Con Salesiani per il Sociale 1.157 giovani pronti all’esperienza del Servizio Civile Universale

Sono 1.157 i giovani che da metà gennaio vivranno l’esperienza del volontariato con il servizio civile con Salesiani per il Sociale, l’ente non profit dei Salesiani in Italia che coordina il Servizio Civile Universale in Italia e all’Estero.

Tra Italia ed estero sono 90 i progetti che vedranno impegnati i giovani: 64 progetti ordinari di servizio civile in Italia per 752 posti disponibili; 20 progetti con misure aggiuntive di servizio civile in Italia per 365 posti disponibili (progetti con misure aggiuntive che consentiranno ai giovani di collaudare alcune novità  introdotte dalla recente riforma del servizio civile universale. Si tratta, nello specifico, di un periodo di tutoraggio, fino a tre mesi, finalizzato a facilitare l’accesso al mercato del lavoro dei volontari; di misure che favoriscono la partecipazione dei giovani con minori opportunità ).

Il 15 gennaio partiranno 71 progetti per 971 volontari, mentre il 20 febbraio 13 progetti per 146 volontari.

Per l’estero ci sono tre progetti in Spagna, Francia e Romania: i 30 volontari dal 15 al 21 gennaio saranno impegnati nella  formazione residenziale a Roma al Borgo Ragazzi Don Bosco. I progetti per l’estero verranno svolti negli oratori, nei convitti, nelle scuole e nella case famiglia. Le attività invece riguardano tempo libero, sostegno allo studio, educazione, laboratori creativi, sportivi, di lingua e musica. A febbraio partiranno altri due progetti del VIS in Angola, Ghana, Etiopia e Palestina con otto volontari.

Scopri il Servizio civile universale

Il valore dell’amicizia, punto stabile delle relazioni

Dalla rubrica “Parole adolescenti” di Note di Pastorale Giovanile

Caro Prof,
grazie per le due risposte sulla scuola. Mi piace quello che dice e… ci penso su spesso. La Sua esperienza e saggezza sono importanti, anche per questa studentessa chierese.
Oggi vorrei parlarLe di una delle cose più belle e preziose della mia vita: l’amicizia. So che è una cosa scontata, ma non importa, Le dico quello che vivo (o inizio a vivere in modo diverso)Ma prima di iniziare Le parlo di un’idea che mi è venuta in mente in questi giorni. Deve sapere che a scuola ho iniziato a studiare la mitologia greca, e la adoro. Non ero mai entrata a contatto con questo mondo… e anche se parla di cose fuori dal quotidiano, “mitologiche” appunto, sento che mi dicono qualche di speciale per la mia stessa esperienza. Mi sta piacendo talmente tanto che ho deciso di fare un collegamento ad essa in questo e nei prossimi temi su cui Le scriverò. Non so se Le farà piacere, ma è un mio nuovo modo di pensare, e magari Lei mi spiegherà meglio quello che dirò con mie parole, magari un po’ confusamente.

CHRISTUS VIVIT – Rilancio del cammino

a cura di padre Giacomo Costa sj e don Rossano Sala sdb
Segretari Speciali del Sinodo

Dopo la coinvolgente lettura della CV viene spontanea la domanda pratica, che d’altra parte è anche evangelica: «Che cosa dobbiamo fare?» (Lc 3,10). È una domanda più che lecita, quella di interrogarsi su come andare avanti concretamente nel cammino. È anche una domanda che, di fronte al testo, potrebbe anche metterci in difficoltà. Effettivamente la CV, pur estremamente ricca di spunti, non contiene le indicazioni operative che molti attendevano per proseguire il processo di attuazione del Sinodo. È una dinamica che non deve stupire in un testo di papa Francesco, che fa della rinuncia a impartire indicazioni dall’alto e dell’invito a ciascuno ad assumere la propria parte di responsabilità una cifra del suo ministero.
Il 10 novembre 2015 si era rivolto al Convegno della Chiesa italiana di Firenze con parole per molti versi paradigmatiche: «Ma allora che cosa dobbiamo fare, padre? – direte voi. Che cosa ci sta chiedendo il Papa? Spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme. Io oggi semplicemente vi invito ad alzare il capo e a contemplare ancora una volta l’Ecce Homo che abbiamo sulle nostre teste». Nella CV papa Francesco ci invita a contemplare il Cristo vivo che agisce nella storia e che chiede la nostra collaborazione e la nostra sinergia con le giovani generazioni per frequentare con loro il futuro. A Firenze questo lo aveva chiesto anche ai giovani:

Faccio appello soprattutto «a voi, giovani, perché siete forti», diceva l’Apostolo Giovanni (1 Gv 1,14). Giovani, superate l’apatia. Che nessuno disprezzi la vostra giovinezza, ma imparate ad essere modelli nel parlare e nell’agire (cfr 1 Tm 4,12). Vi chiedo di essere costruttori dell’Italia, di mettervi al lavoro per una Italia migliore. Per favore, non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico. Le mani della vostra fede si alzino verso il cielo, ma lo facciano mentre edificano una città costruita su rapporti in cui l’amore di Dio è il fondamento. E così sarete liberi di accettare le sfide dell’oggi, di vivere i cambiamenti e le trasformazioni.

È quindi chiaro che non ci viene chiesto di “applicare” delle indicazioni magisteriali vincolanti. L’ambito pastorale non è mai applicativo, ma è sempre uno spazio di discernimento, cioè di fedeltà creativa (cfr. CV 103). E in un cambiamento d’epoca come il nostro questa capacità di immaginare insieme il rinnovamento diventa sempre più decisiva.
Ecco allora qualche semplice spunto per continuare il cammino in questa scia. Sentiamo la necessità di porre all’attenzione di tutti i lettori quattro dinamiche.

1. Rimanere radicati nel cammino sinodale

La prima cosa importante è non cominciare ogni volta da zero, come se nulla fosse avvenuto prima della CV. Papa Francesco è molto attento al fatto che siamo popolo di Dio, che la vita della Chiesa è una vera esperienza di fraternità, una carovana solidale, un santo pellegrinaggio, una comunità in cammino (cfr Evangelii gaudium, n. 87 e CV 29). Tutto il capitolo 6 della CV invita i giovani a non perdere le radici, a riconoscersi come piccoli nani sulle spalle dei giganti. Questo vale anche per la Chiesa nel suo insieme e anche per il cammino che abbiamo compiuto. La sinodalità indica questa capacità di inserirsi con rispetto e umiltà in un cammino di popolo che è cominciato prima di noi e continuerà dopo di noi.
Per queste motivazioni così importanti è significativo ascoltare fin dall’inizio della CV il rimando metodologico decisivo secondo cui «mi sono lasciato ispirare dalla ricchezza delle riflessioni e dei dialoghi del Sinodo dell’anno scorso. Non potrò raccogliere qui tutti i contributi, che potrete leggere nel Documento Finale, ma ho cercato di recepire, nella stesura di questa lettera, le proposte che mi sembravano più significative» (CV 4). Anche per quanto riguarda nello specifico il rinnovamento della pastorale giovanile, all’inizio del capitolo 7 papa Francesco ci offre la seguente riflessione:

Al Sinodo sono emerse molte proposte concrete volte a rinnovare la pastorale giovanile e liberarla da schemi che non sono più efficaci perché non entrano in dialogo con la cultura attuale dei giovani. È chiaro che non mi sarebbe possibile raccoglierle tutte qui; alcune di esse si possono trovare nel Documento Finale del Sinodo (CV 208).

Sulla stessa scia i Padri sinodali hanno ritenuto opportuno creare una connessione decisiva tra il DF e l’IL, affermando che

è importante chiarire la relazione tra l’Instrumentum laboris e il Documento finale. Il primo è il quadro di riferimento unitario e sintetico emerso dai due anni di ascolto; il secondo è il frutto del discernimento realizzato e raccoglie i nuclei tematici generativi su cui i Padri sinodali si sono concentrati con particolare intensità e passione. Riconosciamo quindi la diversità e la complementarità di questi due testi (DF 3).

Che cosa significa per noi tutto questo? Che un Documento prodotto durante il cammino sinodale non viene mangiato, superato o eliminato da quello successivo, ma ne viene invece arricchito e approfondito. Il successivo si inserisce sulla scia del precedente offrendogli luce, profondità e respiro. Si tratta di un unico organismo che si sviluppa dall’interno, e che in tutte le fasi della sua crescita mostra qualcosa di specifico che non possiamo né dobbiamo perdere, allo stesso modo in cui capita nell’esperienza umana (cfr CV 160).
Se pensiamo solamente che l’IL è frutto dell’analisi di un ascolto che ha prodotto circa 20.000 pagine, non possiamo facilmente relegarlo dietro le quinte. In realtà nell’Aula sinodale è stato apprezzato da tutti e ripreso in molte sue parti, in quanto riconosciuto come un quadro di riferimento aggiornato e preciso.
Varrebbe la pena almeno provare a seguire l’elenco di quanti sono chiamati in causa e dei riferimenti loro indicati, a partire dalle proposte concrete emerse durante il Sinodo (e dunque attraverso la riflessione dei Padri sinodali), raccolte nel DF che sarebbe impossibile replicare qui. A uno sguardo attento, abbiamo trovato circa novanta tra raccomandazioni, suggerimenti e proposte contenute nel DF che riguardano soggetti, stili e ambiti. Molte altre sono presenti nell’IL. Solo alcune tra queste sono riprese e rilanciate nella CV, ma tutte dovrebbero essere oggetto di un attento discernimento ecclesiale a vari livelli.

2. Assumere l’habitus del discernimento

E così passiamo alla seconda istanza. Ovvero a quella del discernimento.
Fin dall’inizio nella CV si parla di «discernimento ecclesiale» (CV 3). E l’ultimo capitolo, il nono, è completamente dedicato a questo tema. È dunque logico pensare che sia un tema di grande interesse. Non solo a livello personale, ma anche dal punto di vista ecclesiale vale l’idea che «senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento» (CV 279). La capacità di discernimento ci fa persone al cospetto di Dio, soggetti attivi nella Chiesa e parte viva del mondo. Ed è anche evidente che, sia dal punto di vista personale che comunitario, «il discernimento diventa uno strumento di impegno forte per seguire meglio il Signore» (CV 295). Il discernimento, se lo si prende sul serio, di certo libera la Chiesa da due tentazioni tanto opposte quanto vicine:

Chiediamo al Signore che liberi la Chiesa da coloro che vogliono invecchiarla, fissarla sul passato, frenarla, renderla immobile. Chiediamo anche che la liberi da un’altra tentazione: credere che è giovane perché cede a tutto ciò che il mondo le offre, credere che si rinnova perché nasconde il suo messaggio e si mimetizza con gli altri (CV 35).

Nel processo sinodale si è partiti dalla necessità di aiutare i giovani nel loro discernimento vocazionale e pian piano ci si è accorti che la Chiesa stessa era in un certo senso in “debito di discernimento”: non essendo in grado di discernere, la Chiesa non ha la possibilità di aiutare i giovani a farlo. Entrare nelle dinamiche e nel processo del discernimento è divenuto così una necessità ecclesiale. C’è stata l’esigenza di comprendere, approfondire, chiarificare e praticare il discernimento nella forma di un cammino condiviso, che è diventato poi stile sinodale. Come ci ha detto il Santo Padre il 3 ottobre 2018,

il discernimento non è uno slogan pubblicitario, non è una tecnica organizzativa, e neppure una moda di questo pontificato, ma un atteggiamento interiore che si radica in un atto di fede. Il discernimento è il metodo e al tempo stesso l’obiettivo che ci proponiamo: esso si fonda sulla convinzione che Dio è all’opera nella storia del mondo, negli eventi della vita, nelle persone che incontro e che mi parlano. Per questo siamo chiamati a metterci in ascolto di ciò che lo Spirito ci suggerisce, con modalità e in direzioni spesso imprevedibili.

Il “metodo del discernimento” ha quindi orientato dall’interno il processo sinodale. Importante è stato riconoscere che il “soggetto giovani” e il “soggetto Chiesa” si sono trovati nella medesima situazione: non solo i giovani devono discernere per giungere alla loro vocazione, ma anche la Chiesa deve fare questo per vivere con sapienza e prudenza nel nostro tempo. Per questo le molte indicazioni sul discernimento prodotte durante tutto il cammino sinodale sono in un certo senso “intercambiabili”: quello che è detto per i giovani vale per la Chiesa e viceversa.
È opportuno segnalare, circa il tema del discernimento e dell’accompagnamento, la mutua implicazione tra livello personale e livello comunitario. Ne è emersa la convinzione che

l’orizzonte comunitario è sempre implicato in ogni discernimento, mai riducibile alla sola dimensione individuale. Al tempo stesso ogni discernimento personale interpella la comunità, sollecitandola a mettersi in ascolto di ciò che lo Spirito le suggerisce attraverso l’esperienza spirituale dei suoi membri: come ogni credente, anche la Chiesa è sempre in discernimento (DF 105).

Al centro c’è la Chiesa come casa e scuola dell’accompagnamento e come ambiente adeguato per il discernimento. La Chiesa è chiamata a risplendere prima e sopra tutto come spazio e luogo di comunione e solo così può essere significativa per i giovani che vi appartengono. Il tutto è teologicamente motivato, perché «tale servizio non è altro che la continuazione del modo in cui il Dio di Gesù Cristo agisce nei confronti del suo popolo: attraverso una presenza costante e cordiale, una prossimità dedita e amorevole e una tenerezza senza confini» (DF 91).

3. Riattivare il protagonismo giovanile

Partendo dal cammino sinodale in atto e dalla necessità di immergersi con convinzione nel ritmo del discernimento, entriamo nello spazio di responsabilità che siamo chiamati ad assumere. È evidente che la corresponsabilità ecclesiale può avvenire solo partendo dalla coscienza chiara delle proprie responsabilità personali: in questo senso bisogna “dividere per poter unire”, ovvero comprendere che cosa siamo chiamati a fare personalmente per poterlo poi fare insieme. CV offre a tutti un appello chiaro e diretto alla responsabilità personale: di ogni giovane e di ogni credente. La forma colloquiale della lettera va proprio in questa precisa direzione.
Partiamo dai giovani. Sono molto forti e persino entusiasmanti le indicazioni che emergono nel capitolo 5 della CV, che chiedono di rendere effettivo l’incontro con Cristo di cui si parla nel capitolo 6. Se tale incontro è reale, porta con sé delle conseguenze di ampia portata per la vita di ogni giovane:

Come si vive la giovinezza quando ci lasciamo illuminare e trasformare dal grande annuncio del Vangelo? È importante porsi questa domanda, perché la giovinezza, più che un vanto, è un dono di Dio: «Essere giovani è una grazia, una fortuna». È un dono che possiamo sprecare inutilmente, oppure possiamo riceverlo con gratitudine e viverlo in pienezza (CV 134).

La via indicata è quella di non cedere sui propri sogni e sui propri ideali; di alimentare il proprio desiderio attraverso il confronto con la vita reale; di andare in profondità nell’amicizia con Cristo; di maturare scelte di fraternità, di impegno politico e sociale. È chiesto a tutti i giovani di mettersi in gioco in prima persona, senza lasciarsi paralizzare dalla paura di sbagliare, o schiacciare dalle pressioni e dalle manipolazioni degli interessi economici. Meglio una caduta salutare che l’immobilità paralizzante. È questa la via della gioia, perché «Dio ama la gioia dei giovani e li invita soprattutto a quell’allegria che si vive nella comunione fraterna, a quel godimento superiore di chi sa condividere, perché “c’è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,35) e “Dio ama chi dona con gioia” (2 Cor 9,7)» (CV 167).
E quel protagonismo che i giovani mostrano di desiderare si trasforma in uno strumento di azione pastorale e missionaria, perché nessuno è più in grado di annunciare il Vangelo ai giovani del nostro tempo dei loro coetanei che già hanno incontrato il Signore, tanto che vocazione e missione qui si saldano in maniera feconda:

Voglio incoraggiarti ad assumere questo impegno, perché so che «il tuo cuore, cuore giovane, vuole costruire un mondo migliore. Seguo le notizie del mondo e vedo che tanti giovani in tante parti del mondo sono usciti per le strade per esprimere il desiderio di una civiltà più giusta e fraterna. I giovani nelle strade. Sono giovani che vogliono essere protagonisti del cambiamento. Per favore, non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento! Voi siete quelli che hanno il futuro! Attraverso di voi entra il futuro nel mondo. A voi chiedo anche di essere protagonisti di questo cambiamento. Continuate a superare l’apatia, offrendo una risposta cristiana alle inquietudini sociali e politiche, che si stanno presentando in varie parti del mondo. Vi chiedo di essere costruttori del mondo, di mettervi al lavoro per un mondo migliore. Cari giovani, per favore, non guardate la vita “dal balcone”, ponetevi dentro di essa. Gesù non è rimasto sul balcone, si è messo dentro; non guardate la vita “dal balcone”, entrate in essa come ha fatto Gesù». Ma soprattutto, in un modo o nell’altro, lottate per il bene comune, siate servitori dei poveri, siate protagonisti della rivoluzione della carità e del servizio, capaci di resistere alle patologie dell’individualismo consumista e superficiale (CV 174).

D’altra parte, la vocazione è sempre una missione: non è mai la risposta alla domanda «Chi sono io?», ma un richiamo molto più radicale verso un «Per chi sono io?» (cfr CV 286 e DF 69). È la domanda che caratterizza un giovane in uscita, che si apre alla vita, al mondo, agli altri. Che non ha paura della realtà e cerca la sua vocazione.
Per questo non solo la pastorale giovanile nel suo insieme, ma tutta la pastorale ha un’indole vocazionale e missionaria. Se partiamo da questi presupposti, effettivamente «dobbiamo pensare che ogni pastorale è vocazionale, ogni formazione è vocazionale e ogni spiritualità è vocazionale» (CV 254). È un’affermazione gravida di conseguenze, che recepisce con grande potenza e incisività le indicazioni presenti nell’IL 100 e 210, e soprattutto nel DF ai numeri 139 e 140. Insieme, si dice con altrettanta chiarezza che «la pastorale giovanile dev’essere sempre una pastorale missionaria» (CV 240). Quando è veramente vocazionale, la pastorale giovanile non può che diventare missionaria. E viceversa: quando è veramente missionaria, la pastorale giovanile non può che diventare vocazionale. Servizio generoso e discernimento vocazionale stanno o cadono insieme!

4. Intraprendere cammini sinodali

La domanda iniziale da cui siamo partiti era «Che cosa dobbiamo fare?», ma in realtà questa domanda pian piano si è trasformata. Dalla concentrazione sul fare organizzativo il percorso sinodale ci chiede di verificarci sui nostri stili relazionali e sulla qualità dei nostri cammini comunitari. Ci viene chiesto un passaggio dal fare all’essere: la nuova domanda è «Chi siamo chiamati ad essere?».
I Padri sinodali hanno avuto ben chiara la necessità di questo cambiamento quando hanno pensato alla centralità della “sinodalità missionaria” come cuore del rinnovamento ecclesiale auspicato, perché

siamo consapevoli che non si tratta soltanto di dare origine a nuove attività e non vogliamo scrivere «piani apostolici espansionisti, meticolosi e ben disegnati, tipici dei generali sconfitti» (Francesco, Evangelii gaudium, n. 96). Sappiamo che per essere credibili dobbiamo vivere una riforma della Chiesa, che implica purificazione del cuore e cambiamenti di stile. La Chiesa deve realmente lasciarsi dare forma dall’Eucaristia che celebra come culmine e fonte della sua vita: la forma di un pane composto da molte spighe e spezzato per la vita del mondo. Il frutto di questo Sinodo, la scelta che lo Spirito ci ha ispirato attraverso l’ascolto e il discernimento è di camminare con i giovani andando verso tutti per testimoniare l’amore di Dio. Possiamo descrivere questo processo parlando di sinodalità per la missione, ossia sinodalità missionaria (DF 118).

Con frequenza sono chiamate in causa le comunità e le Chiese locali, invitate a dar vita a processi sinodali che includano i giovani. Più che manuali teorici, servono occasioni in cui mettere a frutto l’ingegno e le capacità dei giovani stessi, ossia un approccio dal basso anziché dall’alto, avendo cura di raccogliere e condividere quelle buone pratiche coronate da successo (cfr CV 203-208). Anche per le Chiese questo invito a fidarsi dei giovani contiene una sfida – lasciare loro spazio – e richiede il coraggio di mettere in discussione ciò che si è sempre fatto. Anche qui si tratta di rischiare insieme, perché

la pastorale giovanile non può che essere sinodale, vale a dire capace di dar forma a un “camminare insieme” che implica una “valorizzazione dei carismi che lo Spirito dona secondo la vocazione e il ruolo di ciascuno dei membri [della Chiesa], attraverso un dinamismo di corresponsabilità. […] Animati da questo spirito, potremo procedere verso una Chiesa partecipativa e corresponsabile, capace di valorizzare la ricchezza della varietà di cui si compone, accogliendo con gratitudine anche l’apporto dei fedeli laici, tra cui giovani e donne, quello della vita consacrata femminile e maschile, e quello di gruppi, associazioni e movimenti. Nessuno deve essere messo o potersi mettere in disparte” (CV 206).

Vi sono dunque delle responsabilità a vari livelli: tutti i giovani, ogni credente, la comunità locale, i movimenti e le Congregazioni religiose, ogni singola Diocesi. Perfino alle Conferenze Episcopali e ai Dicasteri Vaticani è chiesto di mettersi in stato di conversione e di rinnovamento.
In tutto questo chi ha responsabilità e quindi autorità nella Chiesa è chiamato in causa. D’altra parte, come è stato ben espresso in vari momenti del cammino sinodale, l’autorità della Chiesa o è generativa o non è: «Nel suo significato etimologico la auctoritas indica la capacità di far crescere; non esprime l’idea di un potere direttivo, ma di una vera forza generativa» (DF 71). Per questo «esercitare l’autorità diventa assumere la responsabilità di un servizio allo sviluppo e alla liberazione della libertà, non un controllo che tarpa le ali e mantiene incatenate le persone» (IL 141). Sappiamo che la delusione istituzionale è uno dei tratti emersi nel cammino di ascolto di preparazione al Sinodo. Sappiamo persino del fallimento della stessa autorità dei pastori nella triste vicenda degli abusi, più volte richiamata durante l’Assemblea sinodale. Ora l’autorità della Chiesa, a tutti i suoi livelli, si trova davanti a una chance di tutto rispetto: quella di prendere iniziativa, di invitare tutti a mettersi in gioco, di aprire spazi di confronto e di protagonismo, di creare le condizioni per una Chiesa sinodale e solidale, caratterizzata da un modo di vivere e lavorare insieme che sia davvero profetico per se stessa e per il mondo.
Il Sinodo, in fondo, ci ha consegnato proprio questo: un modo di vivere e lavorare insieme da cui non possiamo più prescindere. Ne era ben consapevole papa Francesco al termine dell’Assemblea sinodale, e lo ha espresso magnificamente nell’Angelus del 28 ottobre 2018:

i frutti di questo lavoro stanno già “fermentando”, come fa il succo dell’uva nelle botti dopo la vendemmia. Il Sinodo dei giovani è stato una buona vendemmia, e promette del buon vino. Ma vorrei dire che il primo frutto di questa Assemblea sinodale dovrebbe stare proprio nell’esempio di un metodo che si è cercato di seguire, fin dalla fase preparatoria. Uno stile sinodale che non ha come obiettivo principale la stesura di un documento, che pure è prezioso e utile. Più del documento però è importante che si diffonda un modo di essere e lavorare insieme, giovani e anziani, nell’ascolto e nel discernimento, per giungere a scelte pastorali rispondenti alla realtà.

* * *

Ci avviciniamo così a quello che possiamo definire l’orizzonte ultimo della proposta della CV, espresso attraverso il recupero di una parola tradizionale come “estasi”, assunta nel suo significato originario: l’incontro con Dio produce estasi non perché strappa il credente dalla realtà e dalla trama di relazioni in cui è inserito, ma perché lo spinge a uscire da se stesso, superando i suoi stessi limiti perché si lasci conquistare dalla bellezza dell’amore per gli altri e si consacri alla ricerca del loro bene. Per questo ad ogni giovane papa Francesco augura: «Che tu possa vivere sempre più quella “estasi” che consiste nell’uscire da te stesso per cercare il bene degli altri, fino a dare la vita» (CV 163). E poi spiega con accuratezza la questione:

Quando un incontro con Dio si chiama “estasi”, è perché ci tira fuori da noi stessi e ci eleva, catturati dall’amore e dalla bellezza di Dio. Ma possiamo anche essere fatti uscire da noi stessi per riconoscere la bellezza nascosta in ogni essere umano, la sua dignità, la sua grandezza come immagine di Dio e figlio del Padre. Lo Spirito Santo vuole spingerci ad uscire da noi stessi, ad abbracciare gli altri con l’amore e cercare il loro bene. Per questo è sempre meglio vivere la fede insieme ed esprimere il nostro amore in una vita comunitaria, condividendo con altri giovani il nostro affetto, il nostro tempo, la nostra fede e le nostre inquietudini. La Chiesa offre molti e diversi spazi per vivere la fede in comunità, perché insieme tutto è più facile (CV 164).

Alla fine la domanda che papa Francesco pone a ogni giovane, a ogni credente e alla Chiesa stessa nel suo insieme attraverso la CV è probabilmente questa: «Avete il coraggio di osare questa estasi?». La risposta ha molto a che fare con la possibilità di scoprire la propria vocazione e di vivere la propria vita con pienezza.

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CHRISTUS VIVIT – I contenuti dei capitoli

Dio vi ama e la Chiesa ha bisogno di voi

Papa Francesco

(Fonte: Vatican News – 2 Aprile 2019 redazione web)

L’Esortazione Apostolica post sinodale “Christus vivit” di Papa Francesco indirizzata “ai giovani e a tutto il popolo di Dio” e resa nota stamattina, si presenta in forma di Lettera, ed è composta da 9 capitoli divisi in 299 paragrafi. Dall’analisi delle realtà giovanili all’invito a vivere pienamente la giovinezza attraverso l’amicizia con Cristo
Nello scrivere il documento il Papa spiega di essersi lasciato “ispirare dalla ricchezza delle riflessioni e dei dialoghi del Sinodo” sui giovani celebrato in Vaticano nell’ottobre 2018. Le parole con cui inizia da cui deriva il titolo: “Christus vivit”, sono anche la sintesi del messaggio positivo che l’Esortazione apostolica vuol lanciare: “Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. (…) Perciò, le prime parole che voglio rivolgere a ciascun giovane cristiano sono: Lui vive e ti vuole vivo!”.

Cap.1 – Che cosa dice la Parola di Dio sui giovani?

Il testo prende il via dalla lettura di che cosa la Parola di Dio dice a proposito dei giovani, di come Dio li guarda. Porta esempi del Vecchio e del Nuovo Testamento per dimostrare il loro valore in epoche in cui contavano davvero poco. Il Papa nota “che a Gesù non piaceva il fatto che gli adulti guardassero con disprezzo i più giovani o li tenessero al loro servizio in modo dispotico. Al contrario, chiedeva: “Chi tra voi è più grande diventi come il più giovane”. Nello stesso tempo la Sacra Scrittura raccomanda il rispetto per gli anziani. Essere giovani però non è solo questione di età. Gesù infatti incontra il giovane ricco, ma “il suo spirito non era così giovane – scrive il Papa – perché si era già aggrappato alle ricchezze e alle comodità”. Nel Vangelo ci sono poi alcune giovani “pronte e attente”, mentre altre “distratte e addormentate”. Ai giovani che hanno perso vigore il Signore rivolge l’invito: “Ragazzo, dico a te, alzati!”.

Cap. 2 – Gesù Cristo sempre giovane

Il Sinodo ha affermato che la giovinezza è un periodo stimolante della vita che Gesù stesso ha vissuto. Ma come ne parla il Vangelo? Non dobbiamo pensare, scrive Francesco, che “Gesù fosse un adolescente solitario (…). Il suo rapporto con la gente era quello di un giovane che condivideva tutta la vita di una famiglia ben integrata nel villaggio”, “nessuno lo considerava un giovane strano o separato dagli altri”. La pastorale giovanile dovrebbe tener conto di questi aspetti della giovinezza di Gesù “per non creare progetti che isolino i giovani dalla famiglia e dal mondo, o che li trasformino in una minoranza selezionata e preservata da ogni contagio”. Servono invece “progetti che li rafforzino, li accompagnino e li proiettino verso l’incontro con gli altri, il servizio generoso, la missione”.

La Chiesa è giovane quando è se stessa
Francesco parla quindi della giovinezza della Chiesa e scrive: “Chiediamo al Signore che liberi la Chiesa da coloro che vogliono invecchiarla, fissarla sul passato, frenarla, renderla immobile. Chiediamo anche che la liberi da un’altra tentazione: credere che è giovane perché cede a tutto ciò che il mondo le offre” mimetizzandosi con gli altri. “No. È giovane quando è sé stessa”. E se per molti ragazzi religione e Chiesa sono parole vuote, il Papa osserva che “essi sono sensibili alla figura di Gesù, quando viene presentata in modo attraente”. Per fare questo bisogna che la Chiesa si ponga nella disponibilità a cambiare alcune cose concrete.

I diversi sentimenti dei giovani di fronte alla Chiesa
Nell’Esortazione si riconosce che ci sono giovani per i quali la Chiesa risulta “fastidiosa e perfino irritante”, a causa anche di ragioni rispettabili, scrive il Papa, come “gli scandali sessuali ed economici; l’impreparazione dei ministri (…) il ruolo passivo assegnato ai giovani all’interno della comunità cristiana; la fatica della Chiesa di rendere ragione delle proprie posizioni dottrinali ed etiche di fronte alla società”. Altri giovani desiderano “una Chiesa che ascolti di più, che non stia continuamente a condannare il mondo. Non vogliono vedere una Chiesa silenziosa e timida, ma nemmeno sempre in guerra”. Papa Francesco lo spiega dicendo che una Chiesa troppo timorosa può essere, ad esempio, costantemente critica “nei confronti di tutti i discorsi sulla difesa dei diritti delle donne ”, tema affrontato dal Sinodo, mentre una Chiesa “viva può reagire prestando attenzione alle legittime rivendicazioni (…) pur non essendo d’accordo con tutto ciò che propongono alcuni gruppi femministi”. Francesco presenta quindi Maria, la ragazza di Nazaret, e il suo sì come quello “di chi vuole coinvolgersi e rischiare”, sentendosi investiti di una promessa. E ai giovani dice che nella Chiesa ci sono tanti giovani santi coraggiosi che hanno dato la vita per Cristo.

Cap. 3 – Voi siete l’adesso di Dio

Francesco afferma in questo capitolo che i giovani non sono solo il futuro del mondo, ma il presente e perciò vanno ascoltati, resistendo alla tentazione di fornire “risposte preconfezionate e ricette pronte”, guardando al positivo che c’è in loro e avendo la capacità “di individuare percorsi dove altri vedono solo muri”. Varie poi sono le realtà giovanili di cui tener conto. E ricorda i giovani che vivono in contesti di guerra, quelli sfruttati dalla criminalità, tratta di esseri umani, schiavitù e sfruttamento sessuale. Coloro che vengono “ideologizzati, strumentalizzati e usati come carne da macello”. Numerosi poi i giovani emarginati per ragioni religiose, etniche o economiche. Francesco cita le ragazze che restano incinte, la piaga dell’aborto, la diffusione dell’HIV e le diverse forme di dipendenza, la situazione dei bambini di strada e conclude: “Non possiamo essere una Chiesa che non piange di fronte a questi drammi dei suoi figli giovani”.

La colonizzazione ideologica in tema di sessualità
Francesco parla poi del fenomeno della colonizzazione ideologica che in molti Paesi poveri impone, in cambio di aiuti economici, proposte occidentali di vita che danneggiano in particolare i giovani. Riguardo alla sessualità il Papa dice che “in un mondo che enfatizza esclusivamente la sessualità, è difficile mantenere una buona relazione col proprio corpo e vivere serenamente le relazioni affettive”. E che anche per questo la morale sessuale è spesso causa di “incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa” percepita “come uno spazio di giudizio e di condanna”.

Attenzione al mondo digitale e ai giovani migranti
Non manca nell’Esortazione il riferimento all’ambiente digitale da cui non si può prescindere “per raggiungere e coinvolgere i giovani”. Ma esso “è anche un territorio di solitudine, manipolazione, sfruttamento e violenza” dove trova spazio cyberbullismo, diffusione della pornografia, sfruttamento delle persone a scopo sessuale o attraverso il gioco d’azzardo, circolazione di notizie false che fomentano l’odio. Un fenomeno “che tocca anche la Chiesa e i suoi pastori”. Come non ricordare poi, continua Papa Francesco, i tanti giovani direttamente coinvolti nelle migrazioni? “In alcuni Paesi di arrivo – scrive – i fenomeni migratori suscitano allarme e paure, spesso fomentate e sfruttate a fini politici. Si diffonde così una mentalità xenofoba”, e chiede ai giovani di non assecondare chi li vorrebbe mettere contro altri giovani.

Il tema degli abusi, opportunità di rinnovamento per la Chiesa
Il Papa affronta anche il tema degli abusi sui minori e riafferma l’impegno del Sinodo per l’adozione di rigorose misure di prevenzione, esprimendo gratitudine “verso coloro che hanno il coraggio di denunciare il male subìto”. Per la Chiesa, con l’aiuto dei giovani, questo momento oscuro “può essere davvero un’opportunità per una riforma di portata epocale, per aprirsi a una nuova Pentecoste”. Così ai giovani Francesco ricorda che “c’è una via d’uscita” in tutte le situazioni dolorose e che ci sono tanti giovani che, specie all’interno di una vita comunitaria, ce l’hanno fatta a non cadere nelle trappole e a mantenersi liberi vivendo la propria giovinezza come “un tempo di donazione generosa, di offerta sincera” di sé.

Cap. 4 – Il grande annuncio per tutti i giovani

Nel quarto capitolo Papa Francesco rivolge ai giovani, al di là di tutte le circostanze, l’annuncio più importante che si declina in tre grandi verità: La prima: “Dio ti ama”; la seconda: “Cristo ti salva”, perché il suo amore “è più grande di tutte le nostre contraddizioni, di tutte le nostre fragilità”. La terza verità: “Egli vive!” E se “Egli vive, allora davvero potrà essere presente nella tua vita, in ogni momento, per riempirlo di luce”. Nell’Esortazione leggiamo: “Se riesci ad apprezzare con il cuore la bellezza di questo annuncio e a lasciarti incontrare dal Signore; se ti lasci amare e salvare da Lui; se entri in amicizia con Lui e cominci a conversare con Cristo vivo sulle cose concrete della tua vita, questa sarà (…) l’esperienza fondamentale che sosterrà la tua vita cristiana. Questa è anche l’esperienza che potrai comunicare ad altri giovani”.

Cap. 5 – Percorsi di gioventù

La domanda con cui si apre il 5° capitolo è: “Come si vive la giovinezza quando ci lasciamo illuminare e trasformare dal grande annuncio del Vangelo? Per Francesco è una domanda importante perché essere giovani “è un dono che possiamo sprecare inutilmente, oppure possiamo riceverlo con gratitudine e viverlo in pienezza”. La giovinezza, prosegue, non può restare un “tempo sospeso”, perché “è l’età delle scelte”. Francesco invita i giovani a non cedere all’ansia perché i “sogni più belli si conquistano con speranza, pazienza e impegno, rinunciando alla fretta”, ma li esorta a non limitarsi ad osservare la vita dal balcone, a non passare la vita davanti a uno schermo, e dice: “Fatevi sentire! Scacciate le paure che vi paralizzano… vivete!”. E non private la vostra giovinezza dell’amicizia con Gesù che dà pienezza al vostro essere giovani facendovi sentire sempre accompagnati come i discepoli di Emmaus.

Rimanere collegati con Gesù e aprirsi agli altri
Per crescere, il Papa raccomanda ai giovani di mantenere sempre “la ‘connessione’ con Gesù” e propone “percorsi di fraternità” per vivere la fede. Parla poi dei giovani impegnati, che possono correre “il rischio di chiudersi in piccoli gruppi”. Invita i ragazzi a vivere l’impegno sociale a contatto con i poveri e ad essere protagonisti del cambiamento verso una civiltà più giusta e fraterna. Infine li esorta a farsi “missionari coraggiosi”, testimoniando ovunque il Vangelo con la propria vita, andando anche controcorrente.

Cap. 6 – Giovani con radici

“A volte ho visto alberi giovani, belli, che alzavano i loro rami verso il cielo tendendo sempre più in alto, e sembravano un canto di speranza. Successivamente, dopo una tempesta, li ho trovati caduti, senza vita. Poiché avevano poche radici…”. Francesco esprime così la sua convinzione che non è possibile un futuro senza radici e che al mondo non è utile la rottura tra le generazioni. E parla dell’esistenza di manipolatori che vorrebbe giovani sradicati perché possano credere solo alle loro promesse. Fondamentale quindi il rapporto con gli anziani e il Papa precisa che ciò “non significa che tu debba essere d’accordo con tutto quello che dicono”. Ma bisogna camminare insieme.

Cap. 7- La pastorale dei giovani

Il Papa parte dalla costatazione che la pastorale giovanile ha subito l’assalto dei cambiamenti sociali e culturali e “i giovani, nelle strutture consuete, spesso non trovano risposte alle loro inquietudini”. E’ necessario che essi stessi siano “attori della pastorale giovanile, accompagnati e guidati, ma liberi di trovare strade sempre nuove con creatività e audacia”. La pastorale giovanile ha bisogno di flessibilità per favorire l’incontro con Dio. Deve percorrere due grandi linee di azione: la ricerca, cioè la chiamata di nuovi giovani verso il Signore, e la crescita. Per la prima Francesco dice che va privilegiato “il linguaggio della vicinanza, il linguaggio dell’amore disinteressato (…) che tocca il cuore”, prevedendo momenti che aiutino “ad approfondire l’esperienza personale dell’amore di Dio e di Gesù Cristo vivo”. I giovani devono essere aiutati “a fare comunità, a servire gli altri, ad essere vicini ai poveri”. Riguardo alla crescita raccomanda di non eccedere nella quantità di contenuti dottrinali da trasmettere, ma “di suscitare e radicare le grandi esperienze che sostengono la vita cristiana”. Le istituzioni della Chiesa diventino dunque ambienti adeguati, accoglienti e cita le esperienze di alcuni oratori e centri giovanili.

Accompagnamento dei giovani nel rispetto della loro libertà
Un aspetto decisivo è la pastorale delle istituzioni educative cattoliche. Il Papa mette in guardia dalle scuole trasformate in un “bunker” che protegge dagli errori esterni. L’obiettivo deve essere piuttosto la formazione di persone forti, integrate, capaci di dare. Tra gli ambiti di sviluppo pastorale, il Papa indica le l’arte, lo sport e l’impegno per la salvaguardia del creato. Ancora: serve “una pastorale giovanile popolare”, senza troppe norme e inquadramenti. Perché pretendendo “una pastorale giovanile asettica, pura, caratterizzata da idee astratte, lontana dal mondo e preservata da ogni macchia, riduciamo il Vangelo a una proposta insipida, incomprensibile, lontana, separata dalle culture giovanili”. In sintesi occorre, dunque, un accompagnamento dei giovani nella libertà e sono i giovani stessi a descrivere ciò che vorrebbero trovare in chi li accompagna: l’autenticità di una vita cristiana e sociale, la capacità di non giudicare ma di ascoltare, la gentilezza e la consapevolezza di sé con i propri limiti.

Cap. 8 – La vocazione

Il Signore ha un progetto stupendo per ciascuno di noi, sostiene il Papa e per realizzarlo “è necessario sviluppare (…) tutto ciò che si è”. Due gli ambiti fondamentali per ogni persona: la formazione di una famiglia e il lavoro. Francesco scrive che “i giovani sentono fortemente la chiamata all’amore e sognano di incontrare la persona giusta con cui formare una famiglia”. La sessualità è un dono e “ha due scopi: amarsi e generare vita”. Nonostante tutte le difficoltà, il Papa assicura ai giovani che “vale la pena scommettere sulla famiglia (…). Credere che nulla può essere definitivo è un inganno (…) vi chiedo di essere rivoluzionari, vi chiedo di andare controcorrente”. “Io ho fiducia in voi, per questo vi incoraggio a scegliere il matrimonio”.

Non rinunciare ai sogni e considerare la consacrazione a Dio
Riguardo al lavoro, il Papa denuncia l’emarginazione sperimentata dai giovani e richiama la politica ad impegnarsi contro la disoccupazione giovanile. Ai giovani dice: “È vero che non puoi vivere senza lavorare e che a volte dovrai accettare quello che trovi, ma non rinunciare mai ai tuoi sogni, non seppellire mai definitivamente una vocazione”. Francesco conclude questo capitolo parlando della possibilità di consacrarsi a Dio nel sacerdozio e nella vita religiosa. “Perché escluderlo? Abbi la certezza che, se riconosci una chiamata di Dio e la segui, ciò sarà la cosa che darà pienezza alla tua vita”.

Cap. 9 – Il discernimento

Scoprire la propria vocazione “è un compito che richiede spazi di solitudine e di silenzio”, è una decisione personale, sottolinea il Papa, ed è necessario dunque il discernimento che va oltre la ragione. E secondo Francesco, a chi aiuta i giovani in questo cammino, sono richieste tre sensibilità: l’attenzione e l’ascolto della persona; la capacità di distinguere la grazia dalla tentazione, la verità dagli inganni; e infine la comprensione di “dove vuole andare veramente l’altro”. Francesco raccomanda: dobbiamo “suscitare e accompagnare processi, non imporre percorsi”. L’Esortazione si conclude con un desiderio del Papa: “Cari giovani, sarò felice nel vedervi correre più velocemente di chi è lento e timoroso.(…) La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede… E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci.”

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CHRISTUS VIVIT – Guida alla lettura

a cura di padre Giacomo Costa sj e don Rossano Sala sdb
Segretari Speciali del Sinodo

Lo scorso 25 marzo papa Francesco ha lasciato il Vaticano per una brevissima visita a Loreto: dentro la Santa Casa – un luogo quanto mai simbolico – ha firmato l’Esortazione Apostolica Postsinodale Christus vivit. Rivolto ai giovani cristiani di tutto il mondo e all’intero popolo di Dio (cfr CV 3), questo documento rappresenta un ulteriore passo nel percorso, cominciato nell’ottobre del 2016, con cui la Chiesa si è interrogata sul tema “I giovani, la fede, il discernimento vocazionale”. Un lungo cammino preparatorio, che ha sollecitato il contributo di tutte le Conferenze Episcopali del mondo e offerto varie opportunità di ascoltare direttamente la voce dei giovani, ha condotto, nel mese di ottobre 2018, alla celebrazione della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Questa ha concluso i propri lavori con l’approvazione di un DF, presentato al Pontefice e reso pubblico in vista della fase attuativa che impegnerà tutte le Chiese particolari.

In una Chiesa che vede nel “fare sinodo” o, in parole più accessibili, nel “camminare insieme” la propria cifra identitaria, il testo si pone espressamente nel seguito di tutti i passi precedenti del percorso sinodale e apre la strada a compierne di nuovi. In particolare lo si può intendere come una rilettura meditata e dialogica, di particolare significato per la sua autorità, del DF e dei lavori dell’Assemblea a cui papa Francesco ha personalmente preso parte. Ciò è affermato con chiarezza fin dall’inizio, rinviando all’insieme del DF, che viene quindi assunto al di là dei parecchi passi testualmente citati e di quelli, assai più numerosi, di cui si coglie nella CV un’eco e un rilancio:

Mi sono lasciato ispirare dalla ricchezza delle riflessioni e dei dialoghi del Sinodo dell’anno scorso. Non potrò raccogliere qui tutti i contributi, che potrete leggere nel Documento Finale, ma ho cercato di recepire, nella stesura di questa lettera, le proposte che mi sembravano più significative. In questo modo, la mia parola sarà arricchita da migliaia di voci di credenti di tutto il mondo che hanno fatto arrivare le loro opinioni al Sinodo. Anche i giovani non credenti, che hanno voluto partecipare con le loro riflessioni, hanno proposto questioni che hanno fatto nascere in me nuove domande (CV 4).

A tutto ciò, papa Francesco unisce anche gli stimoli di numerose Conferenze Episcopali di tutto il mondo e alcuni tocchi più personali, che rinviano all’America latina e a figure della Compagnia di Gesù, quali Pedro Arrupe e Alberto Hurtado. Nelle pagine che seguono offriremo una prima presentazione del contenuto della CV.

1. Un dialogo tra generazioni

CV comincia esprimendo l’intenzione di aprire un dialogo con i giovani e al suo interno alterna passi in cui si rivolge direttamente al lettore e altri di discorso indiretto. Papa Francesco non separa i giovani dal resto della Chiesa, ma attraverso di loro intende rivolgersi a tutti i cristiani. Come l’Assemblea sinodale aveva rimarcato con forza, i giovani sono protagonisti del nostro tempo e membra attive della Chiesa, non oggetto di discorsi che calano su di loro dall’alto. Fondamentali sono quindi le relazioni tra le generazioni, a partire da una profezia di Gioele e dai lavori dell’Assemblea sinodale (cfr CV 192-201):

Nella profezia di Gioele troviamo un annuncio che ci permette di capire questo in un modo molto bello. Dice così: «Dopo questo, io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni» (Gl 3,1; cfr At 2,17). Se i giovani e gli anziani si aprono allo Spirito Santo, insieme producono una combinazione meravigliosa. Gli anziani sognano e i giovani hanno visioni. In che modo le due cose si completano a vicenda? (CV 192).

Secondo le modalità espressive e comunicative tipiche del nostro mondo, il testo della CV non si presenta come un percorso strutturato, dichiarato all’inizio e poi svolto in modo geometrico, ma alterna generi e modalità di interlocuzione e argomentazione. Leggendolo, viene da chiedersi se il formato testuale classico a cui è consegnato non gli stia addirittura stretto e se il messaggio non risulterebbe più fruibile tramite il ricorso alle tecnologie comunicative multimediali oggi disponibili, che consentono di articolare una pluralità di linguaggi, compreso quello delle immagini e dei video, e permettono al fruitore di muoversi anche lungo traiettorie non lineari grazie alla rete dei link. Si tratta di potenzialità comunicative che finora il magistero della Chiesa non ha utilizzato, ma che sarebbe bene cominciare a esplorare per poter raggiungere con maggiore efficacia generazioni sempre più numerose che crescono in una cultura multimediale e non solo in quella della parola scritta. Si tratta in ogni caso di un testo “poliedrico”, che articola una pluralità di approcci e di percorsi al suo interno. Una seconda lettura consente però di far emergere una struttura, che resta delicatamente sottotraccia e non si impone, ma a cui il lettore si può appoggiare. I nove capitoli che compongono il testo possono essere raggruppati tre a tre. Ci sembra legittimo riconoscere in questi tre blocchi la scansione dei passi del processo di discernimento – riconoscere, interpretare, scegliere – su cui si erano articolati i lavori dell’Assemblea sinodale e che serve da struttura portante del DF, con cui CV si pone costantemente in dialogo.

2. In ascolto della realtà

Il primo blocco (capp. 1-3) riprende il lavoro di ascolto della realtà a cui si era dedicata l’Assemblea sinodale a partire dai materiali preparatori per un discernimento condiviso. L’obiettivo è di cominciare lasciando spazio a quello che emerge quando la Parola di Dio incontra i giovani e interagisce con le relazioni che essi tessono tra di loro, all’interno delle famiglie, delle comunità, delle società. Solo così gli eventi dischiuderanno il loro significato e offriranno stimoli a un discernimento che punta a riconoscere la volontà di Dio non in astratto, ma nella concretezza della storia e persino della quotidianità.
Il punto di partenza è perciò la Parola di Dio, e in particolare i molti incontri di giovani con il Signore che essa narra (cap. 1). Tuttavia non è solo nei racconti della Scrittura che Gesù incontra i giovani; egli è Parola vivente, Colui che fa nuova ogni cosa, l’eternamente giovane (cfr CV 13) in quanto «Essere giovani, più che un’età, è uno stato del cuore» (CV 34).
Il secondo capitolo intreccia questa Parola con le nostre vite: in ogni epoca, compresa la nostra, è proprio l’incontro con Gesù a illuminare la vita dei giovani e quella di tutta la Chiesa, chiamata a rinnovarsi continuamente proprio per ritornare al «suo primo amore» (CV 34) e così riuscire a entrare in contatto con i giovani in un tempo in cui molti «non la ritengono significativa per la loro esistenza» e le chiedono piuttosto di lasciarli in pace (cfr CV 40, che riprende sia DF 53 che IL 66).
Tra l’altro sono proprio i giovani che la possono “evangelizzare” e aiutare a mantenersi giovane, a non cadere nella corruzione, a non trasformarsi in setta, ad essere testimone autenticamente povera e umile:

Sono proprio i giovani che possono aiutarla a rimanere giovane, a non cadere nella corruzione, a non fermarsi, a non inorgoglirsi, a non trasformarsi in una setta, ad essere più povera e capace di testimonianza, a stare vicino agli ultimi e agli scartati, a lottare per la giustizia, a lasciarsi interpellare con umiltà (CV 37).

La giovinezza di Gesù e la perenne novità del Vangelo si manifestano con forza nella vita di Maria e in quella dei tanti giovani capaci di raggiungere la santità; vengono così ricordati giovani santi vissuti in tutte le epoche della storia, in tutti i continenti e in tutte le culture.
Solo a questo punto si è pronti a passare in rassegna la situazione dei giovani nel mondo contemporaneo (cap. 3): più lo sguardo è animato da fiducia e speranza, più può permettersi di lasciare emergere anche ombre e difficoltà. L’obiettivo del capitolo è scongiurare il rischio di pensare ai giovani in modo astratto o stereotipato (in positivo o in negativo), per mettere al centro dell’attenzione la loro vita reale (CV 71), a partire dalla enorme varietà delle condizioni in cui si trovano:

La gioventù non è un oggetto che può essere analizzato in termini astratti. In realtà, “la gioventù” non esiste, esistono i giovani con le loro vite concrete. Nel mondo di oggi, pieno di progressi, tante di queste vite sono esposte alla sofferenza e alla manipolazione (CV 71).

Del resto, era stata proprio l’Assemblea sinodale a indicare come particolarmente appropriata al nostro mondo la possibilità che alcune lingue hanno di parlare di “gioventù” al plurale (cfr DF 10 e CV 68).
Dal DF l’esortazione riprende, quasi alla lettera, la trattazione di tre situazioni che assurgono a cifra della condizione dei giovani (e non solo) nel mondo di oggi. La prima è la crescente pervasività dell’ambiente digitale, con tutte le sue potenzialità come occasione di incontro e dialogo, ma anche le sue ombre e i suoi rischi di manipolazione e sfruttamento (CV 86-90). La seconda è la condizione dei migranti, autentico paradigma del nostro tempo e della condizione dei credenti, che la Lettera agli ebrei definisce «stranieri e pellegrini» (CV 91-94). Il terzo nodo affrontato è l’emergenza degli abusi, rispetto a cui si ribadisce, anche sulla scorta dell’Incontro su “La protezione dei minori nella Chiesa” (21-24 febbraio 2019), la necessità di trasparenza, l’impossibilità di fare marcia indietro in materia di misure di prevenzione e la richiesta ai giovani di collaborare per trasformare questa crisi in una opportunità di autentica riforma della Chiesa (CV 95-102).
Pur nello sforzo di analizzare la realtà socio-culturale, l’intenzione di questa prima sezione resta profondamente spirituale: l’obiettivo non è accumulare dati, ma fare appello alla capacità di piangere, cioè alla disponibilità dei cristiani, della Chiesa e della società di provare nei confronti dei giovani, specie quelli che patiscono violenze e ingiustizie, sentimenti di autentica maternità (CV 75-76). Ugualmente spirituale è la conclusione del terzo capitolo, che invita alla speranza: i giovani – si fa l’esempio del Venerabile Carlo Acutis (CV 104-106) – hanno le risorse di creatività per abitare il nostro mondo senza lasciarsi schiacciare dalle sue contraddizioni e ad esse papa Francesco fa appello. Compete alle Chiese locali approfondire l’analisi del mondo giovanile di ciascun territorio, per predisporre le linee pastorali più appropriate (CV 103).

3. Al cuore del testo

Il secondo blocco di tre capitoli rappresenta il cuore e il fulcro dell’intera esortazione, che rende ragione anche del suo titolo. A ciascun giovane, nelle circostanze concrete in cui si trova, la Chiesa non ha altro da offrire se non l’incontro con quel Dio vivo che essa continua a sperimentare come amore, come salvezza e come fonte di vita, sapendo che sarà questo incontro a dischiudere nuove possibilità di orientamento per la vita di ciascuno, cioè a diventare chiamata e vocazione. L’obiettivo dei tre capitoli è far emergere– è questo il cuore di un vero e proprio cammino di discernimento – quale sia il dinamismo che mette in moto una risposta autentica alla voglia di vita che la giovinezza porta con sé e che il Signore non vuole spegnere, o invece che cosa è un inganno che manipola e asservisce.
Papa Francesco comincia quindi, nel capitolo quarto, rivolgendo direttamente, in seconda persona, a ciascun giovane l’annuncio che viene dalla fede: Dio ti ama; Gesù Cristo ti salva, è vivo e desidera che tu viva; Egli è sempre con te e non ti abbandona! Dando corpo con semplicità e profondità a queste frasi, Egli mostra così nella pratica che cosa significa attuare il n. 133 del DF, che ribadiva la centralità dell’«annuncio di Gesù Cristo, morto e risorto, che ci ha rivelato il Padre e donato lo Spirito» come dono irrinunciabile da offrire ai giovani e come questo sia intrinsecamente anche una chiamata che scuote e invita a mettere in gioco la propria libertà.
Questo appello appassionato ad entrare in una autentica relazione di salvezza e di amicizia offre la prospettiva al cui interno considerare gli itinerari dei giovani e le decisioni che sono chiamati a prendere, da quelle legate all’impegno professionale, sociale e politico, a quelle che riguardano la configurazione complessiva dell’esistenza (cap. 5):

Come si vive la giovinezza quando ci lasciamo illuminare e trasformare dal grande annuncio del Vangelo? È importante porsi questa domanda, perché la giovinezza, più che un vanto, è un dono di Dio: «Essere giovani è una grazia, una fortuna». È un dono che possiamo sprecare inutilmente, oppure possiamo riceverlo con gratitudine e viverlo in pienezza (CV 134).

Tornano in questa pagine espressioni care a papa Francesco e a cui ricorre spesso quando si rivolge ai giovani: l’importanza di osare e rischiare, di agire anche a costo di commettere errori, piuttosto che rimanere al balcone o sul divano. I giovani che ha in mente papa Francesco sono quelli capaci di scendere in strada per chiedere un mondo più giusto diventando protagonisti del cambiamento:

I giovani nelle strade. Sono giovani che vogliono essere protagonisti del cambiamento. Per favore, non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento! Voi siete quelli che hanno il futuro! Attraverso di voi entra il futuro nel mondo. A voi chiedo anche di essere protagonisti di questo cambiamento. Continuate a superare l’apatia, offrendo una risposta cristiana alle inquietudini sociali e politiche, che si stanno presentando in varie parti del mondo. Vi chiedo di essere costruttori del mondo, di mettervi al lavoro per un mondo migliore (CV 174).

Questo invito richiede però che i giovani non cadano in una trappola che il mondo propone loro: tagliare i legami con le proprie radici e l’esperienza di chi li ha preceduti (cap. 6). Questo li renderebbe più deboli, più esposti alla massificazione e alla manipolazione. Per questo la proposta di papa Francesco è quella della complementarità e del dialogo tra le generazioni, proiettando a livello universale l’esperienza dei Padri sinodali: «In questo Sinodo abbiamo sperimentato che la corresponsabilità vissuta con i giovani cristiani è fonte di profonda gioia anche per i vescovi. Riconosciamo in questa esperienza un frutto dello Spirito che rinnova continuamente la Chiesa» (DF 119). L’invito a rischiare si rivolge allora non solo ai giovani, ma a tutte le generazioni insieme. Riaffiora con forza e determinazione la prospettiva “sinodale”: solo se giovani e anziani camminano insieme potranno radicarsi nel presente e da qui rivolgersi al passato per sanarne le ferite e proiettarsi nel futuro. L’immagine è quella fornita durante il Sinodo da un giovane delle Isole Samoa: la Chiesa come canoa in viaggio nell’oceano, che può raggiungere la meta solo se gli anziani, che conoscono le stelle, mantengono la rotta, e i giovani, con il loro vigore, spingono sui remi (cfr CV 201).

4. Prospettive d’impegno

Il blocco formato dagli ultimi tre capitoli punta all’individuazione delle prospettive di attuazione di quanto messo a fuoco in precedenza: tanto i giovani quanto le comunità ecclesiali sono chiamati a scelte concrete.
Il cap. 7 si presenta come particolarmente denso: lo si comprende meglio a partire dai materiali del processo sinodale, a cui rinvia esplicitamente, anche se in alcuni casi solo tramite semplici cenni. La sfida del “rischiare insieme”, formulata alla conclusione della parte precedente, viene raccolta e trasformata nell’esigenza di una pastorale strutturalmente sinodale, fondata sulla valorizzazione dei carismi che lo Spirito concede a ciascuno e su una dinamica di corresponsabilità.

La pastorale giovanile non può che essere sinodale, vale a dire capace di dar forma a un “camminare insieme” che implica una «valorizzazione dei carismi che lo Spirito dona secondo la vocazione e il ruolo di ciascuno dei membri [della Chiesa], attraverso un dinamismo di corresponsabilità. […] Animati da questo spirito, potremo procedere verso una Chiesa partecipativa e corresponsabile, capace di valorizzare la ricchezza della varietà di cui si compone, accogliendo con gratitudine anche l’apporto dei fedeli laici, tra cui giovani e donne, quello della vita consacrata femminile e maschile, e quello di gruppi, associazioni e movimenti. Nessuno deve essere messo o potersi mettere in disparte» (CV 206).

Per la Chiesa si tratta di un vero e proprio cammino di conversione, che la renderà più accogliente e partecipativa, e capace così di evangelizzare grazie alla forza delle relazioni di cui è intessuta. In una Chiesa non più monolitica ma poliedrica (cfr CV 207) si apriranno spazi di protagonismo per i giovani e anche per le donne, alla cui condizione CV dedica parole di inequivocabile chiarezza, quando, al n. 42, aveva riconosciuto la legittimità delle rivendicazioni di uguaglianza e il retaggio storico di forme di dominazione maschilista.
La capacità di inclusione è la chiave della proposta pastorale avanzata in questo capitolo e fa premio sull’ossessione per la trasmissione delle verità dottrinali (cfr CV 212). Le comunità cristiane sono invitate a offrire spazi di accoglienza senza troppe barriere, e alle scuole cattoliche è chiesto di non trasformarsi in bunker a difesa dagli errori della cultura esterna, impermeabili al cambiamento (cfr CV 221). Particolarmente stimolanti sono i paragrafi dedicati alla “pastorale giovanile popolare” (CV 230-238): partono dal riconoscimento che i luoghi tradizionali della pastorale (oratori, centri giovanili, scuole, associazioni, movimenti) sono in grado di andare incontro alle esigenze di una certa parte del mondo giovanile, ma ne escludono inevitabilmente altre. Quanti professano altre fedi o si dichiarano non religiosi, e coloro che per tante ragioni sono segnati da dubbi, traumi o errori, faticherebbero a integrarsi nella pastorale ordinaria, ma non per questo hanno meno bisogno di trovare porte aperte e di essere sostenuti a compiere il bene possibile.
Gli ultimi due capitoli riprendono in modo concreto e più esplicito i temi della vocazione e del discernimento, sulla scorta del titolo dell’Assemblea sinodale. Il cap. 8 presenta la vocazione nel suo significato fondamentale di chiamata all’amicizia con Gesù e alla partecipazione all’opera di creazione e di redenzione di Dio, che si realizza nel servizio agli altri (CV 253-258). Proprio il servizio agli altri è l’orizzonte al cui interno collocare le due questioni che interpellano la maggioranza dei giovani. La prima è quella dell’amore e della formazione di una nuova famiglia (CV 259-267), in cui si rinvia esplicitamente alla precedente esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia, senza nascondere bellezza e difficoltà della prospettiva matrimoniale e aggiungendo, sulla scorta dei lavori sinodali, qualche parola dedicata ai single. Sempre da Amoris laetitia viene ribadita anche la concezione della sessualità come autentico dono di Dio e non come tabù, esperienza di amore e di generazione (cfr CV 261). Il secondo ambito di cui si sottolinea con grande forza la pregnanza vocazionale è quello del lavoro (CV 268-273). Per questo la disoccupazione e le varie forme di sfruttamento rappresentano una minaccia per la società e una emergenza di cui la politica ha il dovere di occuparsi. Rispetto al tema delle vocazioni sacerdotali e religiose, l’invito rivolto ai più anziani è di osare proporle come possibilità; quello ai giovani è di non scartarne a priori l’eventualità, entrambi mantenendosi liberi e attenti alla voce dello Spirito.
Allo specifico del discernimento vocazionale, cioè alla capacità di riconoscere a che cosa il Signore chiama ciascuno, è dedicato il cap. 9. Rivolgendosi direttamente ai giovani, papa Francesco ricorda che si tratta di un percorso esigente, che richiede disponibilità ad assumersi un rischio: solo così sarà possibile identificare ciò per cui vale la pena spendere la propria vita senza accontentarsi di valutare prospettive di carriera o guadagno. Si tratta infatti di passare alla dimensione del dono, ricevuto e ricambiato, e alla libertà che ne consegue. Proprio di questa gratuità sono chiamati a essere testimoni quanti accompagnano i giovani in un processo di discernimento vocazionale, con una attenzione a un ascolto profondo, prendendo sul serio la persona, quanto essa dice, e anche a valorizzare i suoi slanci vitali (cfr CV 291-295). Ad accompagnare possono essere sacerdoti o religiosi, così come laici, professionisti o anche altri giovani (cfr CV 291): l’importante è che sappiano mettersi in ascolto, porre domande e suscitare processi senza pensare di determinare la traiettoria che ciascuno, liberamente, riterrà di essere chiamato a seguire.

* * *

La penna appassionata di papa Francesco – che ha vissuto dall’interno tutto il processo sinodale, lo ha interamente condiviso e lo ha sigillato attraverso il testo della CV – non conclude il suo tratto con una chiusura, ma come sempre in forma aperta e coinvolgente. Chiede ai giovani di farsi avanti, di non tirarsi indietro. Non ha timore di spingerli ad essere gli apripista della Chiesa del terzo Millennio:

Cari giovani, sarò felice nel vedervi correre più velocemente di chi è lento e timoroso. Correte «attratti da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente. Lo Spirito Santo vi spinga in questa corsa in avanti. La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Ne abbiamo bisogno! E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci» (CV 299).

È un altro modo, questa volta più personale e affettuoso, di ripetere ai giovani ciò che è stato loro detto con la stessa passione dai Padri sinodali: di essere come Giovanni che anticipa Pietro alla tomba e poi lo attende con pazienza e rispetto (cfr DF 66); di essere come la Maddalena, «la prima discepola missionaria, l’apostola degli apostoli» (DF 115); di essere come i due discepoli di Emmaus, che scelgono di ritornare con entusiasmo nel cuore della comunità per condividere la gioia del Vangelo.
Immagini di risurrezione, immagini di futuro, immagini che ci fanno sognare, sperare, amare. E che soprattutto ci mettono in movimento.

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CHRISTUS VIVIT – Invito alla lettura

a cura di don Michele Falabretti
Direttore del Servizio Nazionale di Pastorale Giovanile della Conferenza Episcopale Italiana

L’esperienza del Sinodo che tutti – in modi diversi – abbiamo condiviso, ci ha fatti ritrovare attorno alle domande su come tenere viva l’esperienza generativa della fede cristiana. I giovani rappresentano molto nella vita dell’uomo, soprattutto la possibilità di consegnare qualcosa di sé: la vita e il suo senso, la cura e gli affetti, e così assistere allo spettacolo di veder crescere in altri ciò che a noi adulti è capitato molto tempo fa.

Per questo il Sinodo (in tutto il suo percorso) è stato una grande promessa di speranza, soprattutto per dare risposta a ciò che talvolta ci mette in ansia, come la fatica di interagire con la cultura contemporanea nella quale i giovani stanno crescendo. In questa ricerca sincera sono venute alla luce e hanno preso forma tante belle opportunità.

Gli snodi culturali di questo tempo (che loro sanno intercettare prima e talvolta meglio degli adulti) suonano estranei a ciò che consideriamo essenziali alla vita di fede; ma se non vogliamo tradire il principio di incarnazione non possiamo né ignorarli, né considerarli in eterno contrasto con le istanze della fede stessa. Come ha più volte ricordato papa Francesco, l’ascolto è un atto di fede. Per fare questo è necessario camminare insieme, riconoscendo nella presenza, nello sguardo, nelle parole intelligenti di chi ci sta accanto un aiuto e un sostegno ai passi di tutti.

Fondamentalmente è accaduto questo nell’aula sinodale e nei circoli minori, nei corridoi e nei cortili all’aperto dove l’ottobre romano concedeva ancora di passeggiare e confrontarsi. Ma anche, immagino, negli innumerevoli incontri (quanti saranno stati?) che in tutto il mondo si sono svolti nei due anni circa di cammino sinodale, un grande laboratorio dove confluisce la geografia del mondo intero. Ogni volta ciascuno è entrato in quegli spazi con le sue convinzioni; se ha aperto il cuore all’ascolto, esse si sono rimpicciolite sempre più in favore di una visione più ampia frutto del confronto e dello scambio.
Il Sinodo, dunque, ha messo i giovani al centro: la fede (per quanto ferma nei suoi contenuti) non può essere immutabile nelle forme, che saranno necessariamente storiche. In un tempo così frammentato, tentare di ridurla a poche norme significa renderla inefficace oltre che impoverirla. Le domande su come consegnare il vangelo ai giovani di questo tempo, mostrano il bisogno di considerare questo compito come un’impresa comune che fa lo sforzo di valorizzare le sensibilità di tutti cercando comunque di fare sintesi.

Un’esperienza del genere è tanto affascinante quanto pericolosa. Essa rischia di lasciare un vuoto, di sembrare improduttiva, perché le risposte non sono né immediate né a portata di mano. Forse per questa ragione, c’è stata una convergenza dell’Assemblea sinodale nello scegliere il brano dei discepoli di Emmaus come paradigma di ciò che la Chiesa vive (o avrebbe il desiderio di vivere) nel suo rapporto con gli adolescenti e i giovani di oggi.

Essi non sono “altro” dal resto della Chiesa, ma sarebbe sciocco non accettare il gioco delle generazioni che è vecchio come il mondo. Da sempre i giovani, che pure appartengono alla famiglia e alla società che li ha generati, si collocano quasi naturalmente in antitesi con il mondo degli adulti. Questo confronto rende il compito degli adulti sempre arduo e permette ai giovani di far emergere le domande più importanti, di costruire le proprie biografie. Proprio come è accaduto a ogni adulto di questo mondo, dal quale è lecito aspettarsi una comprensione dei più piccoli, un atteggiamento di ascolto e di cura amorevole.

L’esperienza sinodale è sembrata a tutti un grande laboratorio e non è improbabile la sensazione che non se ne esca con delle ricette pronte. Per questo, ora, è importante che ci raggiunga la parola autorevole del Santo Padre, che con la sua Esortazione Apostolica ci aiuti a riprendere con pazienza le istanze che il Sinodo ha provato a far emergere e a comporre.
Come i discepoli di Emmaus, ci sentiamo nella condizione di pellegrini, sentiamo il bisogno di una parola che ci scaldi il cuore. Una parola che, anzitutto, ci tenga compagnia: la vita non sempre mantiene ciò che promette e il pericolo di annegare nelle proprie solitudini è in agguato.

Questo libro contiene il testo dell’Esortazione Apostolica del Papa: è la parola conclusiva che rilancia il percorso sinodale, e che insieme ad altri testi lascia in eredità alla Chiesa – in particolare a chi si occupa di pastorale giovanile vocazionale – una piccola biblioteca: si parte dal Documento preparatorio (gennaio 2017), passando per quello dei giovani al termine dell’Assemblea presinodale (marzo 2018), all’Instrumentum laboris (giugno 2018), fino al Documento finale (ottobre 2018) votato interamente a maggioranza qualificata al termine delle varie sedute del Sinodo.
I due Segretari speciali del Sinodo ci guidano alla lettura del testo consegnato dal Papa nella Santa Casa di Loreto il 25 marzo scorso.
Sono contento di non doverlo commentare. Sento anche io il bisogno di mettermi di fronte alla parola del Papa per non chiudere troppo frettolosamente il discernimento: quello che dovrebbe fare ciascuno su se stesso, prima di pretendere che lo facciano gli altri.

Per questo l’invito è, semplicemente, alla lettura. Con il cuore libero: dalle paure rispetto a questo tempo, perché anche oggi il Signore parla – lo disse Isaia al popolo in un contesto non facile: «Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino» (Is 55,6); dalle incertezze rispetto ai giovani, perché anche in essi c’è il sigillo della creazione e anche nel loro cuore c’è il soffio dello Spirito; dai pregiudizi che nascondono le fragilità attorno alle quali ci illudiamo di costruire fortezze inattaccabili.

Un Sinodo non è la riscrittura della Rivelazione. È tutto ciò che riusciamo a fare per comprendere il tempo che stiamo attraversando. Sono testimone che questo sforzo è stato fatto intensamente durante il percorso sinodale. La Parola che ci guida da sempre, queste parole di chi ci guida in questo tempo, possono essere nostro viatico. Se con un po’ di umiltà e pazienza apriremo il cuore al loro ascolto.

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