“Il sistema educativo di Don Bosco oggi interviene contro le dipendenze, soprattutto dei minori”: la testimonianza della comunità Soggiorno Proposta

“Presentiamo la realtà di Soggiorno Proposta, comunità educativa a Ortona. Forti dell’esperienza passata di lavoro contro le dipendenze dell’area adriatica, ci stiamo impegnando in un cambiamento guardando alla realtà attuale, nella lotta contro le nuove dipendenze, attività nuova anche per la nostra realtà salesiana. Ma il sistema preventivo di Don Bosco può intervenire ancora oggi nelle situazioni di disagio, di lotta alle dipendenze, soprattutto nei minori. Stiamo lavorando sul desiderio di vita, da riconoscere nel loro percorso”: è stata questa la testimonianza di don Daniele Pusti, salesiano della comunità Soggiorno Proposta di Ortona al convegno “Liberare la speranza”, del Tavolo Ecclesiale Dipendenze (di cui fa parte Salesiani per il Sociale APS), che si è svolto il 21 giugno scorso a Roma.

“In questo momento – spiega don Daniele – abbiamo circa 20 ospiti. I nostri numeri ovviamente variano parecchio. I nostri ospiti sono divisi in due comunità e rimangono con noi 15 mesi nei casi di recupero da tossicodipendenza, oppure 12 mesi per il recupero della dipendenza da alcool. Vengono dal centro Italia, zona adriatica, ma anche dal Lazio e dal Molise”. Nonostante le difficoltà con la Regione Abruzzo per l’accreditamento come struttura terapeutica, don Daniele guarda al futuro: “Ci stiamo aprendo a nuove progettualità, grazie al supporto del prof. Giancarlo Cursi che con i suoi studenti dell’UPS ha fatto dei tirocini da noi. Abbiamo giovani tirocinanti anche dalle università di Chieti e Pescara, giovani studenti di psicologia. Vorremmo avviare dei progetti nelle scuole, con le famiglie del territorio, con le parrocchie. Vorremmo anche proporre una soluzione di residenzialità: è una cosa molto impegnativa ma è urgente, in Italia ce n’è tanto bisogno. Inoltre, ci stiamo aprendo anche alle nuove dipendenze: da tecnologia e da gioco”. La comunità è sostenuta da moltissimi volontari, che vengono dagli ambienti salesiani – Ancona, L’Aquila, Vasto, Terni – ma anche da altre realtà laicali. “Noi accogliamo chi ci invia il sert: spesso anche persone più grandi, tra i 30 e i 50 anni con problemi di alcolismo. Lavoriamo perché il loro disagio possa diventare uno scalino dal quale ripartire“.

Questo il comunicato del Tavolo Ecclesiale Dipendenze:

 

Liberare la speranza

L’incontro con le persone in strada e in comunità

 Il 5 e 12 ottobre gli Open Day delle comunità: 
“Saranno processioni laiche dove si incontrano le persone, le loro storie, i loro sogni”

Roma, 21 giugno 2019 – “Con gli Open Day i poveri ci invitano a casa loro, nelle loro comunità”: don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana, ha aperto così il convegno “Liberare la speranza – L’incontro con le persone in strada e in comunità”, con il quale il Tavolo Ecclesiale Dipendenze lancia gli Open Day del  5 e 12 ottobre, l’iniziativa promossa dal Tavolo per aprire le comunità all’esterno. “Il tema è la relazione, la via educativa è la relazione: le comunità sono luoghi, tempi, spazi di ritrovamento del proprio io”, ha concluso don Francesco Soddu.

Il dibattito, coordinato da Giampiero Forcesi, è iniziato con l’intervento del prof. Pierpaolo Triani, professore associato di Didattica generale presso la Facoltà di Scienze della Formazione all’Università Cattolica del Sacro Cuore. “I giovani oggi vivono sulla loro pelle il passaggio da una regolazione esterna a una interna, con la fatica di avere criteri di riferimento –  ha detto il prof. Triani – . Vivono una lettura semplicistica dell’umano, l’espressione come valore, l’autoaffermazione come valore principale e la connessione come modo di sentirsi vivi”. L’azione educativa, sottolinea il prof. Triani, è un “connubio tra azione di consegna e arte di accompagnamento: l’educazione è la consegna all’altro delle ragioni per vivere e se non faccio questo non do loro una speranza. Accompagnare vuol dire stare con: ecco il tema della relazione, della comunità che vive e che spera”.  “La necessità di fare rete è condivisibile –  ha concluso – , perché l’educazione mette in relazione. Sono sempre più convinto che parlare di educazione in senso forte sia una controcultura, perché l’educazione richiede tempo, sbaglia, non ha sempre successo. Ha a che fare con la precarietà dell’azione umana. Mentre si coltiva specializzazione, si deve coltivare anche la convivialità”.

Don Armando Zappolini ha concluso i lavori: “Abitiamo luoghi di speranza, dove chi viene accolto non viene giudicato. Dove si cerca di rafforzare le belle energie che ciascuno ha dentro di sé e dove si riaccende il sogno dentro le persone. È importante che in questi luoghi si aprano le porte: pensiamo agli open day di ottobre come delle processioni laiche, dove il Corpus Domini lo incontri nelle persone. Quando le persone vengono a trovarci se ne vanno con un “sapore” bello, che si trova anche sulla strada che non è solo il luogo degli scarti, ma anche degli incontri. La nostra deve essere una resistenza che costruisce, dove respirare l’ossigeno buono delle relazioni belle”.

LE TESTIMONIANZE

Comunità Emmaus di Foggia (CNCA): “Dopo 40 anni, la realtà si è ampliata, ci siamo chiesti come tornare sul territorio. Abbiamo investito con una equipe territoriale sul mondo della scuola e della prevenzione. Abbiamo incontrato 1.200 studenti, abbiamo parlato delle dipendenze e di un altro modo di vivere. Il rimando è stato molto positivo, siamo riusciti in parte a riaccendere l’idea di speranza che attraversa le generazioni, per dire dove va a finire tutta questa esperienza”.

CASA DEI GIOVANI: “Le dipendenze oggi non sono solo più quelle dalle sostanze, ma dalle fragilità. Dobbiamo rafforzare quello che il territorio offre, soprattutto nella chiesa che per prima si è occupata delle periferie umane, come chiesto da Papa Francesco. Cerchiamo di superare gli steccati che ci hanno isolato dagli altri, l’idea di essere migliori di altri. Il lavoro fondamentale è quello di prenderci cura del ‘sistema” uomo”.

FICT: “Importanza della formazione degli operatori. Pensare a questa per noi ha voluto dire proprio occuparci di chi si occupa, di chi cura. Negli anni ci siamo occupati molto delle cose pratiche, amministrative e burocratiche ma abbiamo perso la nostra centratura educativa: il nostro compito è stare con le persone, per costruire questo percorso formativo ci siamo concentrati sulla dimensione spirituale, siamo tornati lì. Abbiamo ripreso a stimolare gli operatori perché diventino a loro volta capaci di farlo nei loro contesti. Le persone così recuperano la voglia di stare insieme e il valore del lavoro che fanno”.

CDO – Opere Sociali: “Curare il tossicodipendente vuol dire anche accogliere, curare, aiutare il padre e la madre, i fratelli, i fidanzati; vuol dire seguire questa persona a lungo negli anni, aiutarlo a trovare lavoro, casa, affetti, sostenerlo, accompagnarlo, ‘rialzarlo’. Pertanto credo che è responsabilità nostra cercare di riporre all’attenzione della società, della Chiesa e di tutte le agenzie educative del ‘muto’ grido di aiuto che viene da queste persone che non sono più in grado di consumare sostanze, ma soprattutto di vivere la propria vita serenamente. Il metodo credo più efficace che possiamo usare, oltre alla sensibilizzazione sulla gravità dei fenomeni, è la testimonianza dei molti tentativi che le nostre comunità possono presentare di persone accolte, curate ed accompagnate nel proprio dramma”.

Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII: “Uscire dai nostri luoghi sicuri per esserci, per condividere, per creare relazioni. L’azione educativa è reciproca, siamo continuamente educati dalle persone con le quali condividiamo la vita, e in queste azioni il linguaggio è fondamentale. Dalle interviste che abbiamo fatto tra i nostri ragazzi, la mancanza di speranza è la base della dipendenza, tutti sono alla ricerca della ‘ricetta’ che risolva il problema. Molti di loro non sentono di essere in relazione con i loro familiari. Da sottolineare è la relazione è il bisogno centrale della nostra vita, viviamo sempre questo bisogno autentico. La cura della relazione perché è il cuore della vita delle comunità”.

Comunità Emmanuel: “‘Accogliere e condividere’ e mettere ‘Vita con vita”’sono divenuti due motti che da quasi quarant’anni sospingono e orientano i volontari a uscire da culture individualistiche e da contesti ristretti, per aprirsi alle relazioni e incontrare le persone sin nelle periferie e nei luoghi della povertà e dell’emarginazione, per ascoltare e condividere i bisogni e le domande delle comunità locali e della società, impegnandosi per costruire insieme agli altri modelli di sviluppo e qualità della vita sostenibili, solidali e inclusivi. È così che dalla prima casa di accoglienza di Lecce, la Comunità si è messa in cammino per tutta la Puglia e in altre regioni d’Italia, per poi spargersi sino al Lussemburgo, all’Albania e all’Equador, aprendo tanti altri luoghi di accoglienza, cura e promozione delle persone”.