Democrazia

Come parlare 

Forse la cosa più importante per educare alla democrazia è sottolineare che non esiste un sistema “più” o “meno” democratico, così come non si può introdurre “un po’” di democrazia in uno Stato, una associazione o una istituzione. La democrazia è un gioco a somma zero: o c’è o non c’è, il che significa che in un sistema o i capi sono eletti da tutto il popolo oppure no; nel secondo caso non siamo in presenza di un sistema democratico, ma di qualcosa di differente. Intendere la democrazia come un concetto graduato significa stemperarne la potenza educativa e politica e soprattutto contribuire a creare ibridi politici, organismi nei quali una sostanziale impunità e ingiudicabilità dei dominanti viene coperta da una serie di graziose concessioni pseudo-democratiche che assicurano ai dominanti stessi un formale consenso; ricordiamo che anche il Duce indisse un patetico e penoso plebiscito! Ma se quanto detto sopra è vero, è allora implicito che un sistema formativo non può essere un sistema formalmente democratico: se i ragazzi non possono scegliersi gli insegnanti attraverso un voto (e al di là della demagogia di moda ci sentiamo di dire: che Dio ce ne scampi!), se i programmi scolastici sono predisposti dal Ministero e vengono poi sottoposti ai giovani e alle giovani senza sostanzialmente chiedere un loro consenso, se insomma l’educazione è per sua struttura basata su un dislivello di potere tra educatore/trice ed educando/a, allora siamo di fronte all’apparente paradosso di una struttura formalmente non democratica che però deve educare alla democrazia. Ma i come detto, il paradosso è solo apparente: l’educazione è una struttura di dipendenza che educa all’autonomia e dunque la relazione educativa è una relazione non democratica che, lavorando alla sua stessa fine, alla sua stessa estinzione, alla sua stessa morte, contribuisce, in quanto antropogenesi, a mettere al mondo soggetti democratici. Questo ovviamente può accadere soltanto se le strutture educative sono inserite in una società democratica e ne rispettano le regole di trasparenza e partecipazione; solo l’assoluta democraticità nella gestione delle istituzioni e dei servizi educativi, la pratica democratica quotidiana nelle relazioni tra colleghi, il rispetto delle decisioni prese collegialmente, solo la copresenza di queste caratteristiche che devono essere tipiche di ogni servizio (soprattutto pubblico) permette che l’educazione lavori per la democrazia; permette, in altri termini, che alla fine dell’educazione, alla morte della relazione educativa, allo sciogliersi del rapporto pedagogico, nasca, con l’adulto democratico, l’adulta democrazia.

Come pensare 

Una storia: chi decide chi decide?
Una bambina sta giocando in casa con il papà. A un certo punto la bimba dice
“Papà ho fame”
“È vero – risponde il padre – è ora di pensare alla cena”
“Che cosa c’è per cena?
“Beh, potremmo passare al microonde i cannelloni che ci sono in freezer oppure scendere a ordinare una pizza da asporto”
“Pizza o cannelloni… sono buoni tutti e due”
“Sì, ma non si possono mangiare tutti e due… bisogna decidere”
“Ma papà, chi decide?”
“Decidi tu se vuoi”.
La bambina riflette un attimo e poi chiede
“Ma papà, chi decide chi decide?”

Forse l’educatore non è colui che decide sempre, ma a volte decide che può essere l’altro a decidere. Ma:
– Lasciare che un altro decida non è “democrazia”; nella democrazia non la decisione non è concessione ma diritto
– Quali sono i limiti della decisione? Perché non includere anche i profiteroles nella scelta?
– Il padre è da solo: chi potrebbe aiutarlo a tracciare le linee di demarcazione della decisione?
– Quali altri ambiti (scuola, oratorio, squadra di calcio) possono permettere questa situazione nella quale l’adulto “decide che decidi tu”?

Film “La parola ai giurati” di Sidney Lumet, 1957
Il film è ambientato all’interno di un’aula di consiglio nella quale dodici uomini (il titolo originale è “Twelve Angry Men”, “Dodici uomini arrabbiati”) devono decidere se un ragazzo sia colpevole o meno di omicidio. La decisione deve essere presa all’unanimità, il che pone fortemente in questione il principio di maggioranza che siamo soliti associare in modo un po’ automatico alle decisioni democratiche. Undici uomini votano per la condanna, uno solo per l’assoluzione. Tutto il film è giocato sul potere di convincimento dell’uomo che nutre dubbi sulla colpevolezza del ragazzo (si noti: l’uomo non è sicuro dell’innocenza ma nutre “ragionevoli dubbi” sulla colpevolezza).
È interessante discutere sul senso della decisione a maggioranza e/o all’unanimità (quando il Sinedrio ebraico decideva all’unanimità una condanna a morte, l’imputato veniva assolto) ma anche sui meccanismi razionali di convincimento messi in atto dal protagonista, contro le posizioni opportunistiche, indifferenti o emotivamente deviate da parte degli altri personaggi.

Cosa fare 

La difficoltà della pratica quotidiana della democrazia è legata al fatto che alcuni conflitti (vedi il numero precedente) sfidano il semplice meccanismo del calcolo della maggioranza. Questo gioco può essere proposto a preadolescenti suddivisi in due gruppi e richiede ovviamente che si analizzino insieme ai ragazzi le varie possibili soluzioni.

GRUPPO 1
Siete un gruppo di naufraghi su un’isola sconosciuta e assente dalle mappe. Dopo una lunga esplorazione scoprite che sull’isola vivono degli indigeni che vi accolgono amichevolmente. Scoprite anche che la grande pietra che costituisce il loro luogo sacro è costituita da un materiale rarissimo, che esiste solo su quest’isola. Un medico che è con voi vi informa che quel materiale è l’anello mancante per una serie di ricerche che permetterebbero di inventare un vaccino definitivo contro ogni forma di Covid. Gli indigeni vi hanno fatto capire che per loro quella grande pietra è sacra, e costituisce la base di tutto il loro mondo; non sono per nulla disponibili nemmeno a farvi accedere ad essa. Il medico dice che occorrerebbe portare via tutta la grande pietra per poter raccogliere materiale necessario per la sintesi del vaccino. Che cosa decidete di fare?

GRUPPO 2
Siete un gruppo di indigeni che vive su un’isola sconosciuta e assente dalle mappe. Alcuni naufraghi occidentali sono sbarcati sull’isola e voi li avete accolti amichevolmente. Essi hanno scoperto che la grande pietra che costituisce il luogo sacro per la vostra tribù è costituita da un materiale rarissimo, che esiste solo su quest’isola. Un medico che è con loro informa che quel materiale è l’anello mancante per una serie di ricerche che permetterebbero di inventare un vaccino definitivo contro ogni forma di Covid. Per voi quella grande pietra è sacra, e costituisce la base di tutto il vostro mondo; non siete disponibili nemmeno a farvi accedere estranei alla tribù. Il loro medico dice che occorrerebbe portare via tutta la grande pietra per poter raccogliere materiale necessario per la sintesi del vaccino. Che cosa decidete di fare?

Come provare

“Ragazzi, decidiamo democraticamente quanto deve durare l’intervallo”.
“Bene, prof, abbiamo deciso: cinque ore”.
Non crediamo che questo scambio di battute sia realistico, perché siamo convinti della maturità e dell’intelligenza dei ragazzi e delle ragazze e della loro capacità di rimanere all’interno delle logiche dell’istituzione. Ma crediamo che a scuola educare alla democrazia significhi approcciare la democrazia come metodo e come oggetto di riflessione.
Ascoltare la canzone “Angeleri Giuseppe” di Giorgio Gaber ci richiama in modo ironico alla necessità di una responsabilità adulta soprattutto quando di educa alla democrazia

Buongiorno ragazzi
Anzi ciao!
(caos)
Sì, sì va bene mi piace, fate pure, parlate, parlate, sì capisco, e sì sì certo
Io sono Alberto, Alberto Vannucchi, il vostro nuovo maestro
Vi accorgerete subito che con me è tutto diverso
Niente autoritarismo, sono qui per lavorare su richiesta anzi per imparare, sì, per imparare con voi
Tra di noi ci sarà un rapporto di lavoro collettivo e di amicizia
Scusate se faccio l’appello, so che sono cose superate ma è per loro, sì, è per loro
Non si può fare a meno di una certa prassi
Non si può fare a meno di una certa prassi anche se tutti sappiamo che è una formalità, eh!?
Dunque allora cominciamo, eh
Angeleri Giuseppe
(tutti i ragazzi rispondono “Sono io”)
Tutti Angeleri Giuseppe
Bella questa
No, è geniale, sì, molto spiritosa, sì sì
No scusate io devo fare l’appello
Non è che ci tenga particolarmente per carità, ma proprio per conoscerci
Insomma per sapere chi siamo
(…)

“Ragazzi, preferite fare un intervallo di 20 minuti dopo la III ora oppure due di dieci minuti dopo la II e la IV ora?”. Porre questa domanda significa aprire possibilità, dare responsabilità e soprattutto permettere all’adulto di osservare i ragazzi nelle loro dinamiche di decisione e di discussione. Significa educare alla democrazia ma anche e soprattutto educarsi ad osservare la democrazia in azione, nei rapporti concreti tra ragazzi e ragazze.

Cosa domandarsi 

La democrazia non entra nelle relazioni educative solamente nei rapporti tra adulti e ragazzi, ma anche nelle relazioni tra educatori. Potremmo allora chiederci:
– Come gestiamo le nostre riunioni?
– Quando siamo in minoranza riusciamo ad accettare e a praticare le decisioni della maggioranza?
– Quando siamo in maggioranza riusciamo a rispettare fino in fondo le opinioni della minoranza?
– Siamo in grado di accettare ed elaborare le critiche dei colleghi?
– Siamo in grado di formulare le critiche ai colleghi in modo da non toccare le dimensioni personali?
– Quanto tempo utilizziamo per prendere le decisioni?
– Riusciamo a comunicare chiaramente le decisioni prese a tutti i colleghi, soprattutto a quelli assenti?

 

Con Don Bosco alla GMG di Lisbona

Da Note di Pastorale Giovanile

di João Xavier Fialho – Ufficio Pastorale Giovanile, Salesiani don Bosco Portogallo – Comitato organizzatore locale GMG, Lisbona 2023

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Ospitare in Portogallo dal 1° al 6 agosto 2023 la Giornata Mondiale della Gioventù, il più grande raduno di giovani del mondo, un vero incontro di salvezza, è senza dubbio una grazia enorme, ma anche una responsabilità smisurata. Così si sente l’organizzazione GMG DON BOSCO 23 (organizzazione congiunta tra il Movimento Giovanile Salesiano, i Salesiani di Don Bosco e le Figlie di Maria Ausiliatrice) dopo l’annuncio dello svolgimento della GMG a Lisbona il 27 gennaio 2019 per voce del card. Farrell.
Il desiderio di accogliere migliaia di giovani salesiani ha iniziato a prendere piede nei giovani del MGS-Portogallo fin dal primo momento. La partecipazione è di particolare importanza e significato. Da un lato, insieme a tutta la Chiesa portoghese, l’accoglienza del più grande evento giovanile ed ecclesiale del mondo è, di per sé, motivo di giubilo e di grazia; dall’altro, in un contesto post-pandemico in cui si sono ridotte molte relazioni familiari, di amicizia e di vicinanza, così come l’accompagnamento spirituale, il ripristino di grandi incontri, abbracci e presenze è di indiscussa importanza. Dopo la sorpresa iniziale, i festeggiamenti e la gioia contagiosa, è arrivato il momento di mettere in moto questa grande organizzazione.
La GMG DON BOSCO 23 offre la sua dimensione carismatica e la sua spiritualità giovanile salesiana a migliaia di giovani provenienti da tutto il mondo, che cercano, in un ulteriore momento di grazia, di celebrare la gioia di essere Chiesa e di essere Movimento Giovanile Salesiano; di essere con Don Bosco alla GMG. Cerca inoltre di integrare la GMG 2023, accompagnando tutti i dinamismi e i momenti previsti nella Chiesa portoghese, oltre a valorizzare in un giorno particolare tutta la sua dimensione associativa e giovanile, attraverso la “Giornata SYM”. Non trascurando anche il tempo della preparazione, scommettendo su iniziative che rafforzino gli itinerari locali, nazionali e internazionali, nonché offrendo momenti e pratiche che aiutino i giovani nel loro discernimento e incontro con Gesù Cristo.
L’obiettivo principale è quello di celebrare la gioia di essere discepoli di Gesù Cristo insieme a migliaia di giovani di tutto il mondo alla GMG 2023, attraverso la convocazione di tutti i giovani degli ambienti salesiani per una partecipazione alla GMG. A tal fine stiamo coinvolgendo i giovani portoghesi, le loro famiglie e altri ambienti salesiani in questa organizzazione, sia nella GMG che nelle giornate nelle diocesi. Non dimentichiamo che la GMG, soprattutto nel cuore salesiano, è uno spazio assunto per il protagonismo giovanile, non solo nella destinazione delle azioni, ma anche nella loro concezione, sviluppo, riflessione, applicazione e animazione, responsabilizzando il protagonismo giovanile. Per questo motivo tutte le équipe salesiane che preparano questo grande momento integrano salesiani, suore salesiane e giovani che collaborano fianco a fianco.
Abbiamo accolto con entusiasmo la sfida di accogliere i membri della GMG mondiale, dando loro la possibilità di vivere la GMG in un ambiente salesiano, offrendo luoghi di ospitalità, spazi di preghiera e ambienti di festa e di gioco. Organizzeranno anche “momenti forti” salesiani come il Forum e il Festival SYM che si terrà il 2 agosto.
È un’occasione unica per investire nella dimensione evangelizzatrice della vita dei giovani, offrendo un percorso che incoraggi i più vicini e i più lontani alla fede e all’amicizia con Gesù Cristo. È il momento per il SYM di testimoniare, come movimento, l’appartenenza alla Chiesa, la fede cristiana, l’impegno e il servizio nel mondo e la gioia di seguire le orme di Don Bosco, patrono della GMG di Lisbona 2023! In questo senso, Maria, Signora della Visitazione, ha un posto molto speciale fin dall’inizio, con l’annuncio della GMG 2023, come manifestazione di un cammino luminoso che ci indica la gioia di partire in fretta per incontrare tanti altri giovani e comunità, e di vivere questo tempo come una manifestazione di lode e di giubilo per il fatto che il Signore è in mezzo a noi.
Vale la pena menzionare anche la collaborazione che esiste con il Comitato Organizzatore Locale (LOC), responsabile dell’organizzazione della GMG Lisbona 2023, e i Comitati Organizzatori Diocesani (CDI), responsabili della gestione delle Giornate nelle Diocesi.
Come giovani nutriti dalle radici della spiritualità giovanile salesiana, provenienti dall’emisfero nord e dall’emisfero sud, dall’est e dall’ovest, dall’Europa, dall’America, dall’Asia e dall’Oceania, dagli oltre 130 Paesi in cui è presente il carisma salesiano, vogliamo dire “SÌ” all’invito di Papa Francesco ed essere presenti alla XXXIII Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona nell’estate del 2023.
Da Lisbona aspettiamo tutti i giovani del Movimento Giovanile Salesiano! Ci vediamo ad agosto!

Ulteriori informazioni su: www.wyddonbosco23.pt

 

Abbonamenti

La GMG di Lisbona al centro del cammino sinodale

Dal numero di dicembre di NPG, un approfondimento sulla prossima GMG di Lisbona: per il Movimento Giovanile Salesiano, ci sono già 1.200 ragazzi preiscritti.

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Sr Nathalie Becquart, xmcj, sottosegretaria della Segreteria generale del Sinodo

È difficile immaginare un pellegrinaggio più grande della Giornata Mondiale della Gioventù! Milioni di giovani di tutto il mondo si riuniscono per percorrere il cammino della fede con la presenza di migliaia di sacerdoti, religiosi e religiose, leader laici, centinaia di vescovi e, certamente, il Papa. Come pellegrinaggio globale, la GMG può essere vista come un’icona della Chiesa sinodale e un laboratorio di sinodalità. Perché in qualche modo esprime il dinamismo, l’energia e lo stile del cammino della sinodalità che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio.[1] La sinodalità è una visione dinamica dell’identità della Chiesa come popolo di Dio che integra la sua dimensione storica; fa sì che la Chiesa sia vista e vissuta come un popolo di pellegrini missionari che camminano insieme ascoltando lo Spirito. In questo senso, la GMG come esperienza paradigmatica di pellegrinaggio è l’espressione viva di una Chiesa sinodale, giovane e in movimento.

Dal Sinodo dei giovani al ministero sinodale

Ascoltando i giovani di tutto il mondo, il discernimento dei membri del Sinodo dei giovani dell’ottobre 2018 ha decretato che la sinodalità è davvero la chiave per agire con i giovani, per trasmettere la fede oggi e per affrontare le sfide missionarie attuali. Per questo motivo Papa Francesco nella sua esortazione post-sinodale Christus vivit esprime chiaramente che:

La pastorale giovanile non può che essere sinodale, vale a dire capace di dar forma a un “camminare insieme” che implica una «valorizzazione dei carismi che lo Spirito dona secondo la vocazione e il ruolo di ciascuno dei membri [della Chiesa], attraverso un dinamismo di corresponsabilità. […] Animati da questo spirito, potremo procedere verso una Chiesa partecipativa e corresponsabile, capace di valorizzare la ricchezza della varietà di cui si compone, accogliendo con gratitudine anche l’apporto dei fedeli laici, tra cui giovani e donne, quello della vita consacrata femminile e maschile, e quello di gruppi, associazioni e movimenti. Nessuno deve essere messo o potersi mettere in disparte».[2]

Chi accompagna i giovani alla GMG sa che essi hanno bisogno innanzitutto di essere ascoltati, hanno fame di relazioni. Annunciare il Vangelo ai giovani di oggi richiede quindi di mettere al centro le relazioni:
È nelle relazioni – con Cristo, con gli altri, nella comunità – che si trasmette la fede. Anche in vista della missione, la Chiesa è chiamata ad assumere un volto relazionale che pone al centro l’ascolto, l’accoglienza, il dialogo, il discernimento comune in un percorso che trasforma la vita di chi vi partecipa.[3]
Questo è ciò che rende possibile la sinodalità, radicata nell’ascolto del sensus fidei e che chiede a tutti – soprattutto ai giovani – di far sentire la propria voce. La sinodalità, questo “camminare insieme” in ascolto dello Spirito, ci costruisce come Popolo di Dio.[4] È un processo che ci “ecclesializza”, ci rende Chiesa. La sinodalità ci fa passare dall’io al noi. Lo stesso si potrebbe dire dell’esperienza della GMG, che permette ai giovani cristiani di fare un’esperienza forte di Chiesa, di rendersi conto che non sono soli, ma formano una comunità di dimensioni universali. Infatti, i frutti della GMG sono anche quelli della sinodalità: gioia, slancio missionario, conversione del cuore, comunione, responsabilizzazione, impegno, desiderio di partecipazione e corresponsabilità, chiamata al cambiamento e attivazione.
I responsabili della GMG lo sanno bene. Per consentire questa esperienza umana, spirituale ed ecclesiale, la GMG non deve essere vissuta come un evento isolato, ma piuttosto come un processo scandito da diverse tappe. È quindi necessario sviluppare una pedagogia spirituale e pastorale che includa anche la preparazione antecedente e il ritorno dalla GMG come fasi fondamentali del percorso. Per il modo in cui concentrano gli elementi chiave della vita cristiana, le GMG sono un laboratorio di fede e, più precisamente, un microcosmo di pastorale giovanile. Esprime uno stile a livello globale, quello di una Chiesa in movimento a immagine del colorato logo del Sinodo 2021-2023, uno stile da praticare continuamente nella pastorale giovanile ai diversi livelli locali, diocesani, nazionali e continentali.
Insomma, le GMG possono essere un bel laboratorio di sinodalità perché permettono di fare esperienze di incontro, dialogo, preghiera e festa insieme. Esse permettono di fare un’esperienza concreta di cammino insieme a compagni di viaggio di culture, esperienze di Dio e spiritualità diverse, sperimentando questa comunione possibile favorita dalla partecipazione attiva di tutti, affinché tutti possano essere inviati in missione. La Chiesa ha molto da imparare dall’esperienza delle GMG per avanzare nel suo cammino di conversione sinodale. Innanzitutto, l’esperienza di corresponsabilità con i giovani, perché la GMG, coinvolgendo i giovani nella preparazione e nell’organizzazione, è per molti una scuola di formazione missionaria. Basta ascoltare le testimonianze dei giovani volontari o dei giovani responsabili dei gruppi per percepire i frutti delle GMG come un “cammino sinodale” che risveglia e attiva la grazia battesimale dei partecipanti attraverso un processo che dispiega la cultura dell’incontro.

Lisbona come kairos nel cammino sinodale

La GMG che si terrà a Lisbona nell’agosto 2023, tre mesi prima dell’Assemblea episcopale di Roma, può quindi essere vista come un vero e proprio kairos per questo processo sinodale.
Perché i giovani sono il motore della sinodalità. Aspirano a stare insieme per agire al servizio degli altri. La GMG li aiuta a riscoprire il primato del “noi” ecclesiale radicandoli in Cristo e nella Chiesa, li orienta al servizio degli altri. Dimostra che “la vita è un cammino comunitario dove i compiti e le responsabilità sono divisi e condivisi in funzione del bene comune”[5]. Chi fa parte di un gruppo di pellegrini alla GMG fa l’esperienza di questo “camminare insieme” in uno spirito che permette di coltivare una fraternità senza confini, una gratuità nelle relazioni, uno slancio verso l’altro, un’apertura all’imprevisto e una gioia di vivere e di credere. Si tratta di carismi in grado di rinnovare tutta la Chiesa, di darle energia e di metterla in moto. Perché ciò avvenga, dobbiamo lasciare che la creatività e l’audacia dei giovani si sprigionino per ricevere ciò che Dio vuole trasmetterci attraverso di loro.

Una Chiesa che si lascia rinnovare da e con i giovani

La GMG è quindi una grande leva per il rinnovamento sinodale della Chiesa. Allo stesso tempo, la sfida in questo tempo di processo sinodale è cercare di rendere la preparazione e l’esperienza della GMG ancora più sinodale. Dobbiamo quindi chiederci: come possiamo continuare la conversione sinodale nelle nostre équipe della GMG? Come possiamo permettere che i frutti, il dinamismo e lo slancio della GMG arricchiscano e animino la svolta sinodale nelle nostre diocesi, parrocchie, comunità religiose e movimenti? Nei nostri diversi ambienti ecclesiali, siamo chiamati a fare davvero spazio ai giovani e a creare o rafforzare i legami tra le generazioni per fare un altro passo nel nostro cammino insieme, come ci invita a fare la domanda fondamentale della consultazione sinodale.[6] I giovani sono indispensabili per la missione e il cammino della Chiesa in questo terzo millennio. Papa Francesco insiste su questo punto quando si rivolge ai giovani di tutto il mondo come segue:

“La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Ne abbiamo bisogno! E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci” (Christus vivit, 299).

Una Chiesa sinodale è quindi una Chiesa giovane. Per essere più sinodale la Chiesa ha bisogno dei giovani per invitare tutti noi ad avere una mentalità giovanile, come sottolinea Papa Francesco:

Essere giovani, più che un’età, è uno stato del cuore. Quindi, un’istituzione antica come la Chiesa può rinnovarsi e tornare ad essere giovane in diverse fasi della sua lunghissima storia. In realtà, nei suoi momenti più tragici, sente la chiamata a tornare all’essenziale del primo amore […] essa è la vera giovinezza del mondo. In essa è sempre possibile incontrare Cristo, “il compagno e l’amico dei giovani”. Chiediamo al Signore che liberi la Chiesa da coloro che vogliono invecchiarla, fissarla sul passato, frenarla, renderla immobile.[7]

La Chiesa ha bisogno del dinamismo dei giovani, del loro desiderio di un mondo migliore e di una Chiesa più missionaria e misericordiosa, più autentica e coerente. I giovani condividono il sogno di Dio di una Chiesa più fraterna, più impegnata nella giustizia, più aperta all’accoglienza, più inclusiva degli esclusi, più attiva nell’uscire verso le periferie dell’umanità.
Spetta a ciascuno di noi, nel campo della pastorale giovanile, discernere concretamente come la GMG possa approfondire la nostra capacità di camminare insieme nella Chiesa e con l’intera famiglia umana. In uno spirito sinodale siamo invitati a fare questo discernimento con i giovani. Cogliamo quindi l’occasione per crescere nella nostra capacità di ascoltare i giovani, dando loro spazi per ascoltare insieme la Parola di Dio, per ascoltare ciò che Dio semina nei loro cuori, per ascoltarci a vicenda e per ascoltare il grido del pianeta e dei poveri.
Il tema della GMG di Lisbona ci mette alla scuola della Vergine Maria: “Maria si alzò e partì in fretta” (Luca 1,39). Maria è una giovane donna che si è lasciata travolgere dalla novità di Dio. Attraverso di lei, Dio ha scelto di rinnovare il mondo e la storia. Maria è l’icona di una Chiesa giovane e sinodale, in movimento, che a sua volta ci conduce lungo le vie del futuro aperte dallo Spirito.

“Parla con Dio”: la lettera di Mons. Delpini agli adolescenti

Una lettera appassionata, quella che l’Arcivescovo Mario Delpini ha dedicato ai ragazzi nel pieno dell’adolescenza: un’età fatta di grandi slanci, sogni e desideri, ma caratterizzata anche dall’incertezza, dal sentirsi incompiuti, sopraffatti da una moltitudine di domande.
Un’età in cui pregare sembra una pratica desueta, ormai lontana, di cui si può fare a meno e vivere bene lo stesso, al più da “usare al bisogno”, come una sorta di terapia per stare meglio.
Un’età in cui ci si chiede perché credere in un Dio che “non è presente e vicino” come si vorrebbe e chi è veramente questo Signore, che dicono “Padre di tutti”…
L’Arcivescovo va dritto al cuore dei ragazzi: «Anch’io mi sono fatto − e mi faccio − le stesse domande. Ma ricordo anche momenti della mia adolescenza, quando lo sguardo rivolto al crocifisso della mia chiesa mi ha come trafitto il cuore; quando una sera di vento mi ha fatto giungere una parola commovente, come una confidenza sorprendente; quando le parole “solite” sono diventate come fuoco; quando in un momento di adorazione mi sono sentito dire: “Io vi ho chiamato amici…”. Era forse preghiera?».
Ecco, allora, il messaggio che Mario Delpini vuole arrivi agli adolescenti: «La preghiera non è una cosa da fare ma un incontro che cambia la nostra vita in profondità. Per questo preghiamo: perché il nostro cuore si trasformi e si apra. Pregare permette al cuore di vivere e di sentire la vita».
Non manca nulla a chi accoglie l’invito a credere e pregare. Ed è lo stesso Gesù a suggerirci le parole per allacciare una relazione con Dio, nel Vangelo secondo Matteo (6,9-13). Parole che riempiono di stupore, che stringono cielo e terra in un unico abbraccio che sa di speranza. Una speranza, ci dice ancora l’Arcivescovo, che è come l’adolescenza: un desiderio in attesa di germogliare.
Ma che cosa vale la pena desiderare, in un mondo che offre di tutto? Vogliamo la felicità che non finisce mai, ma spesso ci accontentiamo di molto meno. Ecco, la preghiera viene a salvarci: dal sottovalutare la nostra esistenza, la nostra libertà, infine noi stessi. Perché la libertà è frutto di una relazione buona, di un potersi chiamare per nome, affidandosi all’altro senza paura.
Dio non pretende nulla: se consegni a lui il tuo desiderio di felicità ti camminerà accanto ogni giorno, come un amico vero, disposto a donarti la vita.

La Lettera è disponibile nelle librerie dal 3 novembre e sul sito www.itl-libri.com

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Nostalgia del cielo

Da NPG

La nostalgia di Dio nell’arte moderna e contemporanea

di Maria Rattà

Perché bramo Dio? si chiude con questa domanda inquietante una lirica del poeta italiano Ungaretti. Una domanda universale, che dà voce ai mille quesiti di ogni uomo che si ritrova, prima o poi, a incontrarsi/scontrarsi con il desiderio di assoluto e di infinito che lo inabita.

In questo punto interrogativo si riversano tutte le paure dell’essere umano dinanzi alla possibilità di un mondo sovraumano, del desiderio dell’Altro che sta Oltre, in una dimensione sconosciuta ai sensi materiali. Un contrasto così forte che Ungaretti lo esprime senza mezzi termini fin dal titolo: Dannazione.

Dannazione. Parola forte che riassume la lotta, il tormento della nostalgia: arriverò mai a quello di cui sento, in fondo, la mancanza? Ed è reale ciò che mi manca? È dunque una benedizione o una condanna sperimentare la nostalgia del divino? È una sentenza di morte in vita, aspettando ciò che non esiste, oppure una benedizione che fa aprire gli occhi in questa vita sulla vera vita? La risposta (che per il poeta arriverà poi con la conversione) presuppone, secondo la declinazione ungarettiana, una domanda di Dio che è domanda di cielo: Chiuso fra cose mortali / (Anche il cielo stellato finirà). Sono i versi iniziali che precedono l’interrogativo in chiusura e tracciano un vero e proprio itinerario nella mappa della nostalgia del divino. Come si può credere che esista un Cielo che non avrà fine, un Cielo-Paradiso le cui luci brilleranno per sempre, squarciando il buio più pesto, quando ci vediamo come in un inferno, “chiusi”, “condannati” fra cose che ci parlano tutte di sofferenza, termine ultimo e, in sintesi, di morte?
In queste poche righe Ungaretti condensa molti concetti, ma uno su tutti, ossia l’ancestrale collegamento fra il cielo, quale metafora del Cielo divino, e la terra quale mondo degli uomini assetati, bisognosi di appoggiarsi a una creatura differente, che sia altro da sé: un dio più grande, più buono, più potente di tutta l’umanità. Questa connessione è evidente fin dalla preistoria anche nel modo umano di pregare, con le braccia rivolte al cielo, una modalità di cui si trovano tracce artistiche in alcune incisioni rupestri della Val Camonica.

A dimostrare che fin dall’antichità il cielo è considerato la dimora degli dei, e nella sua immensità, nella sua luce, nella sua capacità molteplice di influenzare la terra (basti pensare agli agenti atmosferici) esso si identifica con l’Essere supremo (cfr. Christian Cannuyer, Dio è nei cieli?, Sito internet della Documentazione Interdisciplinare di Scienza&Fede, https://disf.org/dio-nei-cieli). Nemmeno la Bibbia, espressione della fede del popolo ebreo prima e dei cristiani poi, si sottrae a questa identificazione: quel cielo che Dio ha creato e che testimonia la sua gloria, Dio lo abita anche. Di più: Dio stesso con la sua luce squarcia le tenebre della creazione, irrompendo nel mondo materiale. Il pittore russo Aivazovsky, non a caso, presenta il Creatore come un personaggio di luce che tutto crea, tutto domina, tutto illumina. Sono tele in cui si evidenzia come la nostalgia del divino sia, in fondo, la nostalgia di ciò che porta calore e luce (amore) nelle vite umane, dissipando il buio delle paure, le nuvole delle incertezze, delle sofferenze e delle fragilità; calmando e illuminando le tempeste che ci agitano e ci fanno temere per la nostra stessa incolumità.

Di luce che squarcia le tenebre parla anche il tramonto, uno dei momenti privilegiati del cielo per il nostalgico e per l’arte che parla di nostalgia. Già la parola stessa dice tutto, nella sua etimologia: andare oltre i monti, oltre ciò che è puramente visibile, per cogliere l’invisibile. E proprio Tramonto si intitola un’altra poesia di Ungaretti, i cui versi recitano: Il carnato del cielo / sveglia oasi / al nomade d’amore. L’uomo nostalgico è in viaggio, preso da un nomadismo d’amore che lo spinge a guardare il cielo come fosse un volto, un incarnato colorato, contemplandolo dalla terra e trovandovi un’oasi. Perché in sostanza il tramonto – ogni tramonto – ci spinge a guardare alla fine come alla possibilità/speranza di qualcosa di nuovo. Nel tramonto, infatti, come nell’esperienza della vita, si uniscono la fine e l’inizio, in un passaggio di continuità fra un giorno che si conclude e la notte che sopraggiunge, passaggio necessario perché un altro giorno possa arrivare.

In questa ricerca siamo tutti coinvolti, che ce ne rendiamo conto o meno. Lo sottolinea il pittore Caspar D. Friedrich nel suo quadro intitolato Il tramonto, anche conosciuto come I fratelli. I due protagonisti, visti di spalle, nell’aspetto simili a viaggiatori, e probabilmente fratelli, sono fermi a contemplare il calar del sole. Anche noi, come osservatori, siamo lì con loro, collocati idealmente, grazie al punto di osservazione, qualche passo indietro, partecipando dal di dentro alla scena. Perché tutti siamo fratelli, figli di uno stesso Padre, in cammino verso di Lui, verso il cielo come Paradiso, Regno di Dio.

Davanti al cielo nel suo affascinante divenire, nella sua alternanza di luce e buio, l’uomo si interroga sulla Verità, e anche quando rimane chiuso in una sorta di scetticismo, la speranza non sembra del tutto abolita, come sottolinea il cantautore Grignani in conclusione della sua Solo cielo: «Perché credo che sia solo cielo / quello che vedo lassù / Nessun Dio, niente mistero / solo cielo e niente più / Eppure, oltre al tempo / qualcos’altro ci sarà / Non voglio immaginare / tutto qua». L’uomo, in effetti, porta dentro di sé un’ancestrale e insopprimibile «nostalgia delle stelle», secondo la definizione dello scrittore greco Nikos Kazantzakis. E il cielo stellato è paradigma per eccellenza della nostalgia di Dio anche nella Scrittura, come ben sottolinea il Salmo 8,4-5: «Quando vedo i tuoi cieli, / opera delle tue dita, / la luna e le stelle che tu hai fissato, / che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, / il figlio dell’uomo, perché te ne curi?». Così anche le tele dei grandi pittori si riempiono di cieli stellati, come in Van Gogh, che nel periodo (uno dei più difficili della sua vita) in cui dipinge varie versioni della Notte stellata, scrive al fratello: «Quando sono colto dal mio “terribile bisogno di religione”, vado fuori di notte a dipingere le stelle […] e sogno sempre un quadro così, come un gruppo di amici vivi». D’altronde nel Cielo brillano le costellazioni dei santi, con in testa Maria, la stella del mare che guida la Chiesa – e ogni credente – verso Dio. Proprio come la si vede in mosaico della basilica di Notre Dame de La Garde (Marsiglia): astro luminoso sul mare in tempesta, a orientare la Chiesa – quale barca di Pietro – in cammino verso suo Figlio Gesù.

In questo viaggio nostalgico verso Dio non siamo dunque soli: ci accompagnano Gesù, Colui che discese dal Cielo e al Cielo fece ritorno promettendo di rimanere sempre con noi, e sua Madre Maria, la Vergine alla quale, con le parole di un’antica preghiera, ci rivolgiamo con fiducia, dicendole: Ave, stella del mare, / madre gloriosa di Dio, / vergine sempre, Maria, / porta felice del cielo. / […] Veglia sul nostro cammino, / fa’ che vediamo il tuo Figlio, / pieni di gioia nel cielo».

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“Sai sognare?”: eletto il nuovo coordinamento del MGS Italia

“Noi ci s(t)iamo”… lo hanno ribadito con entusiasmo i 38 partecipanti all’ultima Consulta del MGS Italia che si è radunata nella propria sede presso il Centro Nazionale salesiano di Roma dal 21 al 23 ottobre scorso.

Obiettivi del primo dei tre raduni annuali: mettere a fuoco identità e i compiti della consulta (composta dalle 7 Consigliere FMA di PG, dai 6 Delegati SDB di PG, dalla rappresentante dei Salesiani Cooperatori e da 24 giovani provenienti dalle 6 zone in cui è suddiviso il territorio italiano), condividere l’intensa vitalità estiva, predisporre il cammino di preparazione alla prossima GMG di Lisbona, elaborare la proposta pastorale per il prossimo anno e eleggere il nuovo coordinamento nazionale.

Giornate intense di confronto a gruppi provocate da quel “sai sognare?” che don Bosco rivolge a ciascun giovane perché nella vita non si accontenti di razzolare ma sappia puntare a mete degne dei “figli di Dio”. I sogni di don Bosco sono stati riletti come particolare forma con cui il Signore lo ha accompagnato diventando una vera scuola di spiritualità salesiana.

La Segreteria MGS uscente si è congedata tra i ringraziamenti commossi di tutta la Consulta che ha poi eletto il torinese Fabio come nuovo Coordinatore Nazionale. Elena, che ha coordinato in questi anni tutto il lavoro del MGS in Italia con una dedizione encomiabile, ha così salutato il nuovo coordinamento a nome della Segreteria che conclude il suo mandato: “Don Bosco è diventato parte della nostra vita; anch’io quando cucio un bambino dopo averlo operato (è chirurga pediatrica ndr) mi sento di prolungare l’azione di quel sarto che ci è padre, maestro e amico. Possiate anche voi sentirvi fieri di essere figli di don Bosco e rendergli onore vivendo nel mondo con quella fede, quella speranza e quella carità che lui ci ha trasmesso. Noi ci s(t)tiamo!”.

Educare alla politica – Il Filo di Arianna

Da NPG di novembre/dicembre 2022

di Raffaele Mantegazza

Come parlare

Cum-flangere significa sbattere due pietre l’una contro l’altra; provocare un rumore, ma anche un ritmo, un po’ come il ritmo della vita: sistole-diastole, inspirazione-espirazione. Gli esperti di lingua ci dicono che all’origine della parola “conflitto” c’è questa espressione, il che è estremamente interessante perché dimostra come il conflitto sia qualcosa di totalmente differente dalla guerra.
Nella guerra una pietra vuole sgretolare l’altra, nel conflitto vogliono mantenersi entrambe integre, magari un po’ scheggiate, perché altrimenti il ritmo della vita scomparirebbe sostituito solo dal silenzio. La sovrapposizione semantica e anche filosofica tra guerra e conflitto è stata deleteria nell’educazione dei ragazzi e dei bambini. E come se si dicesse che non esiste altro modo di risolvere il conflitto che la guerra, il che è falso in un duplice senso: anzitutto perché ci sono molti altri modi di affrontare i conflitti, e soprattutto perché la guerra non risolve proprio nulla, ma annienta una delle parti in causa, o almeno sceglie farlo, il che è vero soprattutto nelle nuove guerre, dal XX secolo in poi. Il pensiero nonviolento ha insistito per anni sull’importanza del riconoscimento e della gestione del conflitto, sia a livello individuale che a livello politico e internazionale.
Rimanere nel conflitto significa riconoscere le ragioni delle parti in causa, ma anche i torti di ciascuno; non vuol dire banalmente incontrarsi a metà strada, ma costruire insieme la soluzione per rendere creativo il conflitto. L’esempio dell’Assemblea Costituente è fin troppo noto: differenti mondi ideologici e diversi universi di pensiero che avevano combattuto contro il fascismo si sono ritrovati non a tentare di distruggersi a vicenda. ma a lavorare quotidianamente per fare dei conflitti, a volte culturalmente e filosoficamente irriducibili, il motore e il cuore della nuova identità della democrazia italiana.
Spesso quando due bambini entrano in conflitto per un oggetto si cerca di risolvere la situazione raddoppiando l’oggetto stesso: se entrambi vogliono giocare con l’orsacchiotto, si cerca un altro orsacchiotto… uno per uno! Il problema è che le risorse non sono infinite, sia a livello micro che a livello macro, e che questo modo di intervenire inibisce la fertilità del conflitto, spegnendolo e depotenziandolo. Semmai occorrerebbe chiedersi e chiedere ai bambini come possiamo fare a giocare insieme (o anche separatamente) con quell’unico giocattolo?
Il senso del limite delle risorse dovrebbe costituire la cornice dei conflitti; e per questo motivo la guerra, soprattutto nell’era atomica (nella quale ci siamo dimenticati di vivere finché una guerra non ce l’ha brutalmente ricordato) è un vero tabù perché spazza via, con tutto il pianeta, la condizione necessaria per ogni conflitto, come se un giocatore di scacchi incendiasse la scacchiera nell’illusione di poter vincere in questo modo folle.
Dunque il conflitto è un elemento per ora costitutivo dell’avventura umana sulla Terra: diciamo “per ora”, perché sarebbe molto interessante aprire un dibattito sulla possibilità di una convivenza del tutto pacificata, perché forse il conflitto è solo una delle modalità storiche di rapporto tra esseri umani, ed è legato a una società intrinsecamente conflittuale che forse è a sua volta superabile. Forse allora anche il conflitto non è un destino ma una scelta, e come tute le scelte è reversibile.

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Quattro semplici verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare

Dal numero di novembre di NPG

di don Rossano Sala

Il secondo “snodo cruciale”

Durante la discussione sinodale della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dal tema I giovani, la fede e il discernimento vocazionale (3-28 ottobre 2018) sono stati individuati “tre snodi cruciali” che indicano l’originalità del nostro tempo. Quasi tre cerchi concentrici che caratterizzano il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo.
Il primo snodo, quello più ampio e che tocca tutti e tutto è la digitalizzazione del mondo: tutti noi siamo stati inondati da questa rivoluzione che sta modificando ciò che siamo: il nostro cervello e le nostre posture relazionali, il nostro modo di apprendere e di lavorare, e così di seguito[1].
Il secondo snodo, che qui ci interessa più da vicino, è quello dei migranti. Tali persone vengono identificate come “paradigma del nostro tempo”, ovvero come figure particolarmente eloquenti per comprendere il mondo in cui viviamo con tutte le sue contraddizioni[2].
Il terzo snodo è rappresentato dalla triste realtà degli abusi. Un velo si è scoperto sulla vita della Chiesa e le tante ferite inferte a molti giovani sono venute alla luce. Siamo chiamati a fare verità e a chiedere umilmente perdono, ad andare alla radice del problema e ad affrontarlo con coraggio e responsabilità[3].

Di che cosa si tratta?

Quando parliamo di migranti e migrazioni, parliamo innanzitutto di un fenomeno mondiale e pluriforme. Mondiale perché è una realtà strutturale che riguarda tutti i continenti e non certo un fenomeno passeggero, ma di un qualcosa che riguarderà sempre di più il futuro dell’umanità. Pluriforme perché ci sono situazioni e motivazioni molto diverse che fa mettere in moto le persone: si può migrare all’interno di uno stesso paese, si può andare via per motivi climatici, oppure per mancanza di giustizia e pace, oppure ancora per persecuzione razziale o religiosa. Sempre, comunque, coloro che si mettono in viaggio sono desiderosi di una vita migliore. In Europa molti migranti arrivano ricchi di sogni e anche di illusioni.

Partono attirati dalla cultura occidentale, nutrendo talvolta aspettative irrealistiche che li espongono a pesanti delusioni. Trafficanti senza scrupolo, spesso legati ai cartelli della droga e delle armi, sfruttano la debolezza dei migranti, che lungo il loro percorso troppo spesso incontrano la violenza, la tratta, l’abuso psicologico e anche fisico, e sofferenze indicibili. Va segnalata la particolare vulnerabilità dei migranti minori non accompagnati, e la situazione di coloro che sono costretti a passare molti anni nei campi profughi o che rimangono bloccati a lungo nei Paesi di transito, senza poter proseguire il corso di studi né esprimere i propri talenti[4].

In questa situazione arrivano a casa nostra, bussano alle porte delle nostre comunità cristiane, cercano da noi sguardi di misericordia e gesti di accoglienza. Prima che un problema da affrontare sono prima di tutto persone in cerca di casa e di famiglia.

Minaccia o opportunità?

La presenza di migranti, nell’immaginario sociale, sembra essere in primo luogo uno spazio di allarme e di paura, «spesso fomentate e sfruttate a fini politici»[5]. Se però osserviamo con attenzione alla realtà dell’incontro, ci accorgiamo che quelle dei migranti sono anche storie di incontro tra persone e tra culture: per le comunità e le società in cui arrivano sono una opportunità di arricchimento e di sviluppo umano integrale di tutti. Le iniziative di accoglienza che fanno riferimento alla Chiesa hanno un ruolo importante da questo punto di vista, e possono rivitalizzare le comunità capaci di realizzarle[6].

In tale direzione la presenza di persone, soprattutto di minori, costretti a fuggire dalla loro terra di origine, diventa un’opportunità per far rifiorire le comunità di accoglienza. In primis le comunità cristiane, che dovrebbero avere nell’ospitalità uno dei loro tratti distintivi: attraverso un vero incontro con questi giovani sono costrette a svegliarsi, a mettersi in discussione, a recuperare la propria missione, a ripensare alla loro condizione originaria di «stranieri e pellegrini sulla terra»[7].
In questo senso i migranti sono un paradigma con cui è bene confrontarci: lo sono sia dell’umanità del nostro tempo, sia della vita di fede. Forse ci fanno paura perché ci mettono di fronte alla nostra vocazione di “uomini viatori”: come credenti sappiamo di essere un’umanità creata da Dio senza una residenza fissa in questo mondo. Siamo, o almeno dovremmo essere, persone che «aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste»[8].

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Sandra Sabattini, una fidanzata tra i Santi

Da NPG.

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di Luca Luccitelli

(NPG 2022-06-85)

Quando si parla di santità si pensa spesso a grandi Santi, i vip della Chiesa, quelli che hanno fatto la storia della cristianità. Addirittura talvolta potrebbe sembrare che la canonizzazione di una persona sia una sorta di premio alla carriera. Invece la Chiesa, nella sua sapienza, ci sorprende ancora una volta. Non un personaggio famoso, ma un’altra ragazza, sconosciuta, viene innalzata agli onori degli altari. Dopo Rolando Rivi, Chiara Badano, Carlo Acutis, domenica 24 ottobre a Rimini è stata beatificata Sandra Sabattini, una giovane morta ad appena 22 anni. Figlia spirituale di don Oreste Benzi, il fondatore in Rimini della Comunità Papa Giovanni XXIII, Sandra detiene un primato tra i Santi. Se Rolando Rivi è il Beato più giovane, martire ad appena 14 anni, Chiara Luce Badano è la prima beata che proviene da uno dei movimenti ecclesiali fioriti dopo il Vaticano II, Carlo Acutis è il primo beato millennials, Sandra Sabattini è la prima santa fidanzata nella storia della Chiesa.

Una Beata giovane

Una bella ragazza, solare, gioiosa, simpatica. Una giovane di Rimini, famosa per le spiagge e il divertimento, con una grande sete di giustizia che la spingeva a dare una mano agli altri, agli ultimi, ai più fragili. Nata nel 1961, da adolescente iniziò a frequentare gli incontri della Comunità Papa Giovanni XXIII, l’associazione fondata da don Oreste Benzi. Al suo interno coronò la propria vocazione di servizio al prossimo. I dubbi tipici dell’adolescenza emergono chiaramente dalla pagine del suo diario. Dopo la maturità scientifica – passata con 59/60 – si chiede: “Partire subito per l’Africa o iscriversi a Medicina?” Dopo un discernimento con il suo direttore spirituale si iscrive nel 1980 alla Facoltà di Medicina all’Università di Bologna. Si divide tra studio, famiglia, lavoro e condivisione con i poveri. Nonostante la grande mole di lavoro non trascura mai gli studi: ad ogni esame riporta ottimi voti.

La sete di giustizia

Nell’estate del 1982 inizia il volontariato in una comunità terapeutica per tossicodipendenti. All’inizio degli anni ’80 il problema droga emergeva ovunque nella sua drammaticità. L’associazione di don Benzi aveva da poco aperto comunità che potessero rispondere ai bisogni di tanti giovani. Sandra diede subito la propria disponibilità a dedicarsi a questo servizio, mostrando generosità e, nel contempo, maturità non comuni a contatto con i tossicodipendenti, al punto che nel periodo delle vacanze estive si trasferiva in comunità per svolgere il servizio a tempo pieno. Il suo senso per la giustizia emerge anche dal suo diario. “Se veramente amo, come sopportare che un terzo dell’umanità muoia di fame? Mentre io conservo la mia sicurezza o la mia stabilità economica? Sarei una buona cristiana ma non una santa. Oggi c’è inflazione di buoni cristiani mentre il mondo ha bisogno di santi!”.

In contemplazione

Sviluppò una sorta di istinto divino che la guidava nella preghiera assidua e prolungata, per la quale sacrificava le ore di riposo, come attestano varie testimonianze. Era certa che Dio si potesse incontrare. Scrive ancora: “Non sono io che cerco Dio ma è Dio che cerca me. Non c’è bisogno che io cerchi chissà quali argomentazioni per avvicinarmi a Dio: le parole prima o poi finiscono e ti accorgi allora che non rimane che la contemplazione, l’adorazione, l’aspettare che Lui ti faccia capire ciò che vuole da te. Sento la contemplazione necessaria al mio incontro con Cristo povero”. Parole che potremmo trovare scritte da teologi della vita consacrata o da anziani religiosi di clausura, non da una ragazza di Rimini … del XXI secolo! In Sandra non c’era alcuna contrapposizione tra il desiderio di abbandonarsi a Dio nella contemplazione e l’impegno assiduo per gli altri. Lo spiega in una pagina: “La carità è la sintesi della contemplazione e dell’azione, il punto di sutura tra il cielo e la terra, tra l’uomo e Dio”.

Il fidanzamento

Un’armonia che riusciva a vivere anche nel fidanzamento. Guido, il suo fidanzato, ricorda che la prima volta che Sandra lo invitò a trascorrere un pomeriggio fu per portare al mare due bimbi autistici accolti in una casa famiglia. Non andare al cinema o a fare shopping. Il fidanzamento non è vissuto come una sistemazione, un fine, una chiusura, ma come un orizzonte più ampio per aprirsi allo spazio d’amore infinito di Dio. “Fidanzamento: qualcosa di integrante con la vocazione: ciò che vivo di disponibilità e d’amore nei confronti degli altri è ciò che vivo anche per Guido, sono due cose compenetrate, allo stesso livello, anche se con qualche diversità”.

La premonizione della morte

La mattina del 29 aprile 1984, mentre si reca ad un incontro della Comunità Papa Giovanni a Igea Marina, Sandra viene investita da un’auto. Rimane in coma per tre giorni e il 2 maggio lascia questa terra. Quattro giorni prima dell’incidente Sandra aveva raccontato alla madre di aver visto in sogno il suo funerale e la sua tomba piena di fiori. Nell’ultima pagina del suo diario, due giorni prima dell’incidente, Sandra lasciò il suo testamento spirituale: “Non è mia questa vita che sta evolvendosi ritmata da un regolare respiro che non è mio, allietata da una serena giornata che non è mia. Non c’è nulla a questo mondo che sia tuo. Sandra, renditene conto! È tutto un dono su cui il «Donatore» può intervenire quando e come vuole. Abbi cura del regalo fattoti, rendilo più bello e pieno per quando sarà l’ora”.

Il diario e la beatificazione

Poco dopo la sua morte, don Oreste Benzi ebbe l’occasione di leggere ciò che Sandra aveva lasciato scritto in foglietti sparsi, brevi appunti da cui trapelava un profondo cammino spirituale. Questi pensieri furono ordinati e raccolti nel libro “Il diario di Sandra”.
Nel settembre 2006 fu aperta la causa di canonizzazione. Nel 2018 Sandra venne dichiarata “venerabile” e il 2 ottobre 2019 Papa Francesco autorizzò la promulgazione del Decreto che riconosceva «il miracolo, attribuito all’intercessione di Sandra Sabattini» relativo alla guarigione da un tumore maligno di Stefano Vitali, ritenuta «scientificamente inspiegabile».

Tutte le informazioni sulla vita e sulla cerimonia della beatificazione sono disponibili su www.sandrasabattini.org.

Portogallo – iniziano i preparativi per la Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona 2023

Dal 29 settembre al 2 ottobre scorsi, a Lisbona, si sono radunati i Delegati per la gioventù delle diocesi della Spagna e i Delegati e coordinatori di Pastorale Giovanile delle Congregazioni presenti in Spagna, per discutere vari aspetti della Giornata Mondiale della Gioventù del 2023, che avrà per sede proprio la capitale portoghese. In rappresentanza dei salesiani, all’appuntamento ha preso parte anche il Delegato per la Pastorale giovanile dell’Ispettoria “Spagna-San Giacomo Maggiore” (SSM), don Xabier Camino. Nel pomeriggio di venerdì 30 settembre, don Camino ha parlato all’assemblea, presentando una sua relazione dal titolo: “Tra Pellegrinaggio Europeo dei Giovani e Giornata Mondiale della Gioventù: speranze e difficoltà del momento attuale”.

I partecipanti hanno visitato i luoghi più importanti del grande evento di spiritualità cristiana giovanile in programma ad agosto 2023: gli spazi per le celebrazioni comuni, l’accoglienza del Santo Padre, la Via Crucis, la veglia e la Messa d’Invio. Hanno anche incontrato il Comitato Organizzatore Locale nel centro di coordinamento, dove sono stati informati dei piani generali dell’organizzazione e dove si sono distribuiti i compiti in vista dell’incontro.

“È stato un incontro incredibile, con rappresentanti di tutte le diocesi e congregazioni, una prima esperienza della ricchezza della Chiesa e di ciò che vivremo in quei giorni”

ha spiegato una rappresentante delle Figlie di Maria Ausiliatrice, anch’essa partecipante all’incontro preparatorio.

Per la GMG di Lisbona 2023, il Comitato Organizzatore Locale ha proposto 13 santi patroni, tra cui Don Bosco, Carlo Acutis, Sant’Antonio da Padova e la Beata Maria Clara del Bambin Gesù, figure di santità che spiccano per essere nate nella città che ospita la GMG o che sono modelli sempre attuali per i giovani.

La GMG è un incontro di giovani di tutto il mondo con il Papa. È anche un pellegrinaggio, un festival giovanile, un’espressione della Chiesa universale e un forte momento di evangelizzazione del mondo giovanile. È un appello ad a una generazione determinata a costruire un mondo più giusto e unito. Nonostante la sua identità chiaramente cattolica, è aperto a tutti, sia a coloro che sono più vicini alla Chiesa sia a coloro che ne sono più lontani.

Fin dalla sua prima edizione, svoltasi a Roma nel 1986, la Giornata Mondiale della Gioventù si è distinta come laboratorio di fede, luogo di nascita di vocazioni al matrimonio, al sacerdozio e alla vita consacrata, e come strumento di evangelizzazione e trasformazione della Chiesa.

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