Piemonte e Valle D’Aosta, il racconto delle esperienze estive missionarie

Si sono concluse le esperienze estive missionarie dei gruppi guidati dall‘Animazione Missionaria Salesiana della Circoscrizione Piemonte e Valle D’Aosta che, nel mese di agosto 2019, hanno svolto varie attività in tre realtà bisognose collocate in Nigeria – Romania – Benin. I gruppi composti da giovani provenienti da case salesiane o realtà della diocesi piemontese, hanno raccolto materiali fotografici e testuali, dando vita ad un “diario di bordo”: si trova tutto cliccando sul bottone

Prime Professioni Religiose – Colle Don Bosco 8 settembre 2019

“Fate quello che vi dirà”

(Gv 2,5)
Basilica del Colle Don Bosco 8 settembre 2019 – ore 15.00.

Riconoscenti al Padre, la Società di San Francesco di Sales e la Comunità del Noviziato annunciano con gioia le Prime Professioni Religiose:

  • Giovanni Maria Andreetta (INE)
  • Fabio Aroldi (ILE)
  • Matteo Maria Aynaudi (ICP)
  • Martin Böing (GER)
  • Melad Elia (GER)
  • Giona Filippo Favrin (ILE)
  • Gilles Françoise-Boieru (FRB)
  • Marco Domenico Gobbato (INE)
  • Fitwi Carlo Maria Grilli Colombo (ILE)
  • Vincent Kergourlay (FRB)
  • Tomas Kivita (ICP)
  • Alessio Moretto (ICP)
  • Alban Pelletier (FRB)
  • Leopoldo Matteo Pinto (IRL)
  • Roberto Pizzulo (ILE)
  • Marco Giuseppe Rossi (ILE)
  • Nicolas Schreiber (FRB)
  • Cătălin Petruț Sociu (INE)

Evento a calendario

150esimo anniversario della nascita di Don Pietro Ricaldone

In occasione del 150esimo anniversario della nascita di Don Pietro Ricaldone, IV Successore di Don Bosco, il paese di Mirabello Monferratoproprio dove nacque don Pietro – si sta attivando per onorare il salesiano con manifestazioni che si svilupperanno lungo tutto il 2020. Sarà infatti nella giornata di lunedì 27 luglio 2020 il giorno effettivo del compimento dei 150 anni. (27 luglio 1870 – 27 luglio 2020).

A seguire il Comunicato Stampa a cura del comune di Mirabello Monferrato.

Il 27 luglio 1870 nasceva Don Pietro Ricaldone, IV Successore di Don Bosco.

Mirabello Monferrato, il paese dove Don Pietro è nato, si sta attivando a ricordarne i 150 della nascita, il 27 luglio 2020. A partire dal 27 luglio di questo anno la comunità di Mirabello si appresta a onorare l’illustre concittadino con una serie di manifestazioni che si svilupperanno lungo il 2020.

Le iniziative si ispirano alla poliedrica personalità e attività di Don Ricaldone: grande figlio di Don Bosco e come lui Educatore e apostolo della gioventù, ha dato impulso alla spiritualità e alla formazione della Famiglia salesiana, alle Missioni che si sono diffuse nei vari continenti, alla organizzazione e progettazione degli Oratori, alla crescita della Formazione Professionale nei vari settori, soprattutto quelle delle Scuole agricole (celebri le varie esposizioni che ha organizzato e a cui partecipavano i Centri delle nazioni dove erano presenti i figli di Don Bosco). Ha curato lo sviluppo della cultura e della Scuola salesiana, attivando l’Istituto Superiore del PAS (Pontificio Ateneo salesiano), ha dato vita al Centro catechistico salesiano e all’Editrice LDC, ha dato valore ai luoghi legati a Don Bosco, in particolare il Colle Don Bosco e la casa Madre di Valdocco. Insieme al suo predecessore, il Beato Filippo Rinaldi (di Lu Monferrato, 5 Km da Mirabello), hanno dato vita ad una provincia salesiana che curasse in modo particolare la formazione di vocazioni missionarie avviate al sacerdozio (Ivrea, Mirabello, Penango, Bagnolo Piemonte) o alla vita religiosa laicale, come i Coadiutori (Istituto Bernardi Semeria del Colle Don Bosco, Istituto Rebaudengo di Torino, Istituto Agrario di Cumiana)… Insomma una multiforme attività di progettazioni e realizzazioni che hanno portato ad una diffusione meravigliosa del carisma apostolico di Don Bosco.

Il paese di Mirabello ha sempre mantenuto vivo il ricordo di questo suo figlio, non solo dedicandogli una piazza e un monumento in luogo significativo, ma collaborando generosamente con la Casa salesiana che lo stesso Don Bosco aveva aperto nel paese (primo direttore fu il Beato Don Rua, primo successore di Don Bosco), e soprattutto regalando alla Famiglia salesiana oltre 35 FMA e 30 SDB.

La cittadinanza tutta di Mirabello e dei paesi vicini del Monferrato casalese condivide volentieri questa sua ricorrenza con la Famiglia Salesiana. Mette a disposizione i luoghi più significativi del suo legame con Don Pietro: la casa natale, la Chiesa dove è stato battezzato (dedicata a San Vincenzo Ferrer, e di cui si celebrano i 400 anni della sua consacrazione), la cappella dell’Istituto salesiano (tuttora utilizzata per le celebrazioni), la cordialità accogliente della gente. Da Mirabello è possibile raggiungere in dieci minuti di auto il paese di Lu che mantiene viva la memoria del Beato Filippo Rinaldi e di Madre Angela Vallese, pioniera della Missioni delle FMA, e di oltre cento vocazioni SDB-FMA, in gran parte missionarie.

Le varie realtà associative del paese si stanno attivando per offrire l’opportunità del messaggio di fede e di generosità e di valori che hanno ispirato Don Pietro Ricaldone nel diffondere il carisma di San Giovanni Bosco. E con il messaggio anche la possibilità di gustare i prodotti del nostro Monferrato.

Per saperne di più:

Sito ufficiale del Comune
Pagina Facebook
Per visite o informazioni

Piemonte, 140 anni della presenza salesiana a San Benigno: quando Don Bosco cercava un posto per il noviziato

Il 5 luglio la Comunità Salesiana di San Benigno celebra i 140 anni della presenza in Canavese. Come Don Bosco sia arrivato in questo piccolo paese a venti chilometri da Torino è una storia che racconta Marco Notario su “Il risveglio popolare” del 4 luglio.

La motivazione della scelta del nostro paesello è stata in partenza curiosa e financo (se vogliamo, nello stile salesiano) umoristica. Tutto nacque da un problema che don Bosco aveva a Valdocco: l’alta presenza di ascritti e professi, cosicché capitava che “taluno manifestasse qualche preoccupazione per un numero sì grande di vesti nere in un medesimo luogo” (Memorie Biografiche , XIII, p. 92). Insomma, era necessario trovare una sede separata, magari in campagna, per tanti “cornaiassi” (termine piuttosto in uso da noi nei riguardi di novizi e seminaristi in talare). L’attenzione cadde su San Benigno. Chi lo desidera può leggersi il capitolo 13 del volume XIV delle ” Memorie Biografiche “.

Sponsor entusiasta fu l’allora parroco cavalier don Antonio Benone, che voleva a tutti i costi don Bosco nella sua parrocchia, e per questo aveva incominciato a fare alcuni piccoli restauri nel palazzo cardinalizio che non era in buone condizioni. Per la verità, c’era ancora di mezzo… un vescovo di Ivrea, monsignor Luigi Moreno. Monsignor Moreno oggi è in odore di santità, ma a quei tempi, chissà perché, ce l’aveva con Don Bosco e si oppose: ” Mai e poi mai permetterò a don Bosco di stabilirsi nella mia diocesi “. Cose di santi. Ciò nonostante don Benone continuò a tessere la sua tela ed ebbe una fortuna: vedere il palazzo cardinalizio dichiarato nel 1877 (Regio Decreto firmato da Vittorio Emanuele II e dal ministro Coppino) monumento nazionale. Il demanio poté cederlo in uso e custodia al Municipio e su questo puntò don Benone per procedere.

Intanto nel 1878 diventava vescovo monsignor Davide Riccardi, altro sant’uomo che però su don Bosco la vedeva diversamente dal predecessore e permise che i Salesiani si prendessero ” pure tutte le facoltà che possono accordarsi da un vescovo cattolico ” (e i Salesiani, a dire il vero, dal dito si presero la mano e il braccio, visto il profluvio di case che poi essi fondarono in Canavese). Il Comune di San Benigno, con delibera del 24 novembre 1878, concedeva il palazzo in subcessione a Don Bosco. La subcessione avvenne tra l’altro – dietro consiglio di quel mangiapreti (ma amico di don Bosco) come il ministro Urbano Rattazzi -, che fece superare le difficoltà burocratiche stabilendo un affitto di lire… 1! Però il sindaco, cav. Giovanni Bobbio, che non era uno sprovveduto, in cambio pose la condizione ” sine qua non ” di un utilizzo di pubblica utilità per il paese, fra cui scuole gratis per i ” giovani comunisti ” (niente di politico: si intendevano i “giovani del Comune”!). Nemmeno don Bosco però era uno sprovveduto e riuscì a inserire l’aggiunta di poter ospitarvi pure il noviziato (e il primo maestro ne sarà don Giulio Barberis). I salesiani arrivarono il 5 luglio 1879.

Ecco il racconto tratto dalle Memorie Biografiche (Vol. XIV, p. 335): “I primi abitatori della casa di San Benigno furono i chierici ascritti dell’anno scolastico 1878-79. Terminati i loro esami al 3 di luglio, mossero il giorno 5 da Torino in numero di cinquanta, facendo a piedi il viaggio (pare addirittura che abbiano guadato a piedi il fiume Malone, ndr). Fino alla nuova residenza per trascorrervi le vacanze estive. Furono accolti festosamente dalle autorità e dalla popolazione”. Finite le vacanze si decise che… i novizi vi rimanessero per l’anno 1879/1880 per l’anno di prova. Don Bosco stesso fu a San Benigno la prima volta il 18 ottobre 1879. E così nacque l’opera salesiana a San Benigno e in Canavese.

Festeggiamenti Colle don Bosco – 15 e 16 agosto

In data 15 e 16 agosto 2019, al Colle don Bosco ed a Castelnuovo don Bosco, avranno luogo i festeggiamenti per l’Assunzione della Beata Vergine Maria ed il compleanno di San Giovanni Bosco. Ecco qui di seguito il calendario degli eventi per i due giorni:

Giovedì 15 agosto – Assunzione della Beata Vergine Maria:

  • Ore 11.00 Santa Messa;
  • Presiede don Francesco Cereda, Vicario del Rettor Maggiore;
  • Presso la chiesa Madonna del Castello – Castelnuovo don Bosco.

Con affidamento dei nostri giovani.

Venerdì 16 agosto – Compleanno di San Giovanni Bosco:

  • Ore 11.00 Santa Messa;
  • Presiede don Francesco Cereda, Vicario del Rettor Maggiore;
  • Presso la Basilica di San Giovanni Bosco  Colle don Bosco.

Con la presenza dei novizi del Colle don Bosco e di tutti i prenovizi di Europa.

 

La storia di Fatima, giovane figlia di migranti e della sua rinascita grazie all’incontro con Don Bosco

Su “La voce e il tempo” del 30/06/2019 viene riportata la storia di Fatima, giovane musulmana studentessa del CNOS Fap di Valdocco, raccontata da un’insegnante. Una storia di migrazione, di accoglienza, di difficile integrazione e poi, con la scuola, di rinascita.

“La nostra vita è come un viaggio, una strada ora in salita, ora in discesa, tortuosa o dritta”. È il titolo di un tema assegnato a Fatima S. durante questo anno scolastico e non poteva essere più calzante, perché la sua vita è un viaggio e non certo turistico…

Ho incontrato Fatima presso una biblioteca civica torinese, dove svolgo servizio di volontariato per insegnare l’italiano agli stranieri e mentre le davo una mano nello studio ho conosciuto la sua tormentata storia di figlia di migranti. Il primo viaggio l’ha portata a Torino dal Marocco, suo paese di origine, dove ha frequentato per due anni la scuola elementare. Poi nuovamente in Marocco, dove è rimasta per sette anni con il rammarico di lasciare Torino, la scuola, i compagni e le maestre con cui si trovava bene, cosa facile quando si è bambini . Nel 2017 un terzo viaggio, ancora per motivi di lavoro del padre, l’ha riportata a Torino: tutto più è stato difficile, una strada in salita e piena di sassi. Si iscrive presso un istituto tecnico solo con una connazionale sua vicina di casa (se casa si può definire una stanza a piano terra, ex bottega, senza riscaldamento e con i servizi nel cortile, dove Fatima viveva con la sua numerosa famiglia). Presto si è resa conto che quella scuola scelta era troppo difficile a partire dalla lingua e anche farsi degli amici era diventato difficile. Era isolata, alcuni compagni le dicevano di tornarsene al suo paese: si sentiva morire dentro, senza più fiducia in se stessa, perdente. Poi l’incontro in biblioteca dove ho capito che il problema non era solo la lingua ma la ricostruzione di un sé smarrito ed insieme abbiamo iniziato un percorso di conoscenza.

La solidarietà e l’empatia ci aiutano ad allargare i nostri orizzonti; confrontarci con lingue e  culture nuove, ci cambia interiormente ed è proprio quello che mi è capitato con Fatima. Ho iniziato ad ascoltarla e lei si è sentita accolta, è riuscita a dire ciò che provava e parlare delle sue paure. Insieme abbiamo deciso di scegliere una scuola più adatta a lei ed Fatima si è iscritta ad una corso di formazione professionale salesiana presso il Cnos-Fap di Valdocco di Torino. E a Fatima si è aperto un mondo. Lo stile educativo di don Bosco è stato per lei, ragazza musulmana, terapeutico sotto tutti i punti di vista. Ha iniziato il primo anno con speranze e paure, poi le speranze sono diventate certezze e la paura è scomparsa. Ha conosciuto professori che hanno saputo accoglierla, guardando oltre le sue reali difficoltà e quello di dare conoscenze, ma introdurre cambiamenti migliorativi, attraverso la complessità, come attenzione a tutto l’essere umano e l’ascolto sensibile, basato sull’empatia per ottenere il cambiamento.

Fatima si è impegnata molto nel cercare di migliorarsi ed ha raggiunto nei giorni scorsi il traguardo della qualifica. Ora la sua strada è più facile, ci sono meno salite ed ha imparato a guardare al futuro con fiducia ed anch’io sono cresciuta con lei.

Rosarina Spolettini, insegnante

Inaugurazione Housing Sociale San Salvario

Oggi, mercoledì 26 giugno 2019, si è svolta l’inaugurazione dell’Housing Sociale – “San Salvario house – Una angolo a colori in San Salvario … profumi e sapori di casa” – della Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo di Torino, in Via Saluzzo 25/bis (TO).

Publiée par Salesiani Piemonte, Valle d'Aosta e Lituania sur Mercredi 26 juin 2019

L’evento ha avuto inizio alle ore 12.00 con i saluti di benvenuto da parte del Direttore dell’opera salesiana San Giovanni Evangelista , don Luigi Testa:

Oggi inauguriamo una nuova realtà per cui Don Bosco è sempre più presente vicino a noi.

Successivamente, don Mauro Mergola, Parroco salesiano della realtà,  ha presentato il progetto su cui poggia l’opera dell’Housing Sociale:

Come Don Bosco, anche noi cerchiamo di metterci in ascolto dei giovani, delle loro situazioni, e insieme a loro cerchiamo di dare delle risposte, perché nessun ragazzo si senta escluso.

Dopo la presentazione del progetto, è intervenuta la dott.ssa Francesca Vallarino Gancia, Componente del Consiglio Generale della Compagnia di San Paolo, in merito al programma “Housing” della Compagnia:

La realizzazione di questa iniziativa è la manifestazione della sensibilità e dell’attenzione della Compagnia ai bisogni sociali emergenti, soprattutto nel nostro territorio, e della volontà di dar vita ad uno spazio in cui i giovani, italiani e stranieri, possano sperimentare la convivenza acquisendo una autonomia nella gestione di uno spazio di casa e nella capacità di coabitazione seppur temporanea, per un periodo di 18 mesi.

La Compagnia crede molto a questi progetti che hanno un valore comunitario.

In seguito la parola è passata a Sonia Schellino, Assessore alla Salute, Politiche Sociali ed Abitative della Città di Torino, portando anche i saluti da parte del Sindaco e della Giunta Comunale di Torino:

Sempre più persone, soprattutto giovani e persone in difficoltà, sono chiamate a transitare attraverso spazi temporanei: nelle situazioni più sfortunate, il passaggio è in dormitorio, nelle situazioni più strutturare è l’Housing Sociale, la comunità, il luogo dove impari a condividere e impari a crescere. A questi spazi dobbiamo allora dare un’attenzione particolare.

Oggi dobbiamo ringraziare per questo importante lavoro che è stato fatto per i giovani.

A seguire, sono intervenuti don Enrico Stasi, Ispettore dei salesiani di Piemonte, Valle d’Aosta e Lituania e Pierluigi Dovis, Direttore Caritas Diocesana di Torino per i saluti ai partecipanti all’evento:

Questo è un progetto della Chiesa di Torino di cui i Salesiani sono parte viva, una Chiesa che entra in alleanza con tutti coloro che vogliono il bene della gente e dei giovani. Questo progetto è per i giovani.  (Don Enrico Stasi)

L’augurio che faccio all’Housing all’inizio della sua attività e che diventi e sia sempre una “parola di verità” in mezzo alle troppe parole svianti che vengono dette sugli uomini e sulle donne, sui poveri e sugli ultimi e su quelli che sono ritenuti da molti al di fuori dell’attenzione prioritaria che dobbiamo avere (Pierluigi Dovis).

Momento celebrativo dell’evento ha riguardato la consegna delle chiavi dell’Housing Sociale ai ragazzi ospitati della casa, a cura del Vescovo di Torino, Mons. Cesare Nosiglia e di don Mauro Mergola, il quale ha presentato ciascun ragazzo coinvolto nel progetto.
È poi seguita la consegna dei portachiavi dell’Housing Sociale ai partecipanti all’evento, a cura dei ragazzi ospitati dalla casa: un oggetto simbolico dal titolo “Questa è la mia casa“.

L’inaugurazione è proseguita con la presentazione di una “icona evangelica” dedicata all’evento e riportante un brano del Vangelo di Luca (19,1-6) in 4 lingue, letto da una volontaria attiva nel progetto dell’Housing Sociale.

Subito dopo la lettura del Vangelo, ha preso la parola il Vescovo di Torino, Mons. Cesare Nosiglia, riprendendo le parole di Papa Francesco rivolte ai giovani durante la Giornata Mondiale di Panama:

“Voi giovani siete l’adesso di Dio, siete l’oggi di Dio”

Dopodiché l’intervento del Vescovo è proseguito rivolgendosi ai ragazzi coinvolti nel progetto dell’Housing Sociale:

Bisogna veramente che questa casa la consideriate, cari giovani, la vostra casa, gestendola come voi sentite nel cuore. La dovete sentire come vostra, dando tutto l’apporto necessario perché sia una casa di pace, di serenità, di accoglienza, di dialogo, di incontro, di rispetto reciproco, di aiuto gli uni con gli altri. Non consideratevi ospiti ma padroni.

La parte finale dell’evento ha visto lo svelamento della Statua della Madonna e la processione all’interno dell’Housing con l’apertura della porta della casa da parte del Vescovo, Mons. Cesare Nosiglia e la benedizione dei locali.

Infine, il rinfresco sulla terrazza dell’Housing preparato e offerto dai Volontari della Parrocchia, con la possibilità di visitare i locali della struttura.

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Scopri il progetto

Social housing, a Torino si inaugura “San Salvario House…profumi e sapori di casa” per dare uno spazio di autonomia ai giovani

Mercoledì 26 giugno, alle ore 12, a Torino ci sarà l’inaugurazione dell’Housing Sociale – “San Salvario house – Un angolo a colori in San Salvario … profumi e sapori di casa” – della Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo di Torino.  Interverranno il Vescovo di Torino, Mons. Cesare Nosiglia (94º arcivescovo metropolita di Torino)Don Mauro Mergola (incaricato salesiano della struttura)Assessore Sonia Schellino (Segreteria Assessore alla Salute, Politiche Sociali ed Abitative) e la dott.ssa Francesca Vallarino Gancia (componente del Consiglio Generale della Compagnia di San Paolo). 

Nato attraverso un bando della Compagnia di San Paolo – Programma Housing – al quale ha partecipato la parrocchia Santi Pietro e Paolo di Torino, ottenendo cosi un contributo per avviare i lavori, il progetto è stato anche sostenuto da un contributo della CEI – Conferenza Episcopale Italiana – e di Fondazione Magnetto.

 “San Salvario House – Un angolo a colori in San Salvario … profumi e sapori di casa“ prevede il recupero e restauro della casa canonica della Parrocchia Santi Pietro e Paolo, situata in via Saluzzo nel quartiere di San Salvario, a pochi passi dal centro della città di Torino. La zona è  caratterizzata da un tessuto sociale e culturale molto vario, fonte di contatto e arricchimento reciproco tra culture diverse, oltre ad essere nota soprattutto per la movida notturna che in essa si svolge.

Il Social Housing nasce dalla volontà di dar vita ad uno spazio in cui giovani italiani e stranieri tra i 18 e i 39 anni, studenti, lavoratori e neo maggiorenni usciti da percorsi di accoglienza per minori stranieri non accompagnati, possano sperimentare la vita “di convivenza”, acquisendo maggiore autonomia nella gestione di uno spazio “di casa”, e (con l’aiuto di figure qualificate) acquisire tutte le condizioni necessarie per far si che ogni giovane ospite possa rendersi autonomo per una vita all’interno della società.

La progettazione combinata è intesa non solo in un senso “dualistico” ovvero solo tra il singolo ospite e il coordinatore educativo, ma altresì in un senso “comunitario”, ovvero attraverso una modalità di confronto in piccoli gruppi. Tale metodo di lavoro permette ai destinatari, ospiti dell’housing, da un lato di acquisire una maggiore capacità di collaborazione nell’affrontare le sfide di un ambiente domestico condiviso, dall’altro di essere protagonisti della propria maturazione personale all’interno della società.

 

Valdocco, iniziati i lavori di restauro delle “Camerette di Don Bosco”

Il 20 maggio sono iniziati i lavori di restauro delle “Camerette di Don Bosco” e della Cappella Pinardi a Torino, gli ambienti in cui visse san Giovanni Bosco a Valdocco. La ristrutturazione durerà fino alla prima metà del 2020. Durante i lavori gli operai hanno scoperto un seminterrato realizzato da Don Bosco insieme ai salesiani e ai giovani.

Le “Camerette di Don Bosco” sono state chiuse a dicembre per permettere la preparazione dei lavori di restauro di uno dei luoghi simbolo per la Famiglia Salesiana. Don Bosco stesso raccontò il suo trasloco in quel luogo attraverso una breve cronaca: “In quel tempo si resero vacanti due camere in casa Pinardi e queste si pigionarono per abitazione mia e di mia madre. “Madre – le dissi un giorno – io dovrei andar ad abitare in Valdocco, ma a motivo delle persone che occupano quella casa non posso prendere meco altra persona che voi. Ella capì la forza delle mie parole e soggiunse tosto: “Se ti pare tal cosa piacere al Signore, io sono pronta a partire in sul momento” (Memorie dell’Oratorio, dal 1815 al 1835).

 Fino al 1929, anno della beatificazione del Padre e Maestro dei Giovani, rimasero quasi intatte. Poi, nell’anno del Giubileo del 2000, venne effettuato un riordino del complesso, rendendolo come è stato visibile fino ad oggi, aggiungendo monitor esplicativi al piano inferiore e altri dettagli. Ora questi ambienti vengono trasformati un’altra volta, in un progetto che prevede di restituire ai pellegrini e visitatori di Valdocco l’intera area della Casa Pinardi, che fino ad ora ospitava gli uffici ispettoriali della Circoscrizione Speciale Piemonte-Valle d’Aosta – i quali vengono per questo trasferiti ad altre sedi, sempre dentro il complesso di Valdocco. La valorizzazione e il recupero di questi spazi così com’erano un tempo è un progetto fortemente voluto dal Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime, e s’inserisce nel più ampio programma di tutela e promozione dei “Luoghi Salesiani” a Torino-Valdocco e al Colle Don Bosco.

“Dietro le sbarre ho imparato a non giudicare”: l’esperienza di don Domenico Ricca come cappellano del carcere minorile di Torino

Si riporta la notizia pubblicata sul Corriere della Sera di lunedì 27 maggio 2019 redatta da Dario Basile, in merito all’esperienza di don Domenico Ricca da 40 anni Cappellano del carcere minorile di Torino.

È diventato il cappellano del carcere minorile di Torino esattamente quarant’anni fa e, da dietro le sbarre, ha visto la città cambiare. Don Domenico Ricca, per tutti Meco, ha uno sguardo severo che si scioglie in un sorriso gentile. Oggi, settantaduenne, continua a dedicare la sua vita ai ragazzi reclusi.

Che ricordo ha del suo primo ingresso nel carcere nel 1979?
La prima impressione fu traumatica. Il direttore mi accolse dicendomi: caro reverendo io non insegnerò mai a lei come si fa il cappellano e lei non mi insegnerà come si fa il direttore. Gli interni del penitenziario erano veramente brutti, era una struttura molto simile a quella degli adulti. Mi trovai davanti ottanta detenuti, tutti maschi.

Chi erano i ragazzi incarcerati?
Una ventina provenivano dai campi nomadi della città, gli altri erano tutti italiani. Principalmente ragazzi di periferia, provenivano da Vallette, Falchera e Mirafiori.

Perché i ragazzi finiscono in carcere?
In quegli anni c’era ancora molta povertà, degrado, mancanza di cultura. Io, da chierico, passavo davanti al carcere Le Nuove e vedevo i parenti che facevano la fila per le visite. Erano persone povere, sofferenti. Se tu oggi vai davanti al Ferrante, in quei due giorni alla settimana in cui ci sono i colloqui, il panorama non è molto cambiato. Il carcere è la discarica. Lì vanno a finire quelli che non hanno avuto risorse o che non sono stati in grado di saperle cogliere. Perché gli mancano gli strumenti. Io prima di entrare al Ferrante, insegnavo in una scuola di periferia e molte mattine andavo a svegliare i ragazzi per portarmeli a scuola, perché nessuno badava a loro.

Qual è la responsabilità dei genitori?
Io vado sempre cauto nel dare delle responsabilità ai genitori perché so quanto sia faticoso il mestiere di allevare i figli, ieri come oggi. Forse si può dire che il problema è l’incapacità di capire cosa stia cambiando nei loro ragazzi. Quello che i genitori non fanno mai abbastanza è indagare la vita relazionale dei loro figli, che incide tantissimo. Ma questo vale anche per i ceti medi. Gli omicidi in ambito famigliare avvengono in quegli ambienti. A volte i ragazzi non si fan seguire, a volte il rapporto si è rotto fin dall’infanzia. Il papà di un ragazzo omicida mi ha chiesto: padre dove abbiamo sbagliato? Io non gli ho risposto niente, l’ho abbracciato e abbiamo pianto insieme.

Lei è stato vicino ad Erika ed Omar, protagonisti di un fatto di cronaca che ha scosso l’opinione pubblica
In quel periodo la gente mi chiedeva se quei due ragazzi erano normali. Perché volevano sentirsi dire che non erano normali, così i loro figli erano salvi. Ma in queste cose distinguere la normalità dall’anormalità è un assurdo, perché quei due ragazzi potevano essere i nostri figli. Quella vicenda mi ha insegnato che non bisogna mai giudicare.

Come ha visto cambiare la città da dentro il carcere?
Quando sono arrivato, il territorio soffriva ancora molto. Erano anche anni di grandi proteste. Ricordo i picchetti davanti alla Fiat, la marcia dei quarantamila. Poi alla fine degli anni Ottanta la riforma del Codice penale ha letteralmente svuotato il carcere, siamo arrivati ad avere un solo detenuto. Nel decennio successivo, gli arrivi erano legati principalmente al dilagare della droga. Sono anni di reati molto gravi, come gli omicidi. In quel periodo si sentiva forte la collaborazione del territorio. C’erano diversi artigiani che assumevano questi ragazzi per fargli fare dei tirocini, la gente era abituata a venire a vedere i tornei in carcere, a partecipare. Poi il cambiamento più grosso arriva negli anni Duemila. Con l’immigrazione sono arrivati i ragazzi stranieri e la cittadinanza ha incominciato a distaccarsi. Come è cambiata la città così sono cambiati i ragazzi: rispetto a ieri, oggi sono molto meno violenti. Io dico sempre che i giovani del Ferrante non sono tanto diversi da quelli che sono fuori.

Chi sono oggi i ragazzi reclusi?
In questo momento abbiamo una quarantina di ragazzi. Uno su tre è italiano. Gli altri sono stranieri, anche comunitari. Gli immigrati sono più esposti perché hanno meno risorse, meno tutele, meno garanzie di diritti.

Servirebbe lo ius soli?
Avessimo lo ius soli potremmo lavorare più facilmente sulla prevenzione.

Non deve essere semplice fare il cappellano tra i ragazzi musulmani.
All’inizio alle mie celebrazioni venivano solo i cattolici, adesso partecipano un po’ tutti. Anche se mi sono battuto e ho ottenuto che avessimo un imam una volta ogni quindici giorni.

Il carcere minorile andrebbe superato?
Io sono dell’idea che per i reati come i furti, dove non ci sono violenze sulle persone, dovrebbe essere totalmente superato. E per gli altri reati bisognerebbe pensare di più alla giustizia riparativa. Ti accorgi che certi sono proprio piccoli, ma che cosa ci stanno a fare là? Invece per alcuni, paradossalmente, è un momento di pace, dove si fermano un po’. I ragazzi hanno una grandissima adattabilità e così si abituano anche al carcere. È la loro salvezza.