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“Nel cuore del mondo”: il numero estivo di Note di Pastorale Giovanile dedicato alla proposta pastorale

Pubblichiamo alcuni stralci della newsletter estiva di Note di Pastorale Giovanile che lancia il nuovo numero della rivista dedicato alla proposta pastorale, “Nel cuore del mondo”.

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Cari Amici, gentili Amiche,

questa NL – come in genere quelle dell’estate – presenta sostanzialmente gli studi di approfondimento della proposta educativo-pastorale per i giovani dei nostri ambienti salesiani.
È la prima tappa di un cammino triennale che si concluderà – simbolicamente – con il 200° anniversario del sogno dei 9 anni di Giovannino Bosco, un “tema generatore” per i Salesiani e i giovani, nella cui logica sta benissimo un cammino spirituale e “pastorale” da proporre.
Ecco perché vi dedichiamo il numero intero di NPG, rimandando le altre rubriche ai prossimi.

Buon lavoro, buona estate, nel modo in cui sarà possibile e prudente viverla.
Buona pastorale “aperta”.

La formazione e corresponsabilizzazione dei genitori

di Gustavo Cavagnari

Perché focalizzarsi in una pastorale giovanile familiare?

C’è chi diceva che la pastorale giovanile è fallita.[1] L’affermazione, molto forte, non sarebbe da intendersi, tuttavia, in modo assoluto. Infatti, si potrebbero discutere i sintomi, le cause e pure la portata di tale “fallimento”. Nell’intenzione di chi l’ha pronunziata, sicuramente in modo provocatorio, c’era comunque l’intenzione di richiamare l’attenzione sul fatto che, al di là del grado di convocazione o della molteplicità delle proposte, la pastorale con i giovani ha forse mancato il bersaglio. Questa pastorale, così come ogni altra espressione dell’unica pastorale della Chiesa, non ha altro scopo che «incendiare i cuori dei fedeli» che «conservano una fede cattolica intensa e sincera», favorire quella conversione che restituisce all’anima «la gioia della fede e il desiderio di impegnarsi con il Vangelo», e proclamare «il Vangelo a coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato».[2] In altre parole: generare tra i giovani discepoli fedeli nella sequela Christi e impegnati con il mandato missionario (EG 19). Se si considerano questi scopi, si potrebbe essere d’accordo con la frase iniziale e riconoscere che, benché in molti contesti le risorse e gli eventi ecclesiali con i giovani siano aumentati, la pastorale giovanile non è stata efficace nell’accompagnarli alla maturità cristiana oltre che umana.[3]
Le cause di questo fenomeno sono molte. Ce n’è una, comunque, che anche da noi è stata già indicata come sostanziale: i genitori e, più in generale, gli adulti “degni di fede”,[4] non ci sono, sia perché sono fisicamente assenti, sia perché, anche quando sono presenti, non rappresentano delle figure di riferimento con cui entrare in positiva alleanza.[5] Il punto problematico è infatti la liquidazione dell’età adulta e quindi la disgregazione di ciò che significa maturità.[6] Come si diceva nel Sinodo, “non ci mancano solo adulti nella fede. Ci mancano adulti «tout court»”.[7] Ad ampio raggio, questa situazione richiama anzitutto il compito urgente di rieducare gli adulti, ridando «attrattiva specifica e dignità morale all’ambizione di essere adulti».[8] Nello specifico della pastorale giovanile, e a certe condizioni, chiede inoltre di convocare i genitori stessi,[9] se non altro quelli che si presentano come figure autorevoli.[10] Se è vero che la Chiesa guarda ancora con gioia e riconoscenza ai genitori che restano fedeli al loro ruolo e missione educativa,[11] come irrobustire, almeno con loro, quel patto educativo che in tanti luoghi sembra esserci rotto? (AL 84). Superando il pregiudizio che vede tutti i genitori ugualmente indifferenti, abbandonando l’autosufficienza pastorale che vuole evitare i genitori perché importuni e invadenti, maturando la consapevolezza che la pastorale accompagna la funzione non delegabile dei genitori… magari qualcosa si può fare.

Quando cominciai con la pastorale giovanile, pensai che il centro dovevano essere naturalmente gli adolescenti… e chi io dovevo spendere il mio tempo con loro. Quello che scoprì, tuttavia, fu che gli adolescenti non vengono dal vuoto. E che se volevo che il mio ministero avesse degli effetti duraturi sulle loro vite e [sul loro impegno] per il Regno, dovevo includere le famiglie.[12]

È chiaro che una pastorale giovanile che accompagna, forma e coinvolge i genitori non lo fa per rimpiazzare i giovani animatori. Una pastorale giovanile familiarmente orientata neppure sostituisce gli itinerari e le proposte specifiche per i giovani. Eppure, una pastorale giovanile in grado di connettere i giovani con le proprie famiglie e con gli altri adulti della famiglia allargata della Chiesa getta le basi per un risultato pastorale più solido e duraturo.[13]

Una scelta difficile, consapevole, durevole

Implicare i genitori nella azione pastorale non è una soluzione tanto semplice né facile come potrebbe sembrare. Da una parte, il grado di coinvolgimento dei genitori negli spazi e nelle attività che riguardano i loro figli è inversamente proporzionale alla loro crescita in età. Gli operatori pastorali non si dovrebbero sorprendere, quindi, se il filo rosso che lega quasi tutti questi adulti sia il distacco. Il vero problema, poi, non sembra essere nemmeno la loro assenza, quanto la loro stagnazione maturativa umana e nella fede. Da un’altra parte, però, tra i genitori c’è una minoranza creativa che cerca di venire incontro ai bisogni dei figli, benché molte volte non sappiano come farlo. Ebbene, anche nel contesto della pastorale giovanile, questi padri e madri potrebbero giocare un ruolo significativo nell’educazione delle nuove generazioni, anche se sarebbe irrealistico pensare che tutti loro siano formati, equipaggiati o disposti ad essere coinvolti. Se le cose stanno così, un compito della pastorale giovanile dovrebbe essere, allora, cercare dei modi per uscire incontro a questi genitori, formarli e implicarli (AL 85).

Comunicare con i genitori

I conflitti tra i genitori e gli operatori di pastorale giovanile sono dovuti molte volte ad una reciproca ignoranza. I genitori possono attendersi dalla pastorale il tenere i loro figli in riga, o formarli a riguardo dei temi di fronte ai quali loro si sentono incapaci, o forse semplicemente tenerli occupati. Gli scopi della pastorale con i giovani sono, comunque, altri. Ciò nonostante, le difficoltà che possono spuntare da visioni diverse «non si risolvono ignorando i genitori» ma, al contrario, «condividendo con loro la visione pastorale».[14]
Questo mette sugli operatori pastorali e sui giovani stessi la responsabilità di comunicare ai genitori i sogni, le visioni e gli obiettivi della pastorale giovanile. Essa deve stabilire con i genitori un dialogo. […] Questo tipo di conversazione aprirà le porte al loro entusiasmo e al loro sostegno.[15]

Accompagnare, formare, responsabilizzare i genitori

Come accompagno pastoralmente un piccolo gruppo di giovani?
Evangelizzando e coinvolgendo i loro genitori.
Perché questo è effettivo?
Perché nessuno è più interessato dei genitori ad andare incontro ai bisogni dei loro figli giovani.[16]

Spesso, nella pastorale con i giovani i genitori non sono coinvolti. Quando lo si fa, l’invito si riduce a riunioni informative. E se si fa qualche incontro di formazione, le proposte finiscono per essere noiose discussioni su questioni dottrinali e morali. Anche con loro si compie quindi quello che il Papa criticava di certi gruppi giovanili (ChV 212). Perciò, il padre di famiglia ed evangelizzatore americano Everett Fritz continua la sua riflessione in questo modo:

Se gli adolescenti sono troppo impegnati, i genitori sono esauriti. Hanno da fare ogni [giorno] della settimana. Sono stressati a casa e al lavoro. Molti genitori hanno delle difficoltà con i loro figli e nei loro matrimoni. Essere un adulto e un genitore nel mondo di oggi è estremamente impegnativo. L’ultima cosa che i genitori vogliono è dover frequentare un altro incontro od ascoltare un predicatore articolare i dogmi della fede. […] Ma a prescindere da dove si trovino nel loro cammino di fede, tutti hanno una cosa in comune: sono profondamente preoccupati di uscire incontro ai bisogni dei loro figli. [E quando si discute dei loro figli] i genitori si ravvivano e si coinvolgono nelle discussioni… I genitori possono essersi sganciato dalla fede, ma non hanno abbandonato la loro vocazione primaria![17]

Un compito che la pastorale giovanile si può assumere è, quindi, quello di aiutare i genitori ad esercitare il loro compito. Loro hanno bisogno di essere sostenuti nell’adempimento del loro ruolo educativo (AL 52). A tale scopo, anche gli operatori ecclesiali che lavorano con i giovani possono, se non direttamente, almeno fungere da mediazione per curare e ravvivare il ruolo genitoriale, chiedendo l’aiuto e stabilendo delle sinergie con quelli che possono portare avanti questo servizio mediante incontri di padri e madri, seminari di specialisti su questioni concrete della vita familiare, consulenze su situazioni familiari, laboratori di formazione per genitori con figli problematici o assemblee familiari (AL 229). Dicevano già i Vescovi italiani:

Se è vero che la famiglia non è la sola agenzia educatrice, soprattutto nei confronti dei figli adolescenti, dobbiamo ribadire con chiarezza che c’è un’impronta che essa sola può dare e che rimane nel tempo. La Chiesa, pertanto, si impegna a sostenere i genitori nel loro ruolo di educatori, promuovendone la competenza mediante corsi di formazione, incontri, gruppi di confronto e di mutuo sostegno.[18]

Coinvolgere i genitori

Indubbiamente, nella pastorale con i giovani, e soprattutto in quella degli adolescenti, non è sempre possibile pensare ad un coinvolgimento diretto dei genitori, sia per la situazione che attraversano i genitori stessi (AL 50-51), sia per le caratteristiche tipiche dell’adolescenza e della crisi che essa provoca nella famiglia (AL 235). Infatti, questa tappa segna l’incrinatura con la vita familiare e la contestazione del ruolo genitoriale; uno strappo traumatico che tuttavia permette al giovane di prendere in mano la sua vita e di diventarne protagonista (AL 18).
A condizione che padri e madri abbiano specifici tratti maturativi e una adeguata formazione, loro potrebbero essere tuttavia direttamente coinvolti. Tra altri esempi, si potrebbe menzionare qui la proposta del movimento Antiochia, nato nel 1974 dalla iniziativa di un matrimonio dei Cursillos tra gli universitari di Sydney e oggi diffusosi oltre l’Australia.[19] Secondo la laica Teresa Pirola, una delle fondatrici, «Antiochia è un modello di pastorale giovanile che usa la prospettiva familiare e il carisma delle coppie sposate. In questo modo, il movimento si è manifestato come una incarnazione effettiva della visione di responsabilizzazione del laicato del Vaticano II».[20] Per le sue intuizione e attuazioni, esso potrebbe essere annoverato tra questi movimenti prevalentemente giovanili che sono «come un’azione dello Spirito che apre strade nuove in sintonia con le loro aspettative e con la ricerca di spiritualità profonda e di un senso di appartenenza più concreto» (EG 105). Benché oggi i giovani che vi partecipano si radunino e svolgano delle attività tipiche nelle parrocchie, il movimento cerca di favorire un forte senso di Chiesa come famiglia tramite la presenza normativa di una coppia genitoriale nella guida di ogni comunità giovanile. In questo modo, e senza svalutare altri ministeri, il movimento vuole responsabilizzare nella sua visione e nelle sue strategie il carisma del matrimonio e della chiesa domestica.
Ordinariamente, le coppie guida sono genitori dei giovani partecipanti, per cui genitori e figli lavorano insieme nella missione della chiesa locale e il nucleo familiare diventa una forza evangelizzatrice. Secondo i protagonisti, i pregi del modello sono considerevoli: garantisce una migliore interconnessione tra la comunità parrocchiale e le case; il rapporto intergenerazionale aiuta a prevenire che il gruppo giovanile diventi un ghetto; i genitori si presentano come esempi concreti di vocazione matrimoniale compiuta; l’interconnessione tra la pastorale con i giovani e con le famiglie si vede favorita. Non si possono negare, tuttavia, alcuni limiti, anzitutto oggi: la mancanza di coppie genitoriali preparate; la morfogenesi attuale delle famiglie; i crescenti impegni lavorativi delle coppie, purché disponibili; i nuovi protocolli ufficiali per il lavoro con i minori nati in seguito a casi di abuso.

Legami onlife: scegliere la speranza tra rischi e opportunità del social Web

Stefano Pasta (Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media, all’Innovazione, alle Tecnologie (CREMIT), Università Cattolica di Milano. Autore di Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell’odio online, Brescia, Scholé-Morcelliana, 2018).

Cittadini onlife

«L’uso del social web è complementare all’incontro in carne e ossa, che vive attraverso il corpo, il cuore, gli occhi, lo sguardo, il respiro dell’altro. Se la rete è usata come prolungamento o come attesa di tale incontro, allora non tradisce se stessa e rimane una risorsa per la comunione» [2]. È questa l’idea chiave del Messaggio per la 53a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali di Papa Francesco: il superamento della tentazione di pensare che da una parte ci sia la Rete (il virtuale) e dall’altra il mondo (il reale) è già un’indicazione di metodo dal punto di vista educativo. La duplice immagine del prolungamento e dell’attesa, infatti, indica una complementarità e un’integrazione tra online e offline: non assolutizzare, non isolare una dimensione a scapito dell’altra, ma armonizzare il proprio stare in Rete con la vita di tutti i giorni, praticare la regola dell’alternanza costruendo diete di consumo equilibrate.
In quest’ottica, per analizzare rischi e opportunità, occorre innanzitutto condividere tre premesse su come interpretare – e assumere le conseguenti posture educative – i legami nel Web 2.0, ossia la Rete sociale segnata dall’affermarsi dei social network e i servizi di instant messaging (WhatsApp, Telegram).
La prima è già stata indicata: superare il “paradigma geografico”, secondo il quale online e offline sarebbero due spazi separati, due luoghi diversi. È l’idea che troviamo riflessa nell’opposizione dei termini della lingua italiana “reale” e “virtuale”, con la conseguenza che ciò che agiamo nel “virtuale” sarebbe meno “reale” e quindi giustificherebbe un atteggiamento deresponsabilizzato: «è uno scherzo», oppure «mi stai prendendo troppo sul serio» mi hanno risposto via social tanti ragazzi, contattati poiché avevano partecipato a performances d’odio [3], come evocare le camere a gas per il campo rom vicino al quartiere o invitare allo stupro di una ragazza. In realtà, la Rete è “realtà aumentata” e ciò che agiamo nel Web è reale (e quasi sempre pubblico), siamo esseri umani definitivamente connessi, in cui offline e online non sono due dimensioni distinte ma si compenetrano. Onlife, secondo l’efficace espressione di Luciano Floridi [4]. Questo vale per quasi tutte le relazioni vissute dai ragazzi (ma anche dagli adulti): al termine dell’orario scolastico o dell’incontro di catechismo, chattando sul gruppo WhatsApp della classe, gli adolescenti continuano gli scambi (e talvolta anche le pratiche didattiche) vissuti nello spazio di educazione formale; allo stesso modo si trovano esperienze di welfare, come il progetto “WelComeTech: reti a sostegno degli anziani vulnerabili” nella provincia di Verbania [5], o di pastorale, come le pagine Instagram o Facebook “Humans of Rizzo” e il progetto “Narrare è generare” della Parrocchia San Francesco del quartiere Rizzottaglia di Novara [6], che valorizzano nell’intervento sociale la continuità tra online e offline (l’efficacia è data proprio da questo).

La rivoluzione digitale: questioni in gioco economiche e non solo

Stefano Quintarelli

Torniamo a dove tutto è cominciato.
La rivoluzione industriale determinò una profonda riorganizzazione sociale rispetto alla precedente economia prevalentemente agricola. La pressione del mercato veniva scaricata sui lavoratori che spesso vivevano ai limiti della sussistenza, e si acuivano i conflitti sociali che talvolta sfociarono in moti violenti. I ricchissimi oligarchi condizionavano l’informazione, il potere politico e quello giudiziario. Grazie al potere di cui disponevano, non mitigato da istituzioni e regole di tutela, il valore aggiunto era accumulato dal capitale, a scapito dei lavoratori.
Dalla metà dell’Ottocento e per buona parte del Novecento il mondo si divise sulla base di ricette alternative di soluzione al conflitto nella ripartizione del valore tra capitale e lavoro.
Il paradigma di questo conflitto era riassunto nelle parole finali del Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels che si concludeva con la famosa frase “Lavoratori di tutto il mondo, unitevi!”.
Una risposta degli stati socialisti furono aziende di stato, slegate dal mercato, in modo da isolare la pressione sui salari, unitamente ad una ferrea regolamentazione dei rapporti di lavoro mediati dal Partito. In Occidente prevalse un modello di regolamentazione più articolato che vide la nascita di istituzioni quali i sindacati con il loro diritto di sciopero; interventi legislativi che definirono diritti minimi ed incomprimibili per i lavoratori in materia di lavoro, pensione e salute; la progressiva possibilità di partecipazione dei lavoratori nella proprietà diffusa delle aziende; la nascita dell’Antitrust per mitigare il potere economico e con esso l’influenza dei potentati economici sulla politica. Il modello occidentale che è emerso vincitore dopo la fine dell’utopia sovietica è tuttavia messo alle corde dalla Rivoluzione Digitale e necessita di un ripensamento o, quantomeno, di alcuni interventi significativi.

 

I Profeti maggiori

di Maria Rattà

Uomini dall’aspetto più o meno imponente, quasi sempre barbuti, volto corrucciato, sguardi cupi; accompagnati da una pergamena, un libro oppure un cartiglio. In questi pochi tratti si inquadra già la figura del profeta a livello artistico, sebbene ogni singolo personaggio, di volta in volta, si connoti anche per elementi più specifici. In molti casi è l’iscrizione cui ciascuno di essi si accompagna a chiarirne l’identità, perché si tratta di versetti estrapolati dai loro libri; in altri – meno frequenti, tuttavia – sono alcuni attributi propri a svelare l’arcano, come il ramo fiorito per Isaia (p. 16), rimando alla profezia “Un germoglio spunterà dal tronco di Jesse” (Is 11,1). E proprio dal libro di Isaia nasce l’iconografia dell’Albero di Jesse, che nella sua prima rappresentazione (Vyšehrad Codex del 1086) vede il profeta seduto di fronte al patriarca, mentre lo avvolge con un cartiglio su cui è riportato il vaticinio (p. 19).
Anche in altri casi i profeti compaiono nelle scene da essi preannunciate: Geremia e Isaia si ritrovano nel quattrocentesco Trittico dell’Annunciazione di Barthélemy d’Eyck, (p. 13), e tutti e quattro i profeti maggiori compaiono nella trecentesca Annunciazione tra i santi Ansano e Massima di Lippo Lemmi e Simone Martini (p. 14). Ezechiele è inoltre spesso inserito nelle scene della natività di Gesù, come per es. in quella (dello stesso secolo) di Duccio di Buoninsegna (p. 22).
Gli artisti danno poi particolare risalto alle scene di vocazione dei profeti. Isaia è ritratto in immagini di grande intensità nel momento in cui l’angelo sta per toccare le sue labbra con il carbone ardente (Tiepolo, p. 26 e Chagall, p. 27). Anche per Geremia è immortalato l’istante in cui il Signore stende la mano e tocca la sua bocca: il miniaturista della Winchester Bible e Marc Chagall tratteggiano con estrema delicatezza l’umiltà del profeta (pag. 37).

Maturi al punto giusto

Davide Guarneri *

Il diploma, le chiavi di casa, la patente, la scheda elettorale: un esame oltre l’aula di scuola

L’Esame di Stato, più comunemente chiamato Esame di maturità, caratterizza fin dal 1923 la conclusione degli studi scolastici ed è giunto a noi attraversando riforme che l’hanno, a seconda del periodo, reso più o meno selettivo, con la presenza di commissari tutti esterni, o tutti interni, o, come oggi, per metà già conosciuti dal candidato. Tesina, buste, quizzone… sono termini ormai noti a tutti e sono parte di un immaginario studentesco che, pur nel cambiamento delle norme, è caratterizzato da una certa preoccupazione in vista di una prova che è rito di passaggio coinvolgente gli studenti e le loro famiglie, nonché i molti insegnanti che, in qualche modo, si sentono anch’essi sottoposti a verifica.
Lo scorso anno, in Italia, sono stati 520.000 i maturandi, 26.188 le classi interessate: dunque numeri importanti, giovani che giungono al termine di un percorso scolastico che li ha impegnati per almeno tredici anni.
Il “tempo della maturità” incrocia i tempi di molte realtà e di molte persone: è un momento unico ed esclusivo per un giovane che, a conclusione di un percorso si trova a fare i conti con la sua intelligenza, le competenze acquisite, la sua capacità di affrontare prove e imprevisti. Non è, dunque, solo la fine di un percorso scolastico, né solo un passaggio verso l’università o il lavoro: “o lavori, o studi” non è l’unica alternativa proponibile, ancor più oggi.
I maturandi sono giovani, cittadini, figli, che vivono dimensioni diverse e complementari rispetto anche al mondo scuola: alcuni sono attivi in gruppi, associazioni, oratori, società sportive, vivono amicizie e innamoramenti, hanno un po’ la testa altrove e si guardano in giro. Nessuno di loro vorrebbe accrescere le file dei NEET (Not in Education, Employment or Training, ovvero non studiare, non lavorare né seguire percorsi di formazione)[1], e un po’ tutti sono preoccupati del futuro, che spesso il mondo degli adulti presenta loro a tinte fosche.
I mesi precedenti all’esame della maturità sono vissuti dagli studenti come tempo di grande impegno e di sacrificio, ma sono anche occasione di riflessione sulla loro vita e sul loro futuro: in tale periodo, molti di loro diventano maggiorenni. Nell’anno della maturità è come se fossero consegnate loro, insieme al diploma, le chiavi di casa, le chiavi dell’automobile, la tessera elettorale.

*Ufficio per l’Educazione, la Scuola e l’Università della Diocesi di Brescia
Vicepresidente Fondazione Comunità e scuola

Incontrarsi: cultura della fraternità in pastorale universitaria

di Alfonsina Zanatta *

La formazione umana nei luoghi della conoscenza

Le vie pastorali prendono solitamente forma dall’intreccio sinergico di ideali, obiettivi generali, tipologia di formazione e temperamento dei responsabili, contesto in cui ci si trova a operare. Nel caso della pastorale universitaria della diocesi di Vercelli quest’ultimo fattore si è rivelato il primo a innescare i processi: sull’impostazione ha influito considerevolmente la presenza in città del Dipartimento di Studi umanistici dell’Università del Piemonte Orientale, ateneo di recente formazione con sedi nelle province di Vercelli, Biella e Novara. L’azione pastorale in e con un’università laica ha sollecitato progettualità nuove e originali, spesso accompagnate da intese culturali ed educative con docenti, ma anche con altri attori culturali: da subito le proposte sono state indirizzate, oltre che agli studenti, anche ai giovani del territorio, attraverso linee condivise con l’amministrazione comunale e con l’associazionismo.
Parallelamente, si è progressivamente delineata una distinzione nell’organizzazione ecclesiale: la pastorale giovanile più all’interno della Chiesa, mentre quella universitaria maggiormente attiva in luoghi extra ecclesiali. In uno scenario così variegato la scelta primaria e fondamentale è stata quella di aver cura della persona, e dunque di tentare un dialogo e un’offerta a partire dalla formazione umana. Attenzione dunque ad ogni singolo studente, colto nella sua dimensione più personale e accompagnato nel fare ordine e sintesi nel suo percorso esistenziale e accademico, e speciale cura della crescita nella conoscenza, e dunque offerta di itinerari, seminari e incontri su argomenti centrali per l’affacciarsi con maturità, responsabilità e stile evangelico nel mondo adulto e nella cultura contemporanea, secondo il modello antropologico cristiano.

* Pastorale Universitaria Vercelli.

A tu per tu con Bakhita

Liliana Ugoletti *

Sì, è proprio lei, Bakhita, la nuova Santa della terra africana del Sudan.
1° ottobre del 2000: Piazza S. Pietro è vestita a festa e gremita di gente di ogni colore. La grande gigantografia di Madre Giuseppina Bakhita troneggia armoniosa sull’elegante cinquecentesca facciata della Basilica: la madre di tutte le chiese.
La sua testimonianza, il suo messaggio, la sua voce, il suo racconto viaggiano in tutto il mondo, non si spengono in sordina, come avrebbe desiderato: “… me ne vado, adagio adagio…”, ma tracciano una scia luminosa di continuità tra passato, presente, futuro.
Una filosofia essenziale ha guidato la vicenda terrena di Bakhita, nonostante la mancata fanciullezza per le ingiustificate malvagità e il ripetersi quotidiano, nell’età adulta, di piccole sofferenze, trampolino di lancio per la sua santità.
“Unico mio desiderio è di far contento il Signore”.
È la Santa “moretta”, come amano chiamarla gli abitanti di Schio, ma lei si definisce la donna semplice, tranquilla, a volte timida. Il suo sorriso dolce, sincero conquista tutti, grandi e piccoli. Con i bambini ha un rapporto particolare: è la suora di cioccolata che li accoglie ogni mattina e loro giocano a toccarla divertiti perché non si sporcano le mani.

Chi è Bakhita?

Giovanni Paolo II l’ha definita “Sorella universale”. Benedetto XVI ampiamente l’ha citata nella “Spe salvi” e Papa Francesco la porta come esempio in più circostanze dedicandole un ampio passaggio nell’enciclica “Gaudete et exsultate”. È la donna forte, simbolo di come Dio trasformi le persone liberandole dalle loro schiavitù.
Bakhita, la neretta, originaria del Darfur, fatta schiava alla fine del secolo scorso, in una terra come il Sudan dove ancora oggi la schiavitù è cosa normale. Liberata, portata in Italia, extracomunitaria… analfabeta, conosce l’amore di Dio per gli uomini e si fa suora. È grande l’amore per la sua Africa e lo consegna a noi: “Ricordatevi del mio Paese, della mia gente … Oh, come volerei laggiù… Una voce interna mi diceva che non l’avrei più riveduta”.
Bakhita è affascinata dal suo Signore, il “Paron”, come bonariamente preferisce chiamarlo nel dialetto veneto, la lingua italiana da lei parlata e non trova altro modo che ricambiarlo facendosi santa, così, semplicemente, senza grandi azioni, senza stupire. In lei, nel suo essere religiosa, la gente vede la santità e avvicinandola si sente coinvolta da quell’affetto di madre che solo una donna può avere per i suoi figli e si sente toccata dall’amore di Dio. “Sono Fortunata… il Signore mi vuole bene”.

*Religiosa Canossiana

La messa è finita. Iniziamo a pregare

Il numero 04/2020 di Note di Pastorale Giovanile è disponibile online in modo gratuito (si può scaricare anche da qui). Segnaliamo un articolo di Elena Massimi.

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Capita spesso, particolarmente in celebrazioni che vedono un’ampia partecipazione giovanile, ma non solo, di non avere un attimo di respiro, di arrivare all’Ite missa est talmente stanchi, solo desiderosi di un po’ di silenzio, di pace, di “riposo”. Ministranti affaccendati, coro che riempie ogni momento “vuoto”, come se dovesse intrattenere i fedeli, sacerdoti che spiegano passo passo la celebrazione….un fluire “a tutto gas” di gesti, parole, suoni, senza una pausa, “una fermata”, un “attimo di silenzio”. Partecipiamo all’eucarestia con l’impressione di non pregare e attendiamo con ansia la fine della Messa per il meritato (sempre se ci viene concesso) momento di silenzio e di preghiera.
Questa non è liturgia: le parole e i gesti possono vivere solo se messi in relazione al silenzio, alle pause, alle soste… Allo stesso tempo però constatiamo come anche celebrazioni scandite da tempi lunghi di silenzio e meditazione, possano risultare ugualmente poco proficue. Il silenzio viene allora vissuto come “assenza di rumore e di parola” e non come “vertice di una comunione”.
Dovremmo forse fare memoria delle parole di R. Guardini, ancora così attuali: “A mio avviso la vita liturgica inizia con il silenzio. Senza di esso tutto appare inutile e vano […]. Il tema del silenzio è molto serio, molto importante e purtroppo molto trascurato. Il silenzio è il primo presupposto di ogni azione sacra”( R. GUARDINI, Il testamento di Gesù, 33).
Se, quindi, il silenzio è il presupposto imprescindibile di ogni azione liturgica, dovremmo iniziare a domandarci in quali momenti della celebrazione eucaristica farlo, come gestirlo, quali i criteri, le vie, perché possa divenire luogo di ascolto profondo.

 

Note di Pastorale Giovanile, online e gratuito il numero di aprile 2020

In accordo con la casa editrice Elledici, il numero 04/2020 di Note di Pastorale Giovanile sarà  disponibile online e gratuitamente:

Cari Amici, gentili Amiche,

accanto al pianto per chi non ce l’ha fatta, alla solidarietà per chi è in prima linea, e alla vicinanza per chi vive ancor più nel precariato, vogliamo mettere il nostro piccolo a disposizione per il ritorno alla normalità del quotidiano, dell’educativo, dell’evangelizzazione, della cura ai nostri giovani.
In questo numero di NPG che offriamo completo in PDF (e per cui ringraziamo l’Editrice e la Direzione NPG), il tema del dossier è quanto mai attuale, con tutte le forme di digitale di grande uso (informativo, didattico, culturale, socializzante, ricreativo…) in questo tempo di “reclusione”.
Dunque… TUTTI CONNESSI. E POI? Le sfide antropologiche, educative e pastorali dell’ambiente digitale.
Seguono approfondimenti sul tema, tutti ripresi da articoli precedenti in NPG e nel sito: che merita riprendere!
Poi le RUBRICHE, questa volta tutte linkate al corrispettivo nella rivista e nel sito.
Tra esse segnaliamo la chiusura di “Storia artistica della salvezza”, una quasi enciclopedia di pittura, scultura, mosaci e vetrate che narrano visivamente lungo i secoli la multiforme strada dell’alleanza Dio-uomo.
Continuano poi le rubriche sulla famiglia, sull’accompagnamento educativo, sui santi di oggi come veri modelli-esempi, circa una liturgia più viva e corretta, vivaci esperienze scolastiche e universitarie, e schede per una PG rinnovata.
Cose belle, cose serie, cose che aiutano l’educatore nel suo arduo, bellissimo compito!

Un caro saluto, buon cammino di rientro alla stupenda normalità.

Con amicizia.

Giancarlo De Nicolò
redazione di NPG

Il sito di NPG

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