«Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria» (Es 10,2): la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

Ieri, 24 maggio, ricorreva anche la 54ma Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali. Riportiamo il messaggio inviato dal Papa, come da tradizione, il 24 gennaio scorso, festa di San Francesco di Sales.

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«Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria» (Es 10,2).
La vita si fa storia

Desidero dedicare il Messaggio di quest’anno al tema della narrazione, perché credo che per non smarrirci abbiamo bisogno di respirare la verità delle storie buone: storie che edifichino, non che distruggano; storie che aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme. Nella confusione delle voci e dei messaggi che ci circondano, abbiamo bisogno di una narrazione umana, che ci parli di noi e del bello che ci abita. Una narrazione che sappia guardare il mondo e gli eventi con tenerezza; che racconti il nostro essere parte di un tessuto vivo; che riveli l’intreccio dei fili coi quali siamo collegati gli uni agli altri.

1. Tessere storie

L’uomo è un essere narrante. Fin da piccoli abbiamo fame di storie come abbiamo fame di cibo. Che siano in forma di fiabe, di romanzi, di film, di canzoni, di notizie…, le storie influenzano la nostra vita, anche se non ne siamo consapevoli. Spesso decidiamo che cosa sia giusto o sbagliato in base ai personaggi e alle storie che abbiamo assimilato. I racconti ci segnano, plasmano le nostre convinzioni e i nostri comportamenti, possono aiutarci a capire e a dire chi siamo.

L’uomo non è solo l’unico essere che ha bisogno di abiti per coprire la propria vulnerabilità (cfr Gen 3,21), ma è anche l’unico che ha bisogno di raccontarsi, di “rivestirsi” di storie per custodire la propria vita. Non tessiamo solo abiti, ma anche racconti: infatti, la capacità umana di “tessere” conduce sia ai tessuti, sia ai testi. Le storie di ogni tempo hanno un “telaio” comune: la struttura prevede degli “eroi”, anche quotidiani, che per inseguire un sogno affrontano situazioni difficili, combattono il male sospinti da una forza che li rende coraggiosi, quella dell’amore. Immergendoci nelle storie, possiamo ritrovare motivazioni eroiche per affrontare le sfide della vita.

L’uomo è un essere narrante perché è un essere in divenire, che si scopre e si arricchisce nelle trame dei suoi giorni. Ma, fin dagli inizi, il nostro racconto è minacciato: nella storia serpeggia il male.

2. Non tutte le storie sono buone

«Se mangerai, diventerai come Dio» (cfr Gen 3,4): la tentazione del serpente inserisce nella trama della storia un nodo duro da sciogliere. “Se possederai, diventerai, raggiungerai…”, sussurra ancora oggi chi si serve del cosiddetto storytelling per scopi strumentali. Quante storie ci narcotizzano, convincendoci che per essere felici abbiamo continuamente bisogno di avere, di possedere, di consumare. Quasi non ci accorgiamo di quanto diventiamo avidi di chiacchiere e di pettegolezzi, di quanta violenza e falsità consumiamo. Spesso sui telai della comunicazione, anziché racconti costruttivi, che sono un collante dei legami sociali e del tessuto culturale, si producono storie distruttive e provocatorie, che logorano e spezzano i fili fragili della convivenza. Mettendo insieme informazioni non verificate, ripetendo discorsi banali e falsamente persuasivi, colpendo con proclami di odio, non si tesse la storia umana, ma si spoglia l’uomo di dignità.

Ma mentre le storie usate a fini strumentali e di potere hanno vita breve, una buona storia è in grado di travalicare i confini dello spazio e del tempo. A distanza di secoli rimane attuale, perché nutre la vita.

In un’epoca in cui la falsificazione si rivela sempre più sofisticata, raggiungendolivelli esponenziali (il deepfake), abbiamo bisogno di sapienza per accogliere e creare racconti belli, veri e buoni. Abbiamo bisogno di coraggio per respingere quelli falsi e malvagi. Abbiamo bisogno di pazienza e discernimento per riscoprire storie che ci aiutino a non perdere il filo tra le tante lacerazioni dell’oggi; storie che riportino alla luce la verità di quel che siamo, anche nell’eroicità ignorata del quotidiano.

3. La Storia delle storie

La Sacra Scrittura è una Storia di storie. Quante vicende, popoli, persone ci presenta! Essa ci mostra fin dall’inizio un Dio che è creatore e nello stesso tempo narratore. Egli infatti pronuncia la sua Parola e le cose esistono (cfr Gen 1). Attraverso il suo narrare Dio chiama alla vita le cose e, al culmine, crea l’uomo e la donna come suoi liberi interlocutori, generatori di storia insieme a Lui. In un Salmo, la creatura racconta al Creatore: «Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda […]. Non ti erano nascoste le mie ossa, quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra» (139,13-15). Non siamo nati compiuti, ma abbiamo bisogno di essere costantemente “tessuti” e “ricamati”. La vita ci è stata donata come invito a continuare a tessere quella “meraviglia stupenda” che siamo.

In questo senso la Bibbia è la grande storia d’amore tra Dio e l’umanità. Al centro c’è Gesù: la sua storia porta a compimento l’amore di Dio per l’uomo e al tempo stesso la storia d’amore dell’uomo per Dio. L’uomo sarà così chiamato, di generazione in generazione, a raccontare e fissare nella memoria gli episodi più significativi di questa Storia di storie, quelli capaci di comunicare il senso di ciò che è accaduto.

Il titolo di questo Messaggio è tratto dal libro dell’Esodo, racconto biblico fondamentale che vede Dio intervenire nella storia del suo popolo. Infatti, quando i figli d’Israele schiavizzati gridano a Lui, Dio ascolta e si ricorda: «Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero» (Es 2,24-25). Dalla memoria di Dio scaturisce la liberazione dall’oppressione, che avviene attraverso segni e prodigi. È a questo punto che il Signore consegna a Mosè il senso di tutti questi segni: «perché tu possa raccontare e fissare nella memoria di tuo figlio e del figlio di tuo figlio i segni che ho compiuti: così saprete che io sono il Signore!» (Es 10,2). L’esperienza dell’Esodo ci insegna che la conoscenza di Dio si trasmette soprattutto raccontando, di generazione in generazione, come Egli continua a farsi presente. Il Dio della vita si comunica raccontando la vita.

Gesù stesso parlava di Dio non con discorsi astratti, ma con le parabole, brevi narrazioni, tratte dalla vita di tutti i giorni. Qui la vita si fa storia e poi, per l’ascoltatore, la storia si fa vita: quella narrazione entra nella vita di chi l’ascolta e la trasforma.

Anche i Vangeli, non a caso, sono dei racconti. Mentre ci informano su Gesù, ci “performano”[1] a Gesù, ci conformano a Lui: il Vangelo chiede al lettore di partecipare alla stessa fede per condividere la stessa vita. Il Vangelo di Giovanni ci dice che il Narratore per eccellenza – il Verbo, la Parola – si è fatto narrazione: «Il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha raccontato» (Gv 1,18). Ho usato il termine “raccontato” perché l’originale exeghésato può essere tradotto sia “rivelato” sia “raccontato”. Dio si è personalmente intessuto nella nostra umanità, dandoci così un nuovo modo di tessere le nostre storie.

4. Una storia che si rinnova

La storia di Cristo non è un patrimonio del passato, è la nostra storia, sempre attuale. Essa ci mostra che Dio ha preso a cuore l’uomo, la nostra carne, la nostra storia, fino a farsi uomo, carne e storia. Ci dice pure che non esistono storie umane insignificanti o piccole. Dopo che Dio si è fatto storia, ogni storia umana è, in un certo senso, storia divina. Nella storia di ogni uomo il Padre rivede la storia del suo Figlio sceso in terra. Ogni storia umana ha una dignità insopprimibile. Perciò l’umanità merita racconti che siano alla sua altezza, a quell’altezza vertiginosa e affascinante alla quale Gesù l’ha elevata.

«Voi – scriveva San Paolo – siete una lettera di Cristo scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole di cuori umani» (2 Cor 3,3). Lo Spirito Santo, l’amore di Dio, scrive in noi. E scrivendoci dentro fissa in noi il bene, ce lo ricorda. Ri-cordare significa infatti portare al cuore, “scrivere” sul cuore. Per opera dello Spirito Santo ogni storia, anche quella più dimenticata, anche quella che sembra scritta sulle righe più storte, può diventare ispirata, può rinascere come capolavoro, diventando un’appendice di Vangelo. Come le Confessioni di Agostino. Come il Racconto del Pellegrino di Ignazio. Come la Storia di un’anima di Teresina di Gesù Bambino. Come i Promessi Sposi, come I fratelli Karamazov. Come innumerevoli altre storie, che hanno mirabilmente sceneggiato l’incontro tra la libertà di Dio e quella dell’uomo. Ciascuno di noi conosce diverse storie che profumano di Vangelo, che hanno testimoniato l’Amore che trasforma la vita. Queste storie reclamano di essere condivise, raccontate, fatte vivere in ogni tempo, con ogni linguaggio, con ogni mezzo.

5. Una storia che ci rinnova

In ogni grande racconto entra in gioco il nostro racconto. Mentre leggiamo la Scrittura, le storie dei santi, e anche quei testi che hanno saputo leggere l’anima dell’uomo e portarne alla luce la bellezza, lo Spirito Santo è libero di scrivere nel nostro cuore, rinnovando in noi la memoria di quello che siamo agli occhi di Dio. Quando facciamo memoria dell’amore che ci ha creati e salvati, quando immettiamo amore nelle nostre storie quotidiane, quando tessiamo di misericordia le trame dei nostri giorni, allora voltiamo pagina. Non rimaniamo più annodati ai rimpianti e alle tristezze, legati a una memoria malata che ci imprigiona il cuore ma, aprendoci agli altri, ci apriamo alla visione stessa del Narratore. Raccontare a Dio la nostra storia non è mai inutile: anche se la cronaca degli eventi rimane invariata, cambiano il senso e la prospettiva. Raccontarsi al Signore è entrare nel suo sguardo di amore compassionevole verso di noi e verso gli altri. A Lui possiamo narrare le storie che viviamo, portare le persone, affidare le situazioni. Con Lui possiamo riannodare il tessuto della vita, ricucendo le rotture e gli strappi. Quanto ne abbiamo bisogno, tutti!

Con lo sguardo del Narratore – l’unico che ha il punto di vista finale – ci avviciniamo poi ai protagonisti, ai nostri fratelli e sorelle, attori accanto a noi della storia di oggi. Sì, perché nessuno è una comparsa nella scena del mondo e la storia di ognuno è aperta a un possibile cambiamento. Anche quando raccontiamo il male, possiamo imparare a lasciare lo spazio alla redenzione, possiamo riconoscere in mezzo al male anche il dinamismo del bene e dargli spazio.

Non si tratta perciò di inseguire le logiche dello storytelling, né di fare o farsi pubblicità, ma di fare memoria di ciò che siamo agli occhi di Dio, di testimoniare ciò che lo Spirito scrive nei cuori, di rivelare a ciascuno che la sua storia contiene meraviglie stupende. Per poterlo fare, affidiamoci a una donna che ha tessuto l’umanità di Dio nel grembo e, dice il Vangelo, ha tessuto insieme tutto quanto le avveniva. La Vergine Maria tutto infatti ha custodito, meditandolo nel cuore (cfr Lc 2,19). Chiediamo aiuto a lei, che ha saputo sciogliere i nodi della vita con la forza mite dell’amore:

O Maria, donna e madre, tu hai tessuto nel grembo la Parola divina, tu hai narrato con la tua vita le opere magnifiche di Dio. Ascolta le nostre storie, custodiscile nel tuo cuore e fai tue anche quelle storie che nessuno vuole ascoltare. Insegnaci a riconoscere il filo buono che guida la storia. Guarda il cumulo di nodi in cui si è aggrovigliata la nostra vita, paralizzando la nostra memoria. Dalle tue mani delicate ogni nodo può essere sciolto. Donna dello Spirito, madre della fiducia, ispira anche noi. Aiutaci a costruire storie di pace, storie di futuro. E indicaci la via per percorrerle insieme.

Roma, presso San Giovanni in Laterano, 24 gennaio 2020,

Memoria di San Francesco di Sales

FRANCISCUS

Newsletter Dicastero Comunicazione Sociale – Maggio 2020

Si riporta di seguito la Newsletter del Dicastero della Comunicazione da parte di Don Gildasio Dos Santos Mendes sdb, Consigliere per la Comunicazione Sociale.

Brazilia, Brasile, 21 Maggio 2020 

Cari fratelli e sorelle!

Saluto ognuno di voi con quella speranza che ci fa camminare con entusiasmo e con gli occhi aperti sul presente e sul futuro. Questa speranza che ci fa camminare insieme ha la sua fonte in Gesù Cristo, il risorto, il comunicatore della vita piena (Gv 10, 10).

In questi tempi di crisi sanitaria in tutto il mondo, a causa di Covid-19, vogliamo ringraziare ognuno di voi per il coraggio e la creatività nel comunicare, attraverso i social media e i vari media, la forza dell’amore e della solidarietà.

L’Équipe del Dicastero di Comunicazione Sociale, direttamente dal Sacro Cuore, a Roma, insieme al Rettor Maggiore e ad altri confratelli, si è dedicata con zelo e spirito salesiano a portare il messaggio di speranza e di coraggio in questi tempi di grandi sfide per l’umanità.

Abbiamo ricevuto molte notizie e iniziative di solidarietà da tutta la Congregazione!

Attraverso la comunicazione, creiamo legami, esprimiamo le nostre idee, condividiamo i nostri progetti, promuoviamo la libertà umana e la democrazia.

La comunicazione è la sorella della libertà e della solidarietà. Per questo motivo, ogni comunicazione richiede un’etica di impegno nei confronti della persona umana, della sua cultura, della sua storia e del suo ruolo nella società.

Vorrei invitare ogni delegato di comunicazione delle ispettorie, nonché i laici, i membri della Famiglia Salesiana e i giovani dei gruppi di comunicazione delle nostre presenze a riflettere, approfondire e tracciare insieme la nostra mappa di comunicazione sociale al servizio dell’evangelizzazione e dell’educazione dei nostri destinatari del nostro tempo.

A tal fine, in continuità con la riflessione svolta negli incontri, nelle consultazioni degli ultimi anni, rispondendo agli appelli della Congregazione e della Chiesa e avendo come riferimento il documento SSCS (Sistema Salesiano di Comunicazione Sociale), vogliamo continuare a camminare insieme nell’aggiornamento del progetto di comunicazione per il Dicastero.

In questo processo di ridisegno della comunicazione, inizialmente vogliamo considerare alcune sfide e opportunità:

  • a) Gli appelli del CG28 in dialogo con gli orientamenti del Sinodo sui giovani.
  • b) Le proposte educative e pastorali presentate in Laudato Si’ dal punto di vista salesiano della comunicazione in questi tempi di crisi e post crisi di Covid-19.
  • c) Le questioni etiche, politiche ed educative della comunicazione nelle varie regioni e paesi.
  • d) La visione della comunicazione come ecosistema e comunicazione in reti.
  • e) Il protagonismo dei nostri giovani nella cultura dei media.
  • f) La comunicazione missionaria e solidale nelle nostre comunità al servizio dei più poveri.
  • g) La creazione di politiche, processi, passi e azioni attraverso una metodologia di discernimento come strumento pastorale e visione della gestione collaborativa.
  • h) La promozione della nostra comunicazione ispirata al carisma salesiano, basata sulla missione evangelizzatrice e pastorale, in sinergia con i Dicasteri della Pastorale Giovanile, delle Missioni e della Formazione.
  • i) Il consolidamento del digitale nella comunicazione nelle nostre comunità e la creazione di piattaforme di comunicazione.
  • j) L’importanza del piano di comunicazione delle ispettorie, l’articolazione nelle regioni e il lavoro in rete.
  • k) Il dinamismo dei vari servizi attraverso le agenzie di notizie, il bollettino salesiano, le editrici, Tipografie, siti web, le radio, i giornali, i social network e altri.
  • l) La gestione collaborativa dei laici nella comunicazione e la collaborazione con le università salesiane. 

Questa prima indicazione sarà inviata a ognuno di voi secondo il programma 2020 del Dicastero della Comunicazione. Spero all’inizio di luglio d’inviarvi il testo tradotto.

Appena ricevuto il testo, invierò insieme alcune linee guida pratiche ad ogni delegato della comunicazione per leggere, approfondire, condividere con i gruppi pastorali, con i laici e i giovani e inviarmi suggerimenti, domande, proposte secondo le date che indicherò.

All’inizio del secondo semestre del 2020, terremo alcune videoconferenze con i delegati della comunicazione per ascoltare, condividere e proporre.

Negli incontri con i delegati della comunicazione delle regioni, vogliamo lavorare su questo testo in modo più sistematico, nonché sul progetto di comunicazione della Congregazione.

Nelle consultazione mondiali sulle comunicazioni, vogliamo continuare questo processo di costruzione di una visione della comunicazione sociale, considerando le nuove realtà culturali e sociali, i requisiti e le opportunità delle nuove tecnologie e dei media digitali, nonché la nostra missione in sinergia e collaborazione.

Questo lavoro, pertanto, mira a continuare, a valorizzare e dare visibilità alla missione che ogni ispettoria e comunità realizza a riguardo della comunicazione, ampliare e aggiornare il documento SSCS, rispondere alle nuove esigenze della cultura digitale e del mondo giovanile e rafforzare la nostra comunicazione istituzionale e il lavoro collaborativo con i diversi dicasteri e servizi della Congregazione.

La comunicazione è vitale per ogni società e cultura. Conosciamo il privilegio e la responsabilità di essere comunicatori in tempi di crisi e di grandi cambiamenti sociali e culturali.

Il Rettor Maggiore, nel suo messaggio del 16 aprile scorso, ha espresso molto bene come noi Cattolici possiamo rispondere alle sfide economiche, sociali e politiche derivanti dalla crisi sanitaria del coronavirus.

«Anzitutto spero che impariamo qualcosa da tutto ciò che stiamo vivendo».

Quindi solleva domande importanti per tutti noi: 

«Torneremo a vivere al di sopra delle nostre possibilità o avremo ritmi e spazi più umani? Ancora, vorremo recuperare il tempo perso nei consumi, o impareremo che possiamo vivere felici e con ciò che è necessario? Continueremo nella corsa all’inquinamento nel mondo o daremo un po’ di respiro al pianeta?» 

Ringrazio ognuno di voi per aver creduto nell’importanza della comunicazione al servizio del Regno di Dio e per aver camminato con speranza assieme a Don Bosco e ai nostri giovani. 

Possa la Madonna, Comunicatrice di vita e speranza, proteggerci e guidarci sempre.

Con affetto fraterno e in comunione di preghiera,

don Gildásio Mendes dos Santos 

Consigliere Generale per la Comunicazione Sociale 

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Valdocco: Solennità di Maria Ausiliatrice 2020

Si riporta di seguito il programma dei festeggiamenti dedicati a Maria Ausiliatrice nella giornata di domenica 24 maggio 2020 che si terranno presso la Basilica Maria Ausiliatrice di Torino, Valdocco. Un momento significativo per tanti devoti e per la Famiglia Salesiana che, in tutto il mondo, vive questa ricorrenza in maniera speciale.

Quest’anno il programma è stato ripensato nel rispetto delle modalità richieste dalle Autorità civili in questo particolare tempo.

“Desideriamo vivere questa solennità con uno spirito di profonda confidenza in Maria. Aprendo il cuore e confidando a Lei paure e speranze che animano questi giorni potremo sperimentare la dolcezza dell’essere protetti sotto il suo manto”.

(Don Enrico Stasi – Ispettore dei Salesiani del Piemonte e Valle d’Aosta)

Orario celebrazioni eucaristiche

ORE 8:00 – Celebrazione Eucaristica, presiede don Carmine Arice.

ORE 9:30 – Celebrazione Eucaristica, presiede don Enrico Stasi – Ispettore dei Salesiani del Piemonte e Valle d’Aosta.

ORE 11:00 – Presiede S.E. mons. Cesare Nosiglia.
(in diretta su Rete 7 e sul canale Facebook @ilcortilediValdocco)

ORE 12:30 – Celebrazione Eucaristica, presiede don Guido Dutto.

ORE 15:30 – Celebrazione Eucaristica, presiede don Leonardo Mancini.

ORE 17:00 – Presiede don Angel F. Artime, Rettor Maggiore dei Salesiani di don Bosco.
(In diretta su Rete 7, Telepace e sul canale Facebook @agenziaans). Partecipazione esclusiva per i giovani del Movimento Giovanile Salesiano previa prenotazione presso il sacerdote della casa salesiana di riferimento.

ORE 18:30 – Celebrazione Eucaristica, presiede don Guillermo Basañes.

ORE 20:30 – “Dalla Basilica di Maria Ausiliatrice alle nostre case
Rosario meditato, accessibile ai fedeli solo tramite diretta tv su Rete 7, Telepace oppure canale Facebook @agenziaans.

 

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Esercizi spirituali MGS IC: distanti ma uniti

Dall’8 al 10 maggio i giovani del Movimento Giovanile Salesiano dell’Italia Centrale hanno vissuto da casa gli Esercizi Spirituali: oltre 140 giovani connessi per riflettere e confrontarsi con la Parola in questo periodo al di fuori dell’ordinarietà.

Ecco la testimonianza di Biancarosa Traffano
Non si può certo dire che Dio non sia un tipo fantasioso: chi di noi avrebbe immaginato di essere contattato da Lui in videochiamata? Invece è proprio quello che è successo in questi giorni, perché senza dubbio l’idea di vivere a distanza gli Esercizi Spirituali non può che essere stata ispirata dallo Spirito Santo, come dimostrano la gioia e la gratitudine che oggi abitano il nostro cuore.
E non è stato solo Dio a raggiungerci lì dove eravamo, ma è stato il Movimento Giovanile Salesiano! La difficoltà di concentrarsi (anzi, raccogliersi!) a casa è stata compensata dall’unità straordinaria che si è creata, dall’entusiasmo di condividere questo momento con tutti i giovani del MGS IC. Di più, proprio questa inedita modalità di vivere il ritiro ci ha permesso di superare i confini delle nostre regioni e così abbiamo gustato insieme un’esperienza di esercizi che forse prima potevamo dare per scontata, ma che ora è davvero da riconoscere come dono gratuito e soprattutto non scontato.
Con la sua dolcezza e saggezza don Mario Rollando ci ha presi per mano e ci ha accompagnati sulle orme del Risorto. L’incontro con Lui attraverso la sua Parola fa rinascere in noi la memoria del suo amore che scalda il cuore e che ci rende testimoni: non persone perfette, ma mendicanti che sempre desiderano il Signore. Come e con sant’Agostino don Mario ci ha esortato proprio a desiderare, perché il nostro desiderio di Dio è preghiera, anche e soprattutto quando emotivamente siamo in difficoltà, quando ci sentiamo insensibili alla Grazia o addirittura in lotta con essa. Dalle nostre contraddizioni può scaturire una preghiera che è solo nostra, che è personale e originale, come quella di san Tommaso, che soffre e pretende di vedere Gesù per poi prorompere nel bellissimo “Mio Signore e mio Dio!”.
Nell’ultima intensa tappa del nostro percorso don Mario ci ha portato in Galilea, luogo non scelto a caso da Gesù per incontrare i suoi discepoli: luogo dello scarto, del margine, dei poveri, dei peccatori… Luogo da cui vorremmo fuggire, ma che fa parte di noi, che rappresenta le nostre più intime zone buie, gli aspetti di noi stessi e della nostra vita che vorremmo nascondere e con cui non siamo riconciliati. Ma Gesù ci dà appuntamento proprio in quelle Galilee, ci aspetta lì, perché “ama illuminare i nostri sotterranei”. Quelli in cui forse siamo anche più veri. Perché non c’è bisogno di sforzarti per meritare l’amore di Dio: la sua Grazia ti precede ed è lei che crea in te infiniti motivi per amare ogni pezzo della tua vita, che sia Galilea o che sia Giudea, buio o luce.
Ancora don Mario ci ha spinto a vedere la bellezza nella diversità che abita il mondo e la stessa Chiesa, come nelle due figure di Pietro e Giovanni, a scoprire che la relazione con Dio è l’asse portante che spinge il pastore ad amare il suo gregge, perché: “soltanto gli assidui frequentatori del mistero di Dio possono essere raffinati interpreti e servitori del mistero dell’uomo”. Così il nostro amore per gli altri non risulta sminuito dal nostro rapporto prioritario con Dio, ma semmai potenziato, reso divino.
Dopo queste giornate abbiamo imparato per esperienza che a contatto con la Parola di Dio il nostro cuore può sempre ardere, non importa dove siamo: nella natura, in oratorio, all’università, al lavoro, in Chiesa… A casa. Come ci ha detto madre Yvonne, altro grande regalo di questi Esercizi, la Parola ci raggiunge nel nostro oggi, con una chiamata che non è quella di ieri e nemmeno quella di domani: oggi, #lìdovesei, non lasciar spegnere il fuoco che Dio ha acceso nel tuo cuore.

Guarda la videotestimoniaza

Immersi nel digitale: il workshop dell’ispettoria Sicula

Pubblichiamo un articolo sul workshop di comunicazione dell’ispettoria Salesiana Sicula a maggio.

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Per iniziativa dell’Equipe di Comunicazione Sociale dell’Ispettoria Salesiana Sicula – composta da don Enrico Frusteri Chiacchiera, don Philemon Chacha, don Antonino Garufi e Pierpaolo Galota – durante due weekend del mese di Maggio è stato possibile partecipare ad un workshop formativo sul mondo digitale. Un mondo che ha indubbiamente stravolto la vita dei giovani in questo momento storico in cui la tecnologia, in tutte le sue forme, si è rivelata fondamentale per mantenere un contatto vivo con gli altri, e che in un prossimo futuro potrà essere la soluzione per reinventarsi in molte situazioni.

Il percorso del workshop è stato diviso in due momenti: uno dedicato alla produzione fotografica, a cura di don Tonino, tenutosi tra l’8,9 e 10 Maggio; il secondo, invece, dedicato all’approfondimento di aspetti legati al giornalismo – cartaceo e online – e alla comunicazione, a cura di Pierpaolo, svoltosi nel fine settimana successivo.

I giovani partecipanti di questo percorso hanno, quindi, avuto la possibilità di conoscere e sperimentare le proprie capacità in due campi apparentemente diversi ma in realtà affini: i consigli di don Tonino hanno trasmesso una nuova sensibilità verso l’aspetto interpretativo della fotografia, al di là delle pillole tecniche che, sicuramente, con l’esperienza, riusciranno ad essere assimilate in maniera più completa; le successive nozioni proposte da Pierpaolo Galota sull’aspetto comunicativo del digitale – che può concretizzarsi in articoli, narrazioni o semplici notizie trasmesse attraverso i social media – hanno completato un percorso già avviato, stimolando il pensiero e l’immaginazione nel cercare di attribuire giuste parole ad uno scatto, tanto quanto adatte informazioni ad una notizia.

Nonostante le circostanze e il breve tempo nel quale si è svolto il progetto, il bagaglio culturale di ciascun partecipante al workshop è sicuramente più ricco di conoscenze che, seppur apprese per semplice piacere, daranno a ciascuno di loro una nuova visione critica della realtà che li circonda, che sia da dietro l’obiettivo di una macchina fotografica o tra le righe di un articolo.

Eleonora Pinizzotto

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Scuole paritarie, la solidarietà e l’appello della CEI

Pubblichiamo l’appello e la solidarietà della Presidenza Cei alle scuole paritarie.

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La Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana torna a rilanciare la forte preoccupazione espressa in queste settimane da genitori, alunni e docenti delle scuole paritarie, a fronte di una situazione economica che ne sta ponendo a rischio la stessa sopravvivenza.
Le paritarie svolgono un servizio pubblico, caratterizzato da un progetto educativo e da un programma formativo perseguiti con dedizione e professionalità.
Le forme di sostegno poste in essere dal Decreto Rilancio – in relazione alla riduzione o al mancato versamento delle rette, determinato dalla sospensione dei servizi in presenza, a seguito delle misure adottate per contrastare la pandemia – ammontano a 65 milioni per le istituzioni scolastiche dell’infanzia e a 40 milioni per le scuole primarie e secondarie, a fronte di un miliardo e mezzo destinato alla scuola tutta.
Si tratta di un passo dal valore innanzitutto culturale, rispetto al quale si chiede al Governo e al Parlamento di impegnarsi ulteriormente per assicurare a tutte le famiglie la possibilità di una libera scelta educativa, esigenza essenziale in un quadro democratico.
Tra l’altro, le scuole paritarie permettono al bilancio dello Stato un risparmio annuale di circa 7.000 euro ad alunno: indebolirle significherebbe dover affrontare come collettività un aggravio di diversi miliardi di euro.
Come Presidenza della CEI chiediamo con forza che non si continuino a fare sperequazioni di trattamento, riconoscendo il valore costituito dalla rete delle paritarie. A nostra volta, stiamo verificando la possibilità di contribuire a sostenere alcune migliaia di studenti della scuola paritaria secondaria di I e II grado: un aiuto straordinario alle famiglie più in difficoltà, da imputarsi al bilancio CEI del 2020. Si tratterebbe di circa 20mila borse di studio, che agevolino l’iscrizione al prossimo anno scolastico, a tutela – per quanto possibile – di un patrimonio educativo e culturale unico.
Uniamo le forze, già in vista dell’imminente passaggio parlamentare, per non far venir meno un’esperienza che trova cittadinanza in ogni Paese europeo, mentre in Italia sconta ancora pregiudizi che non hanno alcuna ragion d’essere.
La Presidenza della CEI

Colle don Bosco, il direttore don Rolandi: “Eremo surreale per il periodo pasquale”

Pubblichiamo l’intervista uscita su La Stampa – a firma di Marina Rissone – a don Giovanni Rolandi, direttore del Colle don Bosco, nella quale racconta l’esperienza durante il periodo pasquale della vita della basilica.

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I mesi del lockdown hanno lasciato ai salesiani del Colle Don Bosco molte riflessioni, tra fede e speranza nel futuro. Frazione Morialdo di Castelnuovo è stata orfana di migliaia di pellegrini che ogni giorno affollano i luoghi natali del santo sociale dei giovani per trovare momenti di preghiera. Il direttore don Giovanni Rolandi parla di alcuni aspetti dell’emergenza sanitaria dal punto di vista religioso e storico.

Come avete vissuto l’isolamento al Colle?
«Le chiese sono rimaste sempre aperte ai fedeli, senza celebrazioni. Il Colle è  diventato una specie di eremo: per giornate abbiamo vissuto in solitudine. L’unica compagna è stata la preghiera in una cappella privata per la comunità religiosa salesiana. Una atmosfera surreale soprattutto nel periodo pasquale».

E’ stato lasciato un segno sul modo di pregare?
«Noi cristiani siamo privilegiati: possiamo pregare ovunque. A differenza del Giudaismo, per noi il luogo di culto non è fondamentale, come per loro era il Tempio di Gerusalemme. La preghiera comunitaria è importante. Papa Francesco ha detto di fare attenzione a non “viralizzare” (da “virus”) la liturgia: c’è una differenza abissale tra una liturgia seguita da casa sui media (che va bene quando non si può fare altro) e una vissuta di persona con la comunità».

Come avrebbe reagito San Giovanni Bosco alla pandemia e alla perdita di molte certezze scontate?
«Don Bosco si trovò nel bel mezzo di un’epidemia di colera a Torino dall’agosto al novembre 1854 con epicentro Borgo Dora e Valdocco. Invitò i ragazzi dell’oratorio a non aver paura e fece una promessa “pazza” a nome di Dio. Disse: “Se farete quanto vi dico, sarete salvi. Se vi metterete in grazia di Dio e non commetterete alcun peccato mortale, vi assicuro che nessuno di voi sarà  toccato. Ma se qualcuno rimanesse ostinato nemico di Dio e osasse offenderlo gravemente, io non potrei più essere garante né di lui, né per qualunque altro”. Li invitò a portare al collo una medaglia della Madonna e recitare ogni giorno un Pater, Ave, Gloria. Trenta ragazzi si offrirono volontari per prestare soccorso ai malati di colera della zona. Usavano una bottiglietta di aceto per sanificare spesso le mani. Don Bosco usò ogni precauzione: fece ripulire i locali dell’oratorio, aggiunse camere, diminuì il numero dei letti in dormitorio, migliorò il vitto sobbarcandosi molte spese. E, in preghiera, si offrì lui stesso come vittima al Signore, al posto dei ragazzi. Nessuno si ammalò in oratorio, seppur nell’epicentro del contagio. Don Bosco inviterebbe a non aver paura, a rimboccarsi le maniche, a prendere giuste precauzioni e a conservare l’amicizia con Gesù».

Un suo pensiero personale ai lettori.
«Non mi ero mai trovato in una situazione simile. Neppure in Kenya dove ho vissuto per anni. L’epidemia di ebola laggiù ci ha sfiorato due volte, ma non ha mai assunto le proporzioni di questa pandemia. Credo che siamo sempre e solo nelle mani di Dio. Se lui è con noi, davvero nulla può essere contro di noi (parafrasando San Paolo, in Romani 8, 31). Pratichiamo un po’ d’igiene mentale, ascoltando meno notizie da “breaking news” e attenendoci alle comunicazioni ufficiali delle autorità . E’ necessario camminare verso un delicato equilibrio. Sono perplesso sulla posizione delle agenzie governative e che siano state revocate, dall’oggi al domani, alcune libertà  fondamentali del cittadino in nome della salute». 

Tunisia, i Salesiani al tempo del confinamento

Pubblichiamo un articolo del notiziario dell’Ispettoria Sicula, INSIEME, sull’esperienza dei Salesiani in Tunisia durante l’emergenza sanitaria.

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Anche la Tunisia come del resto quasi tutti i Paesi del mondo vive la realtà del confinamento. Il governo tunisino ha avuto la intuizione di chiudere tutto ancora prima che la malattia si manifestasse in modo eclatante giocando sulla “prevenzione” del contagio ed agendo quindi subito già ai primi casi che sono giunti a inizio marzo importati dall’Italia.  Pertanto anche qui tutte le attività scolastiche, educative, sportive ed anche quelle religiose sia delle moschee sia delle poche chiese cattoliche sono state sospese fino a nuovo ordine dal 14 marzo.

Noi sdb, cinque confratelli, siamo rimasti pertanto confinati nelle due scuole tre a Manouba e due a Don Bosco Tunisi. Abbiamo reagito anzitutto tentando di assicurare una didattica online tramite i nostri insegnanti. Quelli più capaci dal punto di vista informatico si sono dati da fare da casa per aiutare i ragazzi e le loro famiglie a tenersi occupati rivedendo e ampliando esercizi e lavori scolastici adatti ovviamente a bimbi tra i 5 e gli 11 anni. Non è facile ma si è avuta una buona risposta anche se non tutti gli allievi sono collegati.

L’oratorio ha continuato a seguire gli animatori. Con loro si è continuata la formazione al sistema preventivo di Don Bosco grazie a fr. Patrick e al confratello ultimo arrivato don Bashir che ha prodotto interventi formativi in lingua araba sia per gli animatori sia per gli insegnanti. Per le due parrocchie affidate ai salesiani si è continuato il legame spirituale tramite le comunicazioni possibili. Don Faustinoper la parrocchia di Hammamet ha curato ogni settimana il commento al Vangelo sia in lingua francese che in italiano e ha fatto una lettera settimanale inviando il tutto alle mail dei parrocchiani italiani ed europei,

Don Domenico insieme a don Bashir hanno aperto una pagina Facebook per la Parrocchia di Tunis col nome di Paroisse Sainte Jeanne D’Arc Tunis. Cosi ogni sabato alle 18.30 ora tunisina si trasmette dalla cappella salesiana di Manouba la S. Messa in italiano e la domenica alle 10 la S. Messa in francese mantenendo quindi gli stessi orari dei tempi normali. Sulla pagina si inseriscono anche avvisi o notizie che interessano la comunità parrocchiale.

Le due scuole stanno inoltre tenendo i contatti con le famiglie degli allievi per assicurare il sostegno economico alle due scuole che già dal 12 marzo hanno interrotto le attività didattiche ed ormai l’anno scolastico è stato dichiarato chiuso. Per il sostegno ai bisognosi la chiesa tunisina ha concentrato l’aiuto presso la Caritas diocesana e li abbiamo indirizzato coloro che erano in stato di bisogno mentre qualche sacerdote è stato autorizzato a recarsi in alcuni punti di raccolta di coloro che avevano bisogno di generi alimentari. Tutti inoltre abbiamo contribuito con la preghiera.

Si attende adesso l’esito dei primi passi del deconfinamento progressivo. Speriamo bene e che il Signore Risorto ci doni la possibilità di tornare a servire i nostri destinatari.

Domenico Paternò

Direttore della Comunità Salesiana

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Si riparte in fretta! Con Maria #lìdovesei…: la novena degli studenti della Crocetta

Alcuni studenti di teologia della facoltà della Crocetta hanno ideato e realizzato una novena a Maria Ausiliatrice per la fascia degli studenti delle superiori, con testimonianze che attualizzano bene il momento storico che stiamo vivendo. Si tratta di una struttura modulare, che permette a chi guida la preghiera di mandare tutto o solo l’audio o solo la grafica, ogni giorno.
La modalità di trasmissione privilegiata è il tam-tam di Whatsapp e di Telegram.
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Sars-CoV2 e Liturgia della vita

Pubblichiamo la testimonianza di Anna Sansoni, Infettivologa c/o l’Ospedale di Siena e di Andrea Lapi Internista c/o l’Ospedale di Siena; Salesiani Cooperatori all’Oratorio La Magione di Siena pubblicata sul sito dell’Ispettoria Italia Centrale.

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Ubbidisco piano alla richiesta delicata di una testimonianza di questi due mesi e mezzo in compagnia del Coronavirus-19 e mentre inizio a scrivere, mi sale il nodo alla gola e mi si appannano gli occhi: mi sorprende questa reazione, ma la accolgo. Sono circa tre settimane che cerco di apprestarmi a scrivere; riesco a farlo solo oggi, dopo un incontro benedetto su zoom con i giovani universitari dell’Oratorio, guidati da don Emanuele per una lettura di questi nostri tempi in compagnia dei discepoli di Emmaus.
“Manda la tua luce e la tua verità, siano esse a guidarmi” Sal 42

Da infettivologa ho osservato COVID-19 da lontano, ai tempi della Cina, sospesa come tutti sul futuro: si sarebbe arrestato come SARS e MERS, sue cugine di primo grado, oppure ci avrebbe travolto come stava accadendo in Cina? Ad un certo punto della sorveglianza, mi è stato chiaro che sarebbe arrivato in Italia, e anche al nostro Ospedale di Siena. E’ stato un “avvistamento” graduale che mi ha consentito di preparare il cuore ai giorni futuri, fino all’impatto d’urto previsto ed atteso. Uno sguardo diretto ed intenso di un amico, senza dirsi parole, aveva colto, che di lì a poco ci sarei stata in mezzo. L’ultima liturgia comunitaria a cui ho potuto partecipare, la liturgia delle Ceneri, ha preceduto di poche ore il mio distacco dalla famiglia e dall’oratorio, con l’intento di proteggere le persone a cui volevo bene da un eventuale contagio che potesse dipendere da me, come è stato per molti altri sanitari. E’ stato uno strappo forte, una vera quaresima nella quaresima, un digiuno dagli affetti e dalle relazioni più feconde ed intime. L’ho accolto e consegnato al Signore. Ho scritto al mio parroco e amico “ho con me tutto ciò che mi serve, il Signore, la Parola, il vostro affetto”. Non potendomi confessare dal mio direttore spirituale né dal mio parroco a causa del lockdown ho cercato il cappellano dell’Ospedale per mettermi in Grazia di Dio. Ho portato con me poche cose a cui proprio non potevo rinunciare: tra queste la Bibbia, il mio rosario e alcuni libri di don Bosco che mi avrebbero fatto compagnia. Per il primo mese ho vissuto senza la presenza della mia famiglia, con Gesù nel cuore, la compagnia della Parola quotidiana offerta dalla Chiesa mia madre, il timone di Papa Francesco con la Messa del mattino, la guida dolce e forte del mio direttore spirituale nei momenti più duri; ho lavorato intensamente, studiato il COVID-19 durante il riposo, pregato il Signore perché mi desse il suo sguardo e solo il suo sguardo nel leggere gli eventi.

I giorni successivi ci hanno visti travolti dagli eventi. I malati arrivavano quasi sempre nel cuore della notte, con il buio, quando le energie sono più fragili e le forze più esauribili. Strappati dalle loro famiglie, non vi era possibilità di visite, non volti amici, non contatti diretti, non il conforto di confessione o Eucaristia in momenti che potevano essere gli ultimi della vita; solo la nostra mediazione, privata però di ogni tratto umano visibile, attraverso i dispositivi di protezione individuale, la voce artefatta, lo sguardo dietro una visiera spesso appannata. L’impiego di strumenti sanitari massimali, respiratori, cateteri venosi centrali, pompe, necessari per il recupero della salute violavano i loro corpi sofferenti. Le lacrime degli infermieri, angeli benedetti piegati dalla fatica e dall’oggettivo impatto emotivo, si aggiungevano allo sgomento dignitoso dei pazienti. A fine visita contattavamo ad uno ad uno i familiari, per dare notizie, per confortare clinicamente quando era prevedibile il recupero, per sostenere sempre umanamente: “non vi preoccupate, voi non potete essere qui, ma noi siamo vicini, non li lasciamo, siamo con loro, accanto, insieme, lottiamo con loro e ce la mettiamo tutta per rimandarli da voi”. A fine telefonata ci lasciavano grati. Alcune volte ho pianto: era fortissimo il dolore che vedevo intorno a me e disumana la condizione dei pazienti. Ho accolto e consegnato al Signore. Era quaresima. Nel messaggio di un consacrato condiviso dal mio collega e amico era racchiuso tutto.“Nella via dolorosa di Gesù al calvario che meditiamo in questo tempo di quaresima, una donna Veronica asciugò il volto insanguinato del Signore e un uomo Simone di Cirene lo aiutò a portare la croce . Oggi in questa dolorosa via crucis della nostra patria siete voi, cari medici, cari infermieri, OSS , volontari e addetti alla sanificazione a svolgere questo compito di consolare e di aiutare a portare questa pesante croce. Cristo e la sua madre addolorata ve ne sono grati e soffrono insieme a voi. Non vi sentite soli in questa vicenda misteriosa che cambierà il mondo. Quando vi sentirete scoraggiati e oppressi da questo peso, saranno loro ad asciugarvi il sudore e a riprendere la croce. Gesù Eucaristia presente nella cappella del vostro ospedale è la fonte della vostra forza e del vostro coraggio. Vi affido al cuore immacolato di Maria perché vi protegga e vi custodisca voi e i vostri cari” (1). Ancora la consolazione da parte di un uomo di Dio e la conferma del cuore che non ci serviva niente altro: solo rimanere abbracciati all’Eucaristia, saldi nel Signore, fermi nella Speranza di Lui nostra fortezza.

Una mattina in reparto ho trovato tra i ricoverati in insufficienza respiratoria, un mio amico, uomo di grande fede, già provato dalla malattia prima del COVID-19. Non avevo ancora riflettuto sulla possibilità di dover accompagnare un amico in questo percorso e temevo di perderlo. Se peggiorava ancora, nessuno lo avrebbe intubato, in considerazione delle sue condizioni di base: dovetti dirlo alla famiglia con grande dolore. Tutte le mattine si faceva strada in me il desiderio forte di portargli almeno il conforto dell’Eucaristia, ma io non sono ministro dell’Eucaristia, lui era in Insufficienza respiratoria e i cappellani non potevano entrare. Spessissimo durante la giornata pregavo così: “Signore, se vuoi entrare qui dentro, devi farcelo capire”.

“Ecco, faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia. Non ve ne accorgete?” Is 43,19

Ha cominciato a farsi strada in me il pensiero, che quello che all’inizio poteva sembrare solo un pericolo, un dolore, un’immensa fatica, era forse un privilegio assoluto agli occhi del Signore e ho sentito la leggerezza di essere grata.

Dopo un mese di lavoro, i malati aumentavano ed occorreva reclutare altri specialisti per costruire un team di lavoro multidisciplinare. Andrea, mio marito, internista, è sceso a lavorare in COVID. E’ stato per me il momento più difficile, avrei voluto proteggerlo, difenderlo, tutelarlo. “Stolta e tarda di cuore nel credere”….dopo 48 ore di lotta interiore ho accolto e consegnato. Si è allontanato anche lui dal resto della famiglia e mi ha raggiunto. E’ iniziato un periodo di lavoro faticosissimo ma sottoposto ad un ritmo coniugale sacro, calmo, stabile, dolce e sicuro, scandito dall’Eucaristia, dalla meditazione della Parola, dal Buongiorno col Vangelo, la Novena a Maria Ausiliatrice….tutto ancora più bello e forte, con la candela accesa della preghiera e della speranza. Mai stato così bello e dolce. Intanto i nostri figli, ormai giovani-adulti, tra lavoro e studio facevano da fortezza alla nonna di 94 anni, sollevandoci dalla preoccupazione per le cure ai grandi anziani di casa, portandoci cene da asporto, simbolo della cura nella fatica. La percezione era che ognuno stesse cercando di svolgere con docilità e amore il proprio compito. Eravamo grati.

Continuavo a pregare perché almeno per Pasqua i pazienti COVID che lo desideravano potessero ricevere l’Eucaristia. “Mio Signore e mio Dio” Gv 20,28 . Essere raggiunti dal Signore, dove la legge non consente neppure ai familiari di entrare, sarebbe stata la consolazione più grande, avrebbe dato al loro cuore la certezza di essere amati dal Signore senza misura, sarebbe stata Pasqua per primi per loro. Il sabato Santo sono stata contattata da una collega Anestesista, Ministro Straordinario dell’Eucarestia. Ci siamo organizzate rapidamente e con l’aiuto dei cappellani dell’Ospedale e del mio amico e collega che era di turno, nel giorno di Pasqua il Signore ha raggiunto i malati in reparto COVID. E’ stata una consolazione grande, una carezza e una gioia immensa, manifestata con gratitudine dai paziente stessi. Ed è un fatto che quando il Signore vuole una cosa, quella cosa si compie, attraverso mani e volti che “ragionano come Giovanni, con l’intelligenza del cuore” (2) Il mio amico e collega ha scritto il giorno di Pasqua: “Oggi in corsia abbiamo avuto la possibilità di “prescrivere” Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo , unica speranza e salvezza dei nostri cuori, della nostra anima e di ogni malattia. Grazie a voi, con stima e riconoscenza”. Un altro amico e collega Rianimatore si era affiancato al percorso, eravamo in quattro. Alcuni giorni dopo il nostro Pastore, Arcivescovo Augusto Paolo Lojudice, ci incontrava, conferendoci in un clima di familiarità e preghiera, il mandato “ad Actum” di Ministri Straordinari dell’Eucaristia, perché in questa pandemia, non abbia mai a mancare ai più fragili il vero Pane di vita.

Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime” 1 Pt . Il nostro cuore finalmente riposava e non era più una intuizione, ma una certezza dell’anima, che la presenza in reparto COVID è un privilegio.

Non è qui. E’ risorto”Mt 28,6

Col passare dei giorni la tensione si è allentata, l’organizzazione è diventata sempre più solida, le condizioni di molti malati si sono stabilizzate, abbiamo potuto rimandare alle loro famiglie molti pazienti. Il momento della dimissione è stato spesso un atto di amore reciproco bagnato dalle lacrime della gioia e della gratitudine. Non abbiamo mai potuto abbracciarci ma avevamo raggiunto l’unità dei cuori.

Anche il mio amico, che avevo temuto di perdere, è stato dimesso da Andrea in tempo di Pasqua. Molta Chiesa di Siena aveva pregato per lui. Questo un suo pensiero: “Il diluvio di preghiera che si è rovesciato su di me , mi ha tratto fuori dalla secca del torrente e spinto verso la foce della salvezza. Il vento dello Spirito mescolato alle vostre preghiere mi ha allontanato dal centro della bonaccia. L’amore che reggeva il timone mi ha condotto al porto della mia sicurezza. La comunione dei Santi ha innalzato con voi un coro alla potenza, misericordia, bontà di Dio per me che sono un povero peccatore. Ma chi capirà mai quanto la misericordia di Dio supera i nostri pensieri?”. Il Signore gli si è fatto compagno di viaggio e non lo ha mai lasciato solo.

“Vicino o lontano io penso sempre a voi” Don Bosco 10 maggio 1884

In questo tempo ho vissuto in un mondo parallelo, ma “vicino o lontano ho pensato sempre a voi miei cari giovani” anche se solo raramente e quasi mai in tempo reale ho potuto comunicarvelo. Non vi ho pensato per le attività che non potevamo fare, per la porta temporaneamente chiusa dell’oratorio o per le tante occasioni di vita pastorale che apparentemente stavamo perdendo. In questo paradossalmente sentivo di poter riposare: lo Spirito stava suscitando una fioritura di iniziative di preghiera ed eventi pastorali inimmaginabili, bellissimi con una creatività che solo l’amore sa generare. La vostra energia e il vostro cuore sono stati esplosivi anche in tempo di pandemia così come la vostra docilità agli eventi è stata rassicurante. Questi tempi, sono una prova durissima ed estrema per l’umanità e per il mondo, per le famiglie e per ognuno di noi seppur in misura diversa, ma non sono tempi di morte spirituale. Mano a mano che vedevo fiorire in COVID cose nuove, intuivo che lo stesso stava accadendo all’aria aperta, sotto la guida del Signore; bastava desiderarlo, cercarlo, volerlo e chiedere occhi in grado di vedere le novità che lo Spirito ci stava preparando.

Vi ho pensato invece, con maternità spirituale, sui “fondamentali della vita” chiedendomi se vi avevamo passato le coordinate con fedeltà o vi avevamo tradito, edulcorando il messaggio. Mi sono chiesta se ci siamo fatti le domande giuste e se abbiamo preparato bene il bagaglio a mano per il viaggio, mettendo dentro tutto ciò che ci serve per curare le ferite e affrontare un percorso di perdite che, prima o poi nella vita ci raggiunge e non ci permette la fuga. Mi sono chiesta se abbiamo chiaro in pratica, qual è la nostra destinazione. L’impatto durissimo della pandemia, ci viene in aiuto per prendere coscienza di tutto questo e proprio su questo don Bosco non si lascia vincere in chiarezza e non lascia spazio al “rispetto umano”. Vorrei che insieme cercassimo il senso profondo di quello che stiamo vivendo e che con il Signore per compagno di viaggio si aprissero i nostri occhi e ricolmi di gioia tutta salesiana, facessimo ritorno verso Gerusalemme con Gesù nel cuore.

Quest’anno credo che non sarà possibile fare il campo in montagna a Les Combes, in Valle d’Aosta, come avevamo programmato, ma ugualmente sogno un campo in cui possiamo cantare insieme la bellezza della vita e del Paradiso.

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