attenzione e dedizione verso i preadolescenti

di don Rossano Sala

Uno snodo pastorale strategico

Nella conclusione del Dossier dello scorso mese di gennaio, don Michele Falabretti individuava alcuni “snodi pastorali” da affrontare per essere fedeli a questo tempo così come esso si presenta. Ne metteva cinque alla nostra attenzione: la necessità di raccogliere la sfida dettata dalla pandemia; il compito di suscitare narrazioni, ascoltare i vissuti e provocare le coscienze; la chiamata ad alzare le competenze negli spazi esistenti; avere una rinnovata attenzione verso le diverse età della vita; infine migliorare la nostra capacità di riconoscere luoghi ed esperienze da integrare in una visione più ampia[1].
A riguardo della quarta sfida, quella riguardante le età della vita, così scriveva:

Sempre irrisolto rimane il tema dell’accompagnamento negli anni della preadolescenza e dell’adolescenza, affidato all’oratorio (dove c’è) e a qualche esperienza associativa, ma mai radicato seriamente nell’ordinario della vita della comunità. […] La cosiddetta “mistagogia” rimane nell’immaginario comune la spiegazione dei misteri: una sorta di approfondimento teologico lontano dalle domande poste da un’identità personale che va formandosi, da una libertà che scalpita, da una vita che scorre altrove, lontana dalla Chiesa e dai suoi riti; dimensioni segnate da un corpo che si forma, da amicizie che quotidianamente appaiono come questioni di vita o di morte[2].

A noi di NPG è sembrato importante ripartire, in questo secondo numero del 2021, da una concentrazione maggiore verso le “età della vita”, riconoscendo che non sempre in questi ultimi anni siamo stati davvero capaci di inserire l’età giovanile nel ciclo dell’esistenza: sia verso ciò che segue – la vita adulta – sia nei confronti di ciò che la precede – in particolare l’adolescenza e la preadolescenza. Effettivamente, se guardiamo solo alla programmazione degli ultimi dieci anni, poco ci siamo occupati degli adolescenti e quasi per nulla dei preadolescenti. Anche perché ci siamo concentrati di più sull’allungamento della giovinezza, cioè sui cosiddetti “giovani adulti”, arrivando a prendere sul serio l’età universitaria e anche oltre…
Eppure siamo chiamati a pensare alla giovinezza in relazione di continuità e di discontinuità con ciò che precede e con ciò che segue questa promettente ed entusiasmante età dell’esistenza umana. La stessa teoria pedagogica lo afferma con chiarezza:

In quanto l’uomo attua la sua natura in una vicenda storica, l’educazione è cura degli itinerari di maturazione. Fuorviante è in tal senso la piega “progressistica” della pedagogia moderna, che riduce i figli a “bambini” e i bambini a “minori”. Promettente è invece lo sviluppo di una riflessione sulle età della vita: il nascere e il crescere dell’uomo non sono accidentali, ma sostanziali. […] L’“identità” dell’uomo si sviluppa in un itinerario di “identificazione”, ed afferma che l’educazione si caratterizza essenzialmente per l’attenzione ai significati specifici della crescita e delle età della vita, colti nella loro linearità e nelle loro cesure, nel “trascorrere” del tempo e nel “succedersi” delle stagioni, nelle “possibilità” che vengono dischiuse alla libertà e nell’“irreversibilità” delle sue decisioni[3].

Ecco perché diventa per noi strategico e decisivo attuare una concentrazione sulle diverse fasi di maturazione della libertà, incontrando i ragazzi, gli adolescenti e i giovani esattamente lì dove si trova la loro libertà. Mai altrove.

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Inizia il nuovo secolo: il dossier di NPG di gennaio 2021

Come anticipazione del dossier di gennaio 2021 – Inizia il nuovo secolo – sul sito di Note di Pastorale Giovanile sono disponibili due articoli. Qui potrete scaricarne il primo di Giulio Sapelli, Professore ordinario di Storia economica, dal titolo: Un Mondo nuovo?

 

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